La Dichiarazione per l’Amazzonia: «Ecocidio, etnocidio e terricidio avanzano peggio del virus»

 

Sotto lo slogan “contro etnocidio, ecocidio ed estrattivismo che sono aggravati dalla pandemia”, il 18 e 19 luglio si è tenuta la prima Assemblea mondiale auto-convocata dall’Amazzonia alla quale hanno partecipato delegati virtuali provenienti da 9 Paesi: Perù, Brasile, Venezuela, Bolivia, Ecuador, Guyana, Guyana francese, Suriname e Colombia.

Secondo la Red Eclesial Panamazónica (REPAM), la crisi  sanitaria colpisce soprattutto le  città della regione Panamazzonica, dove fino al 17 luglio c’erano stati 609.121 casi confermati di Covi-19 e 17.869 decessi. 

Secondo Mauricio López, segretario esecutivo della REPAM, «siamo di fronte a una situazione senza precedenti, questa pandemia ci ha messo in una situazione vulnerabile che non abbiamo mai sperimentato prima, ma soprattutto rivela e mette a nudo a tutte le realtà di esclusione, disuguaglianza e ingiustizia che abbiamo vissuto, specialmente nelle popolazioni e nelle comunità originarie  dell’Amazzonia».

Di fronte a questa crisi sanitaria e sociale, movimenti, reti, attivisti e organizzazioni dei popoli indigeni, quilombole, ribereños, siringueros, caboclos, campesinos, artisti, religiosi, difensori della natura, comunicatori, accademici, donne, giovani e residenti nelle città amazzoniche si sono autoconvocati nella prima assemblea mondiale per l’Amazzonia.

REPAM sottolinea che «durante il primo giorno dell’Assemblea, sono stati discussi e dibattuti i problemi dei Paesi e della regione panamazzonica, mentre il secondo giorno sono state discusse proposte di azione concrete. 

In tal senso, è stato concordato di realizzare diverse iniziative, ad esempio una campagna globale per affrontare i gravi impatti del Covid-19 sulle popolazioni indigene, gli afro-discendenti e in tutta l’Amazzonia».

Negli ultimi 4 mesi sono morti più di mille indios, vittime del Covid-19, e circa 20.000 sono stati infettati e, aprendo l’Assemblea, Gregorio Mirabal, coordinatore generale della Coordinadora de las Organizaciones Indígenas de la Cuenca Amazónica (COICA), ha detto: «Siamo uniti dal dolore, siamo uniti dall’emergenza, siamo uniti dalla speranza, dalla ribellione.

Siamo in lutto per una pandemia che si è presa i nostri nonni, le nostre famiglie.

Anche il mondo è in lutto ma nonostante ciò non vuole ancora svegliarsi».

Tra le richieste avanzate dall’Assemblea ai governi dei Paesi amazzonici ci sono la cessazione delle attività estrattive che fungono da vettore del contagio tra le popolazioni locali, aiuti alimentari pubblici e forniture senza dover lasciare i territori e la garanzia di avere a disposizione  personale sanitario. materiale medico per il trattamento delle popolazioni dell’Amazzonia contro la pandemia di coronavirus.

L’altra richiesta pressante è quella di rispettare le differenze etniche e culturali, sia nelle cure mediche che nella produzione di statistiche, che includano anche le popolazioni indigene che vivono nelle città.

Del totale di 375 popolazioni indigene amazzoniche ufficialmente riconosciute, 172 di loro già presentano casi di infezione e morte per Covid-19. Il 10 luglio, diversi rappresentanti delle popolazioni indigene dell’Amazzonia hanno incontrato la Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) e hanno denunciato il loro abbandono da parte dello Stato e chiesto che intercedesse perché i governi garantiscano il rispetto dei diritti dei popoli autoctoni.

Il gruppo di lavoro sul coronavirus ha concluso che «l’attuale minaccia della pandemia è il risultato di diversi fattori convergenti, tra cui l’agglomerazione in città più grandi e più popolate, l’allevamento di animali altamente concentrati nelle fattorie industriali, gli effetti dai cambiamenti climatici, l’uso degli organismi transgenici, i cambiamenti nella dieta e nel consumo, nonché le attività distruttive nell’ambiente, come la deforestazione e l’estrazione mineraria».

Oltre all’impatto del coronavirus in Amazzonia, l’Assemblea ha affrontato due temi principali: il boicottaggio delle attività economiche predatorie e la mobilitazione, sia a livello regionale che internazionale, per proteggere gli ecosistemi e gli abitanti dell’Amazzonia. 

Nel bacino del Rio delle Amazzoni ci sono 3.344 terre indigene (TI) delimitate e riconosciute e 522 aree naturali protette.

Secondo gli studi dell’Amazon Network of Georeferenced Socio-Environmental Information (RAISG) presentati all’Assemblea, Nella Panamazzonia «l’estrazione mineraria occupa illegalmente 36 milioni di ettari di territori indigeni delimitati e 22 milioni di ettari di Aree naturali protette».

Mentre le concessioni di estrazione di petrolio e gas riguardano 21 milioni di ettari di terre indigene e 6 milioni di ettari di aree protette.

4,8 milioni di ettari di terre indigene e 5,5 milioni di ettari di parchi e riserve sono disboscati da attività criminali per fare pascoli per il bestiame da carne e Mirabal ha ricordato che «vogliamo un dialogo globale con coloro che prendono decisioni, affinché siamo consultati su questo modello di sviluppo che preferisce far sanguinare l’Amazzonia e i suoi popoli. Non vogliamo che la nostra ricchezza naturale e culturale serva solo a portare petrolio, oro e benefici ai Paesi cosiddetti sviluppati.

Ci lasciano mercurio, malattie, fiumi inquinati, giungla devastata.

Dobbiamo parlare con i governi di Stati Uniti, Europa, Cina e Russia, e anche con i nostri governi, ed evitare la distruzione e la mancanza di dialogo».

L’Assemblea ha concordato sulla necessità di chiedere ai governi dei 9 Paesi panamensi un’immediata moratoria sulle attività estrattive, visto che molte, in particolare quelle  illegali, stanno sfruttando la pandemia per commettere crimini ambientali, in particolare la ricerca illegale di oro e altri minerali, il taglio di legname, l’invasione di terre indigene e l’appropriazione di terreni pubblici per il bestiame.

Per questo i delegati hanno proposto un boicottaggio dei grandi gruppi economici che investono nelle attività predatorie in Amazzonia, comprese banche come  HSBC, Goldman Sachs, Black Rock, Citi o JP Morgan. Pedro Sánchez, rappresentante della Churches and Mining Network, ha presentato una campagna che mira a denunciare la violazione dei diritti umani e ambientali derivante dalla ricerca di minerali in Amazzonia.

Pedro Sánchez, di Red Iglesias y Minería, ha detto che «l’estrattivismo è una tendenza sfrenata di questo sistema economico di convertire tutti i beni della natura in capitale, dove le compagnie minerarie non vedono la vita, non vedono il fiume, non vedono la natura, non vedono le comunità, vedono solo i soldi.

Gran parte del territorio amazzonico è concesso per la miniera, distruzione, morte per l’arricchimento di pochissimi. L’estrazione mineraria non porta progresso, non porta sviluppo.

Non esiste un unico posto in America Latina che possa essere mostrato al mondo e dire “guardate come l’attività mineraria ha portato allo sviluppo, come vivono felici le persone.

Abbiamo una storia nella quale le miniere sono state imposte con il sangue e il fuoc”o».

Alla fine l’Assemblea ha approvato una dichiarazione finale.

Ecco il testo integrale:

Dichiarazione della prima Assemblea Mondiale per l’Amazzonia

Sta nascendo qualcosa di nuovo.

Riuscite a sentirlo?

Lo si sente tra le grida dell’Amazzonia.

Si solleva la lotta dei popoli amazzonici, aggrediti nei loro territori, nelle loro memorie e culture.

Cresce il grido assordante della foresta, disboscata, incendiata, saccheggiata dall’estrattivismo che la violenta, obbedendo solo al potere e all’avidità.

Nemmeno una goccia di sangue e dolore in più nei prodotti di consumo nelle città di tutto il mondo!

C’è una Minga [incontro comunitario di scambio di lavoro] di resistenze tra le comunità della foresta, urbane e rurali, che si stanno organizzando per far fronte alla devastazione e alla fame che potranno continuare dopo questa pandemia.

Perché l’ecocidio, etnocidio e terricidio avanzano peggio del virus.

I corpi e i territori delle donne e della terra sono storicamente violati da un sistema patriarcale, coloniale e capitalista, che non sa cosa vuol dire prendersi cura della vita.

Tuttavia, nel mezzo del dolore, come se fosse un parto, sta nascendo qualcosa di nuovo: un tessuto ribelle di molti spiriti della foresta e del cemento, che ci ricordano che tutte e tutti noi siamo Amazzonia.

Questo tessuto nasce nell’angosciante certezza di sapere che non c’è più tempo.

È ora di unirsi nella diversità dei saperi dei popoli di Abya Yala e del mondo, e nelle culture del prendersi cura, per restituire lo spirito della foresta all’umanità.

AMAZZONIZZATI!

I fiumi amazzonici ci attraversano, ci danno respiro, ci cantano canzoni di libertà; siamo figlie e figli della Terra e dell’Acqua, di cui le nostre radici si nutrono e in cui coesistono con le stelle del Giaguaro nell’Universo.

Amazzonizzati!
E’ adesso o mai più!

Entra nella foresta dei nostri sogni, lotte e resistenze!

Prendi parte al processo di creazione delle Assemblee Mondiali per liberare l’Amazzonia e i popoli che la abitano.

Più forte di tutte le voci della morte, sarà il grido della vita che nasce dall’Amazzonia e dal mondo!

(Articolo pubblicato con  questo titolo il 22 luglio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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