Migliaia di piante commestibili ci aiuteranno a sopravvivere al caldo

 

Ci sono oltre 7 mila piante commestibili che potrebbero aggiungersi al menu dei prossimi anni.

Fagioli che crescono nei deserti meridionali dell’Africa o spinaci di una specie ancora sconosciuta scoperti in California.

In molti casi si possono mangiare sia crude che cotte e di sicuro rinnoveranno la nostra dieta dove il 90% della verdura consumata è riconducibile a solo 15 piante.

In tutto, l’anno scorso sono state scoperte 1942 nuove specie vegetali e 1866 di funghi secondo il rapporto globale sullo stato delle piante dei Kew Gardens di Londra presentato oggi nei giardini botanici di sua Maestà.

Tra le varietà che si sono rivelate eduli ci sono parenti selvatici dell’aglio e frutti simili all’ananas che maturano solo sulle isole del Pacifico e dell’Oceano indiano.

Se il patrimonio naturale delle piante eduli si allarga, i nuovi dati della ricerca, arrivata alla quarta edizione, dimostrano che oltre il 10% delle piante officinali, i cui principi attivi sono alla base di molti prodotti farmaceutici o della medicina tradizionale, sono a rischio estinzione per la crescente domanda di terapie alternative.

Lo sfruttamento quasi industriale della Brugmansia sanguinea, una pianta tropicale diffusa sulla catena delle Ande e utilizzata per curare i disturbi circolatori di recente è stata dichiarata estinta in natura dalla Iucn.

Un destino che rischia di condividere con altre specie in bilico come la Nepenthes khasiana, una carnivora originaria dell’India che attira gli insetti con trappole luminescenti e ha proprietà antimicrobiche per la pelle, o la corteccia dell’albero Warburgia salutaris che nella farmacopea Masai è indicato come rimedio contro la malaria.

Le nostre società, per troppo tempo, sono state dipendenti da poche specie di piante e non hanno saputo decifrare la ricchezza che può offrire la biodiversità per l’alimentazione e per la salute – ha spiegato Alexandre Antonelli, direttore scientifico dei Kew Gardens – Per migliaia di anni abbiamo chiesto alla natura soluzioni per nutrirci, curare le malattie, costruire le nostre case e rendere le nostre vite più confortevoli, ma tutta questa conoscenza è basata su strumenti rudimentali che non sono in grado di raccogliere il pieno potenziale della diversità biologica“.

Secondo la ricerca 2 piante su 5 non se la passano bene tra riscaldamento globale, parassiti e attività umane sempre più invasive.

Quattro anni fa la proporzione era una su 5, con un aumento di quasi il 18%.

Per accelerare i piani di conservazione o la protezione di aree naturali con specie rare ai Kew Gardens è in fase di sviluppo un sistema di intelligenza artificiale che promette di misurare, con un’accuratezza del 90 per cento e alla velocità della luce, le probabilità di sopravvivenza di una pianta.

Un capitolo a parte riguarda i funghi, di cui si conoscono 148 mila specie ma secondo i biologi potrebbero essere circa quattro milioni.

Questi organismi del sottosuolo potrebbero rivelarsi il fattore X dei biocarburanti del futuro.

Gli enzimi del Trichoderma reesei possono amplificare la rendita energetica della legna da combustibile mentre con altri come quelli del lievito di birra (Saccharomyces cerevisiae) si possono realizzare pannelli fotovoltaici vegetali simili a celle a combustibile microbiche, che producono energia elettrica dai processi naturali. 

In base al rapporto sono circa 2.500 le piante candidate a produrre energia contro le 6 colture che oggi coprono circa l’80% della produzione di carburante vegetale: mais, canna da zucchero, soia, olio di palma, colza e grano.

In Africa orientale, l’olio derivato dalle noci di specie arboree autoctone come il Croton megalocarpus viene estratto per sostituire il diesel nei generatori elettrici.

(Articolo di Fabio Marzano, pubblicato con questo titolo il 30 settembre 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

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