Dinosauri e farfalle. BP taglia la produzione di combustibili fossili, Greenpeace: Eni cosa aspetta?

 

Per illustrare come una decisione di British Petroleum (BP) possa avere ripercussioni sull’Italia e sulla più grande azienda di Stato del Paese, Eni, Greenpeace cita  un frase nel film Jurassic Park utilizzata per spiegate la teoria del caos: «Una farfalla batte le ali a Pechino e a New York arriva la pioggia invece del sole».

Luca Iacoboni, responsabile della campagna clima e energia di Greenpeace Italia invita ad andare con ordine: «BP, lo dice il nome, è una compagnia inglese che sul petrolio e il gas ha fondato la propria fortuna.

E’ anche una delle aziende con il più alto livello di emissioni di gas serra, quindi una delle maggiori responsabili della crisi climatica.

Il 5 agosto questa azienda ha dichiarato che entro il 2030 taglierà del 35-40% la propria produzione di gas e petrolio.

Una buona notizia per il clima.

Ma quali sono i motivi di questa scelta strategica così di rottura rispetto al passato?

Dietro una “patina” green cui l’azienda cerca di nascondersi dicendo di avere a cuore le questioni climatiche, c’è anche – o soprattutto – una questione economica.

BP ha registrato una perdita di 16,8 miliardi di dollari nel secondo trimestre 2020, in quanto ha svalutato il valore di alcune attività, tra cui le riserve di petrolio e gas non sfruttate, a causa della riduzione delle previsioni sul prezzo del petrolio.

La società prevede che la domanda di combustibili fossili diminuirà del 75% nei prossimi 30 anni se l’aumento delle temperature globali sarà limitato a 1,5 gradi centigradi, o del 50% se il riscaldamento sarà inferiore ai 2 gradi.

BP ha dichiarato dunque che la sua produzione di petrolio e gas diminuirà di almeno un milione di barili al giorno entro il 2030, con una riduzione del 40% rispetto ai livelli del 2019».

Poi Iacoboni torna alla farfalla, che «nel nostra caso sbatte le ali in Inghilterra e rischia di far arrivare la pioggia in Italia.

Anche il Belpaese infatti ha un’azienda, per di più statale, che ha costruito le proprio fortune sul settore del petrolio e del gas.

Si chiama Eni, e sebbene sia ricordata dai più per pubblicità tinte di verde, è in realtà il più grande inquinatore italiano in termini di emissioni di CO2.

Eni ha recentemente presentato dei piani industriali in cui si prevede di aumentare la produzione di idrocarburi del 3,5% annuo fino al 2025.

Piani che sono stati parzialmente modificati con l’emergenza Covid, ma la cui sostanza rimane valida.

Contemporaneamente l’azienda che fu di Mattei dichiara anche di voler diminuire le proprie emissioni».

Infatti, perfino l’insospettabile think tank Carbon tracker ha valutato come il migliore al mondo nel settore l’ambizioso piano di Eni di abbattere l’80% le emissioni di CO2 legate al proprio business in termini assoluti (incluso lo scope 3) entro il 2050.

Iacoboni pensa che si tratti di greenwashing di alto livello, visto che scrive: «Come è possibile, si potrebbero domandare i cittadini italiani, un po’ confusi da questa differenza tra annunci e investimenti?

Con la “compensazione”, una parola magica che permette a Eni di aumentare la produzione di idrocarburi e, nonostante questo, fissare obiettivi di riduzione delle emissioni.

In pratica, mentre continuerà ad estrarre petrolio, e soprattutto, gas, l’azienda italiana finanzierà progetti di conservazione delle foreste.

Come se evitare che una foresta venga tagliata possa rendere più accettabile il fatto di continuare ad inquinare il Pianeta.

Ma non è tutto: con investimenti supportati da ingenti fondi pubblici, Eni vuole anche stoccare sotto terra parte della CO2 che produrrà, grazie alla cosiddetta “cattura e stoccaggio della CO2”.

Una tecnologia al momento molto costosa e il cui impatto di lungo periodo non è del tutto chiaro.

Tutto questo per non diminuire la propria produzione di idrocarburi.

Dunque se in Inghilterra la British Petroleum dichiara di tagliare del 40% la propria produzione di gas e petrolio entro il 2030, in Italia Eni conta di aumentare questa produzione inquinante di oltre il 15% nei prossimi 5 anni».

L’esponente di Greenpeace Italia conclude: «Per tutto quello che non è gas fossile, restano le briciole.

Il piano d’azione 2020-2023 prevede investimenti totali nella produzione di idrocarburi per 24 miliardi di euro a fronte di 2,6 miliardi di euro in energie rinnovabili.

Anche in questo caso le cifre sono state in parte riviste a causa del crollo del prezzo del petrolio e del gas, ma la direzione strategica è chiara e con queste cifre il piano Eni è una colossale presa in giro sul clima.

In questo quadro, in cui l’azienda di San Donato Milanese dimostra di voler continuare ad inquinare anche quando questo business sembra essere sempre meno remunerativo, mettendo dunque a rischio gli stessi azionisti dell’azienda, la notizia di BP assume un valore potenzialmente dirompente.

Potrebbe essere la famosa farfalla che, sbattendo le ali in Inghilterra, porta un cambiamento radicale anche in Italia.

E speriamo che, anche grazie a questo, non si faccia la fine dei dinosauri».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 7 agosto 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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