Il mammut che scongela il passato

 

Una fotografia livida e lunghi movimenti di camera, intervallati a primi piani di volti morsi dal freddo, ci accompagnano nelle remote isole della Nuova Siberia.

In pieno Mar Glaciale Artico.

Con lo scongelamento del permafrost dovuto al surriscaldamento, la caccia all’oro bianco – le zanne dei mammut estinti migliaia di anni fa – sconvolge e mescola passato, presente e futuro.

E rivela uno scenario futuristico, in cui il mondo, come oggi lo conosciamo, potrebbe essere sovvertito.
Così, si apre Genesis 2.0 di Christian Frei, documentarista svizzero già candidato all’Oscar per The War Photographer, che firma la regia di questo film, nelle sale italiane da oggi, con il giovane Maxim Arbugaev, nato nel 1991 a Tiksi proprio sulla costa del Mar Glaciale Artico.

CON UN APPROCCIO all’irregolarità umana che ricorda i lavori di Werner Herzog (Grizzly Man, per esempio), il film osserva la dura vita dei cosiddetti cacciatori di mammut nella remota Siberia artica.

Un insieme di storie al limite in un territorio brullo e incontaminato, storie contagiate da una febbre dell’oro che, non senza straniamento, sembra attingere all’immaginario dei romanzi di Jack London.

Ma è tutto vero, cinema del reale.

Una zanna di mammut può valere tra i 45 mila e i 90 mila dollari.

UN GIORNO IL GRUPPO DI CACCIATORI scopre qualcosa in più di una zanna, trova una carcassa di mammut straordinariamente conservata.

Ancora con la pelliccia e, addirittura, con del sangue liquido.

Un ritrovamento che attira l’attenzione di ricercatori russi e coreani (ma non solo) all’avanguardia nel campo della clonazione e in cerca di quelle cellule di questo gigante peloso della Preistoria che abbiano ancora al loro interno il massimo grado possibile di Dna intatto.

Vogliono riportare in vita il mammut lanoso e ridare vita alla sua specie.

L’uomo che diventa creatore.

Una hybris che, all’alba di una rivoluzione tecnologica, attrae e inquieta.

Ed è condivisa dai personaggi del film, dal paleontologo Semjon Grigoriev direttore del Museo del Mammut di Jakutsk, la città più fredda del mondo nell’Estremo Oriente russo, al genetista americano George Church, professore alla Harvard Medical School, fino al discusso scienziato coreano Woo Suk Hwak.

E poi, nelle lande più a Nord, ci sono i cacciatori di zanne (come Pjotr Grigoriev, fratello di Semyon), che rischiano la vita, e di cui piano piano conosciamo speranze e sofferenze.

A tutto questo la pellicola si avvicina con curioso scetticismo.

Pone domande e non condanna.

Cerca di comprendere il nuovo e lo strano senza per questo fidarsene.

«Utopia e distopia, curiosità e scetticismo: questi sono i principali conflitti del nostro film.

E lo spirito con cui è costruito», spiega Christian Frei.

A RECITARE UN RUOLO DA PROTAGONISTA lungo le frontiere della biologia sintetica – una rivoluzione scientifico-tecnologica ma anche un gioco multimilionario – sono sicuramente le isole della Nuova Siberia: un vero frigorifero dell’evoluzione in via di scioglimento.

L’Artico si è scaldato il triplo della media mondiale e la prima metà del 2020 è stata caldissima: il 20 giugno a Verkhojansk sono stati registrati 38 gradi, si tratta della temperatura più alta della storia a nord del Circolo polare artico. Ecco perché il permafrost vacilla.

E più si scongela il permafrost, più si alza la temperatura, e più si scongela il permafrost.

È un circolo vizioso.

Questo suolo perennemente ghiacciato per centinaia di metri di profondità, che contiene metano e Co2 (la cui liberazione in atmosfera preoccupa gli scienziati), ha conservato i resti di un passato remoto, materiale organico, per esempio, che trova luce sempre più.

Se uno vuole rinvenire fossili di mammut ottimamente conservati, la Russia settentrionale è il posto giusto dove recarsi.

Secondo il Museo del Mammut di Jakutsk, il 75% dei mammut conosciuti al mondo, e dei tessuti molli conservatisi, sono stati ritrovati in Jakuzia.

DODICIMILA CHILOMETRI DALL’ITALIA. 

Genesis 2.0, distribuito qui da noi da Trent Film, è un racconto ai confini del mondo di una storia che sotto vari aspetti, dalle sperimentazioni genetiche architettate a suon di big data all’irreversibile surriscaldamento del pianeta, potrebbe diventare presto centrale per i destini dell’umanità.

È in presa diretta grazie all’esperienza di Arbugaev, che ha vissuto con i cacciatori come un loro pari filmandoli e riprendendosi durante un’intera estate.

Le immagini di Frei e Arbugaev dominate da una inscalfibile scala di grigi disegnano un’atmosfera vicina a quella del romanzo post apocalittico La strada di Corman McCarthy (l’adattamento cinematografico di John Hillcoat è del 2009).

La colonna sonora, malinconica ed ipnotica, firmata da Max Richter – uno dei compositori più interessanti del panorama internazionale (sue le musiche di Valzer con Bashir e L’amica geniale) – ed Edward Artemyev, inseparabile collaboratore di Andrej Tarkovskij, è il perfetto connubio allo stile di Frei.

GLI INTERROGATIVI ESCATOLOGICI mossi dall’opera, spaventano e non trovano risposta, contemplano il dubbio.

Come le corde profonde mosse dal canto epico recitato da una voce femminile a inizio e a fine opera: «Guarda qui/ spalle larghe hai! Ma stupido sei/ Forte abbastanza sei/ ma imprudente sei/ Sciocco e sbruffone sei!/ Come hai fatto a liberare/ quel terribile demone?/ Da quando è diventato il tuo più caro amico?».

Sono versi tratti da Olonkho – Eles Bootur dichiarato capolavoro dell’umanità, della tradizione orale e intangibile dall’Unesco nel 2005.

Si tratta di un antico canto epico di Jakutsk, un poema che contiene dai 10 mila ai 15 mila versi e viene recitato dai cantastorie della Sacha-Jacuzia.

 (Articolo di Mauro Ravarino, pubblicato con questo titolo il 24 settembre 2020 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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