Audizione sul decreto semplificazioni concessa a VAS dalle Commissioni riunite del Senato 1° (Affari Costituzionali) ed 8° (Lavori Pubblici, Comunicazioni)

 

Per l’occasione il dott. Arch. Rodolfo Bosi ha trasmesso la seguente documentazione.

AUDIZIONE DELLE COMMISSIONI RIUNITE 1° ED 8° DEL SENATO
IN RELAZIONE AL DISEGNO DI LEGGE N. 1883

PREMESSA

L’esame del Decreto Legge n. 76 del 16 luglio 2020 effettuato dalla associazione “Verdi Ambiente e Società” (VAS) ha riguardato più specificatamente i temi ambientali ed in particolare il Capo II del Titolo I (“SEMPLIFICAZIONE E ALTRE MISURE IN MATERIA EDILIZIA E PER LA RICOSTRUZIONE PUBBLICA NELLE AREE COLPITE DA EVENTI SISMICI”) ed il Capo II del Titolo IV (“SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA AMBIENTALE”).
Quelle che seguono sono pertanto proposte di modifiche ed integrazioni al disegno di legge n. 1833 di “Conversione in legge del decreto-legge 16 luglio 2020, n.76, recante misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”.
Per ogni emendamento che propone modifiche ed integrazioni al disegno di legge n. 1833 viene fornita la rispettiva motivazione.

Articolo 10
Modifiche in materia di deroghe ai limiti di distanza tra fabbricati e di altezza

Emendamento – Si propone di cancellare il punto 1) della lettera a) del 1° comma dell’art. 10 dal seguente testo:
a) all’articolo 2-bis, il comma 1-ter, è sostituito dal seguente:
«1-ter. In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nell’osservanza delle distanze legittimamente preesistenti.

Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il supera-mento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti.

Nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione, sono consentite esclusivamente nell’ambito di piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatte salve le previsioni degli stru-menti di pianificazione urbanistica vigenti

Motivazioni – La Corte Costituzionale con sentenza n. 70 del 16 maggio 2020 ha ricostruito l’iter legislativo relativo alla ristrutturazione nel seguente modo.
«5.2.– Per restare alla cosiddetta ristrutturazione ricostruttiva, che più da vicino interessa l’oggetto del presente giudizio, talune misure regionali adottate hanno realizzato una vera e propria disciplina derogatoria non perfettamente coerente rispetto al generale quadro normativo statale.
5.2.1.– A tale riguardo, deve essere ricordato come, in origine, l’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. edilizia disponesse che, in caso di demolizione, la ricostruzione per essere tale e non essere considerata una nuova “costruzione” – che avrebbe in tal caso richiesto un apposito permesso di costruire, e non una mera segnalazione certificata di inizio attività (artt. 10 e 22 del t.u. edilizia) – doveva concludersi con la «fedele ricostruzione di un fabbricato identico», comportando dunque identità di sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali.
Il successivo decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301 (Modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia) ha modificato la definizione di “ricostruzione”, eliminando sia lo specifico riferimento alla identità dell’area di sedime e alle caratteristiche dei materiali, sia il concetto di “fedele ricostruzione”.
5.2.2.– In epoca successiva, nel 2011, con il comma 9 dell’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011 (cosiddetto “decreto sviluppo”), il legislatore ha espressamente autorizzato le Regioni a introdurre normative che disciplinassero interventi di ristrutturazione ricostruttiva con ampliamenti volumetrici, concessi quale misura premiale per la razionalizzazione del patrimonio edilizio, eventualmente anche con «delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse».
In tal modo, il legislatore nazionale ha ammesso deroghe all’identità di volumetria nell’ipotesi di ristrutturazioni realizzate con finalità di riqualificazione edilizia.
Simile possibilità è stata però esclusa, dallo stesso legislatore, per una particolare categoria di manufatti, e cioè per gli «edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta […]» (art. 5, comma 10, del medesimo decreto).
5.2.3.– Nel 2013, il legislatore è nuovamente intervenuto sull’art. 3, comma 1, lettera d), del t.u. edilizia, con l’art. 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), cosiddetto “decreto del fare”, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che ha qualificato come “interventi di ristrutturazione edilizia” quelli di demolizione e ricostruzione «con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 [Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137] e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente».
Il legislatore statale ha dunque progressivamente allargato l’ambito degli interventi di ristrutturazione, consentendo di derogare all’identità di volumetria in caso di ricostruzioni volte alla riqualificazione edilizia e imponendo il rispetto della sagoma solo per immobili vincolati. 5.2.4.– Questa tendenza si è arrestata, nel 2019, con l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.l. n. 32 del 2019 (cosiddetto decreto “sblocca cantieri”), che ha inserito il comma 1-ter all’art. 2-bis del t.u. edilizia, così imponendo, per la ristrutturazione ricostruttiva, il generalizzato limite volumetrico (a prescindere, dunque, dalla finalità di riqualificazione edilizia) e il vincolo dell’area di sedime: «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo».
Allo stato attuale, quindi, la ristrutturazione ricostruttiva, autorizzabile mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), è ammissibile purché siano rispettati i volumi, l’area di sedime del manufatto originario e, per gli immobili vincolati, la sagoma.
Al momento dell’adozione del “piano casa” da parte delle Regioni, invece, la normativa statale richiedeva, per la ristrutturazione ricostruttiva, il solo rispetto della volumetria e della sagoma, non l’identità di sedime, limiti da rispettare affinché la ristrutturazione non si traducesse in una nuova costruzione, diversamente regolata dalla legislazione nazionale di settore.»
In altro passo della suddetta sentenza la Corte Costituzionale si è pronunciata in un modo che è riferito alla legge della Regione Puglia n. 14 del 2009, ma che è applicabile anche alla modifica in questione dell’art. 1-ter dell’art. 2-bis del D.P.R. n. 380/2001: «La norma regionale fa infatti riferimento a una «diversa sistemazione plano-volumetrica o a diverse dislocazioni del volume nell’area di pertinenza».

Estende, quindi, in via retroattiva, l’oggetto della disposizione originaria: con riferimento alle “diverse dislocazioni”, la disposizione censurata consente nuove e distinte costruzioni rispetto all’immobile originario, collocate in luogo diverso dal precedente ancorché nella medesima area di pertinenza …..

Lo stesso art. 2-bis del t.u. edilizia, nel cui ambito si trova il menzionato comma 1-ter, è stato considerato principio fondamentale per ciò che concerne la vincolatività delle distanze legali stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968, derogabili solo a condizione che le eccezioni siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 86 del 2019), salvo quanto previsto dall’art. 5, comma 1, lettera b-bis), del d.l. n. 32 del 2019. ….

Il comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia, nel disporre che «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo», detta evidentemente una regola unitaria, valevole sull’intero territorio nazionale, diretta da un lato a favorire la rigenerazione urbana e, dall’altro, a rispettare l’assetto urbanistico impedendo ulteriore consumo di suolo (come peraltro si trae dai lavori preparatori della legge di conversione dell’art. 5, comma 1, lettera b-bis, del d.l. n. 32 del 2019). …

Il comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia è infatti incompatibile con l’art. 7 della citata legge reg. Puglia n. 5 del 2019, che consente, in caso di demolizione e ricostruzione, un aumento volumetrico. Inoltre, il riferimento alla necessaria costruzione entro l’area di sedime – come definita dal sopra menzionato Allegato A dello Schema di regolamento edilizio tipo – impedisce le «diverse dislocazioni dei volumi» cui fa riferimento la norma regionale impugnata.

Non può sostenersi, come invece argomenta la difesa regionale, che l’intervenuta modifica normativa statale non incida sulla legislazione regionale attuativa del “piano casa”, considerata disciplina speciale rispetto alla normativa generale prevista dal legislatore nazionale. Il nuovo comma 1-ter dell’art. 2-bis del t.u. edilizia stabilisce che i limiti volumetrici e di sedime si applichino «[i]n ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione», così esprimendo una ratio univoca, volta a superare tutte le disposizioni (anche regionali), in materia di SCIA, incompatibili con i nuovi vincoli.

L’intervenuta modifica del parametro interposto rappresentato dal nuovo principio fondamentale rende quindi costituzionalmente illegittima la norma impugnata, a partire dalla entrata in vigore della novella legislativa statale. »
In modo analogo la sentenza emanata dalla Suprema Corte è pienamente applicabile alla modifica in questione del comma 1-ter dell’art. 2-bis del D.P.R. n. 380/2001, a maggior ragione perché a determinare la sentenza è stato lo stesso Governo, che per il tramite della Avvocatura dello Stato ha portato la seguente censura: «l’Avvocatura dello Stato ritiene violato l’art. 117, terzo comma, Cost., e la competenza concorrente in materia di «governo del territorio».
In particolare, vi sarebbe un evidente contrasto tra la norma impugnata e gli artt. 36 e 37, comma 4, del t.u. edilizia, che esprimono un principio fondamentale nella materia citata, richiedendo la cosiddetta doppia conformità, e cioè la conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici sia al momento della realizzazione dell’opera sia al momento della presentazione della domanda. La portata retroattiva della disposizione regionale impugnata finirebbe infatti per sanare ex post vizi sostanziali di interventi che, al momento della loro realizzazione, non erano conformi alle prescrizioni urbanistiche all’epoca vigenti. La sanatoria per il mancato rispetto della doppia conformità, continua la difesa dello Stato, è ammissibile solo per vizi formali, per interventi realizzati in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, ovvero in assenza o difformità dalla denuncia di inizio attività (DIA) o dalla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).»

Anche per il caso in questione la disposizione nazionale genererebbe di fatto una retroattività che porterebbe alla sanatoria di abusi sostanziali, violando il principio fondamentale della “doppia conformità”.

La doppia conformità è un principio in virtù del quale il manufatto edilizio deve risultare conforme sia alla disciplina urbanistica vigente quando è stato edificato, sia a quella vigente quando viene domandato l’accertamento di conformità. Viene invece consentita la DEROGA a tutti i parametri previsti dalla legge vigente e precisamente: distanza tra fabbricati, distanza dal confine, di sagoma, di altezza e di volume. Tutto questo pur di agevolare gli interessi del mondo edilizio, VIOLANDO tutti i DIRITTI DEI CITTADINI terzi: ad esempio si potrebbe ora costruire perfino un condominio di 4-5 piani a fianco ad una casa senza più rispettare i 10 metri tra pareti finestrate (art 9 dm 1444/68) e i 5 metri dal confine.

Articolo 10
Ridefinizione degli interventi di ristrutturazione edilizia

Emendamento – Si propone di cancellare il punto 2) della lettera b) del 1° comma dell’art. 10 dal seguente testo:
«alla lettera d), il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: «Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico.

L’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.

Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria».

Motivazioni – Sono le stesse del precedente emendamento.

Articolo 10
Modifiche in materia di attività edilizia libera

Emendamento – Si propone di modificare il testo della lettera c) del 1° comma del’art. 20 nel seguente modo:
«all’articolo 6, comma 1, la lettera e-bis) è sostituita dalla seguente: «e-bis) le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, previa comunicazione di avvio lavori all’amministrazione comunale, e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni per le opere stagionali, ed entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto per le opere a carattere emergenziale;»

Motivazione – L’estensione da 90 a 180 giorni è stata presumibilmente determinata dalla esigenza di un coordinamento con il 4° comma dell’art. 181 del D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (cosiddetto “decreto rilancio”) convertito nella legge n. 77 del 17 luglio 2020, che per la posa in opera delle strutture amovibili disapplica il limite temporale di 90 giorni di cui all’articolo 6 comma 1, lettera e-bis), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
Dal momento che la suddetta disposizione è stata presa come sostegno delle imprese di pubblico esercizio, “anche al fine di promuovere la ripresa delle attività turistiche, danneggiate dall’emergenza epidemiologica da COVID-19”, consentendo l’occupazione temporanea del suolo pubblico con la posa in opera di tavolini con i rispettivi arredi fino al 31 ottobre 2020, non si ritiene opportuno far diventare fissa per mezzo anno l’occupazione di suolo pubblico anche al di fuori della attuale e contingente emergenza.
Per tale ragione l’emendamento proposto distingue le opere stagionali da quelle a carattere emergenziale.

Articolo 10
Posa in opera di elementi o strutture amovibili in zone vincolate

Emendamento – Si propone la cancellazione del 5° comma dell’art. 10 dal seguente testo: «5. Non è subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli 21, 106, comma 2-bis, e 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la posa in opera di elementi o strutture amovibili sulle aree di cui all’articolo 10, comma 4, lettera g),del medesimo Codice, fatta eccezione per le pubbliche piazze, le vie o gli spazi aperti urbani adiacenti a siti archeologici o ad altri beni di particolare valore storico o artistico.»

Motivazione – Come per l’estensione da 90 a 180 giorni della occupazione temporanea di suolo pubblico con i tavolini ed i relativi arredi, anche questa esenzione dalle autorizzazioni é stata presumibilmente determinata dalla esigenza di un coordinamento e di una conferma con il 3° comma dell’art. 181 del D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (cosiddetto “decreto rilancio”) convertito nella legge n. 77 del 17 luglio 2020, con la differenza che, oltre agli artt. 21 e 146 , aggiunge anche il comma 2-bis dell’art. 106 del D.Lgs. n. 42/2004.
L’art. 21 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio riguarda il rilascio del nulla osta da parte delle Soprintendenze competenti per territorio relativo a beni culturali soggetti a vin colo archeologico e/o storico- monumentale.
Il comma 2-bis del successivo art. 106 riguarda l’autorizzazione sempre da parte delle Soprintendenze competenti per territorio relativa all’uso individuale di beni culturali.
L’art. 146 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio riguarda il rilascio della autorizzazione paesaggistica relativo a tutte le aree comunque sottoposte a vincolo paesaggistico.
Ai sensi della richiamata lettera g) del 4° comma dell’art. 10 del D.Lgs. n. 42/2004 sono “beni culturali” sottoposti a vincolo archeologico o storico-monumentale “le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico”. Per come è formulato il testo risalta la evidente contraddizione tra il fatto che da un lato la posa in opera di elementi e strutture amovibili su “pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico”non è subordinata ad autorizzazione, dall’altro lato fanno però eccezione gli stessi luoghi, vale a dire “le pubbliche piazze, le vie o gli spazi aperti urbani adiacenti a siti archeologici o ad altri beni di particolare valore storico o artistico”.
Comunque sia, con la finalità della “semplificazione” si vuole andare oltre l’attuale situazione di emergenza, rendendo fissa nel tempo una esenzione, sul solo presupposto che l’amovibilità degli elementi e delle strutture non possa arrecare danni irreversibili alle aree vincolate.
Si fa presente che per le autorizzazioni paesaggistiche ex art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 è in vigore il D.P.R. n. 31 del 13 febbraio 2017 con cui è stato emanato il “Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”. La voce A17 dell’Allegato A al D.P.R. 31/2017 esenta dal rilascio della autorizzazione paesaggistica le “installazioni esterne poste a corredo di attività economiche quali esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, attività commerciali, turistico-ricettive, sportive o del tempo libero, costituite da elementi facilmente amovibili quali tende, pedane, paratie laterali frangivento, manufatti ornamentali, elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, e prive di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo”.
Per quanto riguarda l’Esercizio del commercio in aree di valore culturale e nei locali storici tradizionali vige ad ogni modo l’art. 52 del D.Lgs. n. 42/2004, che consente di vietare in generale gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione ed in particolare l’uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di occupazione di suolo pubblico.

Articolo 10
Procedimento di V.A.S. per la redazione dei nuovi Piano Regolatori Comunali o di loro Varianti

Emendamento – Dopo il comma 7 dell’art. 10 si propone di aggiungere il seguente punto 8.
«8. Dopo l’art. 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, è aggiunto il seguente art. 10 Bis:
«10 Bis. La redazione ed adozione di nuovi piani regolatori generali o di varianti generali di quelli esistenti è subordinata alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) di cui al Titolo II del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e ss.mm.iii., concernente “Norme in materia ambientale”».

Motivazione – Al procedimento di V.A.S. l’art. 55 del disegno di legge AS 1833 sottopone anche i Piani di Assetto dei Parchi: per analogia va esteso anche alla redazione ed adozione di nuovi piani regolatori generali o di varianti generali di quelli esistenti.

Articolo 55
Iscrizione nell’Albo dei Direttori dei parchi

Emendamento – Si propone di cancellare il punto 2) della lettera a) del 1° comma dell’art. 55 , secondo cui «L’iscrizione nell’albo dura cinque anni, salvo rinnovo mediante le procedure di cui al primo periodo del presente comma.»

Motivazione – Secondo Massimo Pellegrini, naturalista e decano degli ornitologi abruzzesi, si tratta di una integrazione del tutto arbitraria poiché le condizioni ed i requisiti di iscrizione all’ albo non vengono modificate quindi l’iscrizione non può avere carattere temporaneo. Una tale aggiunta, che sembra finalizzata solo a ridurre il numero di aventi diritto determinerebbe una valanga di azioni legali e contenziosi.

Articolo 55
Decorrenza dell’iscrizione nell’Albo dei Direttori dei parchi

Emendamento – Si propone di cancellare il nuovo comma 2 dell’art. 15 introdotto dalla lettera e) del 1° comma dell’art. 55, secondo cui «In sede di prima applicazione, ai soggetti già iscritti all’albo di idonei all’esercizio dell’attività di direttore di parco, il termine di cui all’articolo 9, comma 11, ultimo periodo, della legge n. 394 del 1991,come modificato dal presente articolo, decorre a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto.»

Motivazione – Il comma 2 andrebbe completamente cassato ai sensi di quanto sopra evidenziato in merito alla proposta di durata quinquennale della iscrizione all’ albo.

Articolo 55
Procedimento di V.A.S. per la redazione del piano del Parco

Emendamento – Dopo il punto 1 della lettera c) del 1° comma dell’art. 55 si propone di aggiungere il seguente punto 1 Bis):
«1 Bis) Al 1° periodo del comma 4 dell’articolo 12 della legge n. 394/1991 la parola «Il piano» è sostituita dalla seguente:
«La proposta di piano».

Motivazione – Si fa preliminarmente presente che quasi 7 anni fa l’associazione “Verdi Ambiente e Società” (VAS) aveva chiesto di adeguare il dettato normativo della legge quadro n. 394/1991 con l’obbligo di sottoporre i Piani di Assetto dei Parchi nazionali alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica: lo ha fatto in occasione della audizione che il 9 ottobre 2013 la 13° Commissione del Senato ha concesso a VAS e WWF in merito all’esame congiunto delle tre proposte di legge di modifica della legge n. 394/1991 n. 119, 1004 e 1034.
Si prende atto quindi con piacere che anche se con notevole ritardo la proposta di allora è stata recepita.
In questa sede interessa ora mettere in evidenza il mancato recepimento fino ad oggi della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), benché prescritta dal D.Lgs. n. 152/2006, così come modificato dapprima dal D.Lgs. n. 4/2008 e da ultimo dal D.Lgs. n. 128/2010: comporta che la redazione di ogni Piano di Assetto deve essere obbligatoriamente sottoposta a VAS.
il procedimento di Valutazione Ambientale Strategica (VAS)deve essere avviato contestualmente al processo di formazione del Piano di Assetto di ogni area naturale protetta e comprende le seguenti 7 fasi temporali:
1 – lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità (art. 12);
2 – l’elaborazione del rapporto ambientale (art. 13);
3 – lo svolgimento di consultazioni (art. 14);
4 – la valutazione del rapporto ambientale e gli esiti delle consultazioni (art. 15);
5 – la decisione (art. 16);
6 – l’informazione sulla decisione (art. 17);
7 – il monitoraggio (art. 18).
Dunque per ogni Piano di Assetto di un’area naturale protetta – dopo la conclusione della verifica di assoggettabilità che si concretizza in un documento finale di Scoping (art. 12) – la pubblicazione ed il deposito per 60 giorni della “proposta” del Piano di Assetto unitamente al Rapporto Ambientale che ne ha determinato le scelte (2° comma dell’art. 14) assieme ad una Sintesi Non Tecnica. Il 2° comma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 152/2006 dispone in fatti che «l’autorità competente e l’autorità procedente mettono, altresì, a disposizione del pubblico la proposta di piano o programma ed il rapporto ambientale mediante il deposito presso i propri uffici e la pubblicazione sul proprio sito web.»
Il procedimento di VAS prosegue ufficialmente adottando solo alla fine (art. 16) la decisione finale (con la revisione del Piano, ove si renda necessaria, ai sensi del 2° comma dell’art. 15) tenendo conto delle controdeduzioni congiunte alle osservazioni presentate (espresse sotto forma di “parere motivato” ai sensi del 1° comma dell’art. 15).
A questo punto il Piano di Assetto dovrebbe essere adottato dal Consiglio Direttivo di ogni Ente Parco e pubblicato per 40 giorni, seguendo la procedura indicata al 4° comma dell’art. 12 della legge quadro n. 394/1991. Il 4° comma dell’art. 11 del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce che “la VAS viene effettuata ai vari livelli istituzionali tenendo conto dell’esigenza di razionalizzare i procedimenti ed evitare duplicazioni nelle valutazioni.”
Per evitare una 1° pubblicazione per 60 giorni della “proposta” di piano ed una 2° pubblicazione del Piano adottato, viene sostituito il testo del 4° comma dell’art. 12 ricomprendendo nei 60 giorni un’unica pubblicazione della “proposta di piano”, che viene poi approvato direttamente dalla Regione, d’intesa con l’Ente Parco ed i Comuni interessati per quanto riguarda le zone di promozione economica e sociale.

Articolo 55
Procedimento di V.A.S. esteso anche al Piano Pluriennale di Promozione Economica e Sociale (P.P.P.E.S.) ex art. 14 della legge n. 394/1991

Emendamento – Dopo il punto 2.4 della lettera c) del 1° comma dell’art. 55 si propone di aggiungere il seguente punto 2.5:
«2.5) dopo il comma 2 dell’articolo 14 della legge n. 394/1991 è aggiunto il seguente comma 2-bis):
«2-bis. Per la redazione ed approvazione del piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili, di cui al precedente comma 2, si segue il procedimento di valutazione ambientale strategica di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».

Motivazione – Si fa presente che anche il PPPES va sottoposto obbligatoriamente a VAS, perché rientra nei programmi elencati all’art. 6 del D.Lgs. n. 152/2006.

Articolo 55
prevalenza dei piani paesistici sulla pianificazione delle aree naturali protette

Emendamento – Dopo il punto 2.5 della lettera c) del 1° comma dell’art. 55 si propone di aggiungere il seguente punto 2.6:
«2.6) il comma 7 dell’articolo 12 della legge n. 394/1991 è sostituito dal seguente: «7. Il piano ha effetto di dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), il piano dell’area naturale protetta regionale ha valore di piano urbanistico e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione. »

Motivazione – Si fa preliminarmente presente che quasi 7 anni fa l’associazione “Verdi Ambiente e Società” (VAS) aveva chiesto di adeguare il dettato normativo del comma 7 dell’art. 12 della legge quadro n. 394/1991 precisando la cogenza dei piani paesistici sui Piani di Assetto: lo ha fatto sempre in occasione della audizione che il 9 ottobre 2013 la 13° Commissione del Senato ha concesso a VAS e WWF in merito all’esame congiunto delle tre proposte di legge di modifica della legge n. 394/1991 n. 119, 1004 e 1034.
Si prende atto quindi che a tutt’oggi il dettato normativo del 7° comma dell’art. 7 della legge n. 394/1991 (secondo cui il Piano di Assetto di un parco sostituisce ad ogni livello i piani paesistici) non è stato mai adeguato con il secondo periodo del 3° comma dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42/2004, con cui è stato emanato il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, ai sensi del quale “per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione ad incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette”.
Con sentenza n. 108 del 19 maggio 2008 la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione relativa al principio della “cogente prevalenza dei piani paesistici sulla pianificazione delle aree naturali protette”.
In termini pratici si tratta di sancire per legge che le destinazioni dei Piani di Assetto debbono rispettare le prescrizioni impartite dai Piani Territoriali Paesistici Regionali (PTPR) ed in particolare quelle che dettano la tutela integrale e quindi la inedificabilità.
Va fatto presente che, a differenza dello Stato, la Regione Lazio ha adeguato la legge regionale sulle aree protette n. 29/1997 recependo il dettato del 3° comma dell’art. 145 del D.Lgs. n. 42/2004: lo ha fatto con la legge regionale n. 5 del 30 marzo 2009.

Articolo 55
Procedimento di V.A.S. esteso anche alla redazione del piano del Parco
di aree naturali protette regionali

Emendamento – Dopo la lettera e) del 1° comma dell’art. 55 aggiungere la seguente lettera f).
«f) il comma 2 dell’articolo 25 della legge n. 394/1991 è sostituito dal seguente: «2. Il piano per il parco è adottato dall’organismo di gestione del parco dopo aver espletato il procedimento di Valutazione Ambientale Strategica ed è approvato dalla regione. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), il piano dell’area naturale protetta ha valore di piano urbanistico e sostituisce i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello».

Motivazione – come riconosce lo stesso Dossier del Senato, in base all’articolo 5 del D.Lgs. n. 152/2006 la VAS è il processo che comprende: lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità; l’elaborazione del rapporto ambientale; lo svolgimento di consultazioni; la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni; l’espressione di un parere motivato, l’informazione sulla decisione ed il monitoraggio.
Se vale per i parchi nazionali, deve valere anche per i parchi e le riserve naturali regionali.

Articolo 55
Semplificazione in materia di rilascio del nulla osta ex art. 13 della legge n. 394/1991

Emendamento – Dopo la lettera c) dell’art. 55 si propone di aggiungere la seguente lettera c-bis):
«c-bis) dopo il 4° comma dell’articolo 13 della legge n. 394/1991 è aggiunto il seguente comma 5:
«5. A seguito della approvazione dei piani delle aree naturali protette, di cui al precedente articolo, il nulla osta rilasciato dall’Ente di gestione anche delle aree naturali protette regionali assorbe anche l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del D. Lgs. n. 42/2002 e ss.mm.ii., solo nel caso in cui il nulla osta sia stato effettivamente rilasciato

Motivazione – Allo stato attuale per ogni intervento di modifica del territorio di un’area naturale protetta, di livello sia nazionale che regionale, occorre il rilascio preventivo ed obbligatorio non solo del nulla osta dell’Ente parco ma anche della autorizzazione paesaggistica, dovuta al fatto che ai sensi della lettera f) dell’art. 142 del D.Lgs. n. 42/2004 le aree naturali protette rientrano fra i cosiddetti “beni diffusi” soggetti in modo automatico ope legis a vincolo paesaggistico.
Con l’emendamento proposto si viene ad evitare la doppia procedura.
Il testo proposto è lo stesso del comma 7 dell’art. 9 della legge regionale del Lazio n. 24/1998, prima che venisse inspiegabilmente cancellato dalla legge regionale n. 8 del 22 giugno 2012.

Articolo 55
Rapporto tra la valutazione d’incidenza ex d.p.r. 357/1997ed il nulla osta ex art. 13 della legge n. 394/1991

Emendamento – Dopo la lettera c) dell’art. 55 si propone di aggiungere la seguente lettera c-ter):
«c-ter) dopo il 5° comma dell’articolo 13 della legge n. 394/1991 è aggiunto il seguente comma 6:
«6. In caso di aree di Natura 2000 che si sovrappongono in tutto o in parte con i confini di parchi o di riserve naturali nazionali e regionali, il nulla osta dell’Ente Parco deve sempre recepire integralmente sempre e comunque la valutazione di incidenza».

Motivazione – Se i confini delle aree di Natura 2000 si sovrappongono in tutto o in parte con i confini di parchi o di riserve nazionali e regionali, qualsiasi opera o attività da realizzare o svolgere all’interno dell’area su cui grava il doppio vincolo (salvo eccezioni stabilite nei provvedimenti istitutivi, o nelle misure di conservazione), dovrà essere sottoposta rispettivamente a preventiva valutazione d’incidenza ex d.p.r. 357/1997, nonché a nulla-osta ex legge 394/1991. E’ auspicabile che l’istruttoria e il rilascio dei due provvedimenti, siano in capo a due amministrazioni diverse: per il nulla-osta naturalmente sarà competente l’Ente parco e per la valutazione d’incidenza l’amministrazione regionale o provinciale, questo per garantire che la procedura sia eseguita da più professionalità (presenti in amministrazioni diverse) ed ottenere un’analisi completa e differenziata dei potenziali pericoli legati alla realizzazione dell’opera nell’area protetta. Dobbiamo anche tenere ben presente che siamo davanti a due diverse tipologie di Aree protette con misure di conservazione e strumenti di salvaguardia differenti ma pensati per salvaguardare entrambe le specie animali o vegetali, habitat ed ecosistemi, ovvero in generale tutelare la biodiversità, dunque sarà fondamentale coordinare ed integrare i due provvedimenti in parola. Quindi, è necessario stabilire qual’è il rapporto tra questi due istituti dalle caratteristiche e dalle funzioni molto simili, infatti ambedue sono preventivi obbligatori e vincolanti. Tuttavia non può sfuggire che la valutazione d’incidenza, rispetto al nulla-osta del parco, gode di una posizione di forza in virtù della primauté del diritto comunitario sugli Ordinamenti nazionali. Infatti, la Corte di Giustizia, fin dalla sentenza C-6/64 del 15 luglio 1964, (Flaminio Costa – E.N.E.L) ha precisato: “ (…) a differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli Stati membri all’atto dell’entrata in vigore del Trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare. Infatti, istituendo una Comunità senza limiti di durata, dotata di propri organi, di personalità, di capacita giuridica, di capacita di rappresentanza sul piano internazionale, ed in ispecie di poteri effettivi provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di attribuzioni degli Stati alla Comunità, questi hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato quindi un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi. (…) La preminenza del diritto comunitario trova conferma nell’ art. 189, a norma del quale i regolamenti sono obbligatori e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Questa disposizione, che non è accompagnata da alcuna riserva, sarebbe priva di significato se uno Stato potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento legislativo che prevalesse sui testi comunitari. Dal complesso dei menzionati elementi discende che, scaturito da una fonte autonoma, il diritto nato dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità” (…). Dunque il primato del Diritto comunitario, da tempo riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa, esige che sia disapplicata qualsiasi disposizione della legislazione nazionale in contrasto con una norma comunitaria, a prescindere dal fatto che sia anteriore o posteriore a quest’ultima. Tale obbligo compete non solo al giudice nazionale, ma anche a tutti gli organi dello Stato, comprese le autorità amministrative e gli enti territoriali. E’ inevitabile quindi adottare senza indugio ogni provvedimento necessario per assicurare la piena efficacia del diritto comunitario; nel caso specifico, l’esito della valutazione d’incidenza sarà assolutamente vincolante per l’Ente parco, il quale sia per le sue peculiari funzioni illustrate nel paragrafo 3, che per la primauté del diritto comunitario, dovrà recepirne integralmente il contenuto in sede di rilascio del nulla-osta. Naturalmente una valutazione d’incidenza favorevole non potrà mai condizionare il contenuto del nulla-osta, nel senso che l’Ente parco potrà emettere nulla-osta negativo a fronte di una valutazione d’incidenza già rilasciata positivamente. n conclusione possiamo ipotizzare i seguenti scenari: 1. Valutazione d’incidenza favorevole con prescrizioni, in questo caso se l’Ente parco è orientato a rilasciare il nulla-osta positivo deve recepire integralmente nel provvedimento, le prescrizioni della valutazione d’incidenza. 2. Valutazione d’incidenza non favorevole, in questo caso anche se l’Ente parco è orientato a rilasciare il nulla-osta positivo, dovendo recepire il diniego della valutazione d’incidenza, l’Ente è obbligato a rilasciare nulla-osta negativo. 3. Valutazione d’incidenza favorevole, ma l’intervento, l’attività o l’opera da realizzare sono incompatibili con le misure di salvaguardia ovvero con il regolamento e il piano dell’area protetta, quindi l’Ente parco dovrà rilasciare nulla-osta negativo.

Articolo 55
Semplificazione in materia di Zone Economiche Ambientali (ZEA) in regime di misure di salvaguardia

Emendamento – Alla lettera c) del 1° comma dell’art. 55, dopo il 1° comma dell’art. 13 Bis si propone di aggiungere il seguente 2° comma
«dopo il 1° comma dell’art. 13 Bis è aggiunto il seguente 2° comma:
«2. In assenza di piano del parco e conseguente regime di misure di salvaguardia, gli interventi nelle Zone Economiche Ambientali (ZEA) sono autorizzabile solo nella zona 1 più o meno estesamente compromesse dall’urbanizzazione, così come individuata all’interno della perimetrazione provvisoria dell’area naturale protetta».

Motivazione – Il Capo Segreteria Tecnica del Ministro Dott. Tullio Berlenghi ha onorato della sua presenza l’Assemblea Nazionale di VAS che si è tenuta l’8 febbraio 2020: in quell’occasione gli è stata fatta presente la problematica relativa alle Zone Economiche Ambientali dei parchi nazionali, anticipando che VAS avrebbe trasmesso un proprio contributo al riguardo, ai sensi degli artt. 9 e 10 della legge n. 241/1990.
Con nota VAS Prot. n. 1 Pres/2020 del 4 marzo 2020, indirizzata al Ministro dell’Ambiente Sergio Costa ed al Capo Segreteria Tecnica del Ministro Dott. Tullio Berlenghi, con cui si arriva alla conclusione che a zone economiche ambientali dovrebbero essere assimilate, in regime di misure di salvaguardia, solo le zone più o meno estesamente compromesse dall’urbanizzazione, ed invece le aree di promozione economica e sociale dei piani di assetto.
La nota di questa associazione è stata recepita solo per quanto riguarda le zone di promozione economica e sociale individuate dai Piani di Assetto dei Parchi e disciplinate dalle rispettive Norme Tecniche di Attuazione.
È stato ignorato il caso dei regimi dei parchi in misure di salvaguardia, non si sa se volutamente, per non consentire nessun intervento in assenza di piano di Assetto: diversamente, si propone che gli interventi nelle ZEA avvengano nella zona 1 che è quella più o meno estesamente compromessa dall’antropizzazione.

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

 

Roma, 27 luglio 2020

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