Cibo, Wwf: mangiamo il 70% della biodiversità terrestre e il 50% di quella di acqua dolce

 

Secondo il rapporto“Invertire la rotta: il potere riparatore delle diete amiche del Pianeta”, presentato oggi dal Wwf,  «abbiamo solo 9 anni per rivedere il sistema di produzione alimentare a livello globale, attraverso un cambio dei regimi alimentari di ciascun paese: solo così potremo invertire il trend in picchiata della perdita di biodiversità.

Il modo con cui ci alimentiamo ha, infatti, causato, finora, la perdita del 70% di biodiversità terrestre e del 50% di quella d’acqua dolce.

Stiamo divorando il Pianeta senza capire quanto la nostra salute sia profondamente connessa con quella dell’ambiente in cui viviamo, come ha dimostrato anche la crisi Covid-19.

La scelta di cambiare i nostri regimi alimentari ormai è obbligata e non riguarda solo quale cibo scegliamo, ma anche in che modo i nostri alimenti vengono prodotti e da dove provengono».

Il rapporto è stato pubblicato in occasione  del lancio della Food Weeek, in preparazione della Giornata mondiale dell’alimentazione del 16 ottobre, «una settimana di sensibilizzazione sull’alimentazione – spiegano al Panda –  con un palinsesto di informazioni e consigli, divertenti clip video rivolte ai consumatori, storie sul campo dall’agricoltura alla pesca affrontando anche il tema della convivenza tra uomo e specie selvatiche nei territori dove si produce cibo.

Utilizzando l’hashtag #Menu4Planet tutti i canali web e social del Wwf proporranno quindi un lungo Menù di azioni per un’alimentazione amica del Pianeta».

Il  rapporto è una ricerca scientifica condotta sulle diete di 147 Paesi di tutto il mondo che «mostra gli impatti che i diversi regimi alimentari e scelte di consumo provocano su ambiente, biodiversità, suolo e clima e anche sulla nostra salute».

Quindi non solo una visione globale, ma anche l’indicazione per un approccio locale per favorire l’adozione di diete sostenibili per uomo e natura a livello nazionale e individuale.

Secondo l’analisi, «la scelta di un “modello alimentare amico del Pianeta” a livello globale comporterebbe: aria più pulita e temperature più basse con una riduzione di circa il 30% delle emissioni di gas serra, maggiore biodiversità sul Pianeta, riducendone di almeno il 5% la perdita, più spazio per natura e specie poiché si ridurrebbe di almeno il 40% il bisogno di terreni agricoli, una popolazione più in salute e con un’aspettativa di vita più lunga poiché il tasso di mortalità prematura si ridurrebbe di almeno il 20%».

Isabella Pratesi, direttrice conservazione di Wwf Italia, sottolinea che «è più che mai urgente muoversi verso un cambiamento collettivo delle nostre abitudini di produzione e consumo degli alimenti, per poter garantire il benessere futuro ad una popolazione globale in continua crescita.

Con questo report istituzioni e cittadini hanno a disposizione uno strumento scientifico fondamentale per valutare l’avvio di programmi nazionali di transizione delle diete in una direzione che sia rispettosa della salute globale, del clima, della biodiversità e degli obiettivi di sostenibilità ambientali.

In sostanza la dieta che il Wwf raccomanda di fare comporta scelte non solo sul tipo di alimenti, ma anche sui metodi di produzione e soprattutto sulla loro provenienza».

Il Wwf ha anche messo a disposizione un calcolatore come strumento di verifica della sostenibilità della dieta individuale che consente di identificare i comportamenti che possiamo mettere in atto a tavola.

Ai consumatori italiani il Wwf suggerisce 7 parole chiave per migliorare a favore del pianeta il loro regime alimentare: «Locale (privilegiare prodotti locali e di stagione), VEGETALE (mangiare più cereali, legumi, ortaggi e frutta che carne), Bio (prediligere prodotti provenienti da agricoltura biologica), Responsabile (scegliere il pesce giusto, consumando pesce adulto e specie meno conosciute), Sano (mangiare cibi sani e nutrienti e ridurre al minimo gli alimenti eccessivamente trasformati), Vario (diversificare  la dieta), Antispreco (ridurre gli sprechi, mangiando tutto ciò che si acquista)».

Eva Alessi, responsabile consumi sostenibili e risorse naturali di Wwf Italia, spiega:«In breve, mangiando prodotti più sani e sostenibili, il nostro sistema alimentare richiederà un minor sfruttamento di terra e lo spazio che prima veniva utilizzato per l’agricoltura, potrà essere impiegato per altri scopi come ad esempio stoccare il carbonio e recuperare spazio per la biodiversità.

Per fare questo, abbiamo bisogno di trasformare l’intero sistema dell’alimentazione dalla produzione al consumo fino alla gestione delle perdite e degli sprechi.

Adottare una dieta sostenibile significa consumare in maniera responsabile e spostare la domanda del mercato per accelerare altre azioni e dare il proprio contributo al raggiungimento di un sistema alimentare sostenibile per tutti».

Il rapporto avverte che abbiamo a disposizione poco tempo per cambiare il nostro menù: «In assenza di interventi urgenti, l’umanità entrerà velocemente nei prossimi decenni in un grave stato di emergenza.

Ci restano solo 9 anni – e quindi solo 9 raccolti, 9 stagioni di pesca, etc – per trasformare il sistema alimentare e raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

In alternativa dovremo essere disposti a affrontare danni potenzialmente irreversibili a tutto ciò che ci circonda.

Gli impatti negativi di ciò che mangiamo sono stati messi alla luce molto recentemente anche in occasione della crisi del Covid-19, rendendo chiaro a tutti che se continuiamo a sfruttare senza limiti le risorse naturali assisteremo con ogni probabilità all’incremento di crisi globali come la pandemia appena trascorsa.

Tra le principali cause alla base della diffusione di malattie infettive come il Covid-19, è stato dimostrato essere l’insostenibile conversione di terre per l’agricoltura, gli allevamenti intensivi e il traffico illegale di specie selvatiche, spesso per il consumo alimentare».

Approfondendo la situazione del nostro Paese viene fuori che «in media per ogni pasto di un italiano, il cibo consumato percorre quasi 2.000 chilometri prima di arrivare a tavola.

Fino all’era industriale il cibo veniva prodotto per lo più “dietro l’angolo”, da allevamenti, mari e terreni vicini al consumatore.

Oggi con l’avvento delle multinazionali, il processo di produzione degli alimenti è sempre più dislocato in vari Paesi del mondo e buona parte del cibo che consumiamo proviene dall’estero, come gli asparagi dal Cile o le carote importate dal Sud Africa o i gamberi dall’Argentina.

Così abbiamo un peggiore sfruttamento delle risorse naturali (ed umane), sia in ambito agricolo che nella pesca, nonché una peggiore qualità dei cibi prodotti che nel trasporto perdono molti nutrienti.

L’impatto ambientale aumenta in modo particolarmente significativo se l’importazione è per via aerea».
Da qui parte il primo dei principi indicati dal Wwf: la scelta di prodotti alimentari coltivati nel proprio territorio: sono ormai centinaia le tipologie di offerte di prodotti locali, dai GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) all’e-commerce promosso da aziende agricole.

Il Wwf vuole dedicare la Food Week ai produttori locali invitando tutti i consumatori a «valorizzare le piccole realtà locali e favorire l’agrobiodiversità, che negli ultimi anni. si è notevolmente ridotta sotto la spinta dell’aumento della produttività e dei profitti. L’espansione di monocolture, infatti, riduce la capacità dei territori di adattarsi ai cambiamenti ambientali in atto».

Inoltre, gli ambientalisti ricordano che «se mangiare frutta e verdura è importante, altrettanto importante è mangiarle nel momento giusto, scegliere come principio la stagionalità.

In natura le specie animali si nutrono in maniera diversa a seconda delle stagioni e questo è importante per la conservazione degli ecosistemi.

L’uomo, grazie alla tecnologia e alle importazioni, può potenzialmente mangiare in ogni momento dell’anno qualsiasi alimento mentre uno dei principi più importanti di una dieta sana ed equilibrata è proprio la varietà. 

I prodotti di stagione, soprattutto se locali, impiegano poco tempo per arrivare sulle nostre tavole mantenendo così un più elevato contenuto di vitamine e nutrienti rispetto a quelli fuori stagione.

Oltre agli aspetti salutistici ci sono le questioni ecologiche: i prodotti di stagione aiutano l’ambiente perché in generale determinano minori emissioni di carbonio.

La produzione in ecosistemi artificiali o in serre richiede un enorme quantità di energia per il mantenimento delle temperature di coltivazione, energia che viene prodotta in massima parte con l´impiego di combustibili fossili.

È il caso del pomodoro dove, per la coltivazione in serra, il fattore di emissione è circa 60 volte superiore a quello della coltivazione in campo.

In inverno, una buona soluzione per ridurre il consumo di pomodori freschi sta nell’usare le conserve e limitare al massimo le insalate, mangiando altre verdure e provando ricette diverse».

In un Pianeta con risorse che sono in progressivo esaurimento e dove aumenta la diffusione di patologie croniche non trasmissibili, è fondamentale uno stile di vita e alimentare che favorisca il benessere umano e quello ambientale.

«La buona notizia – dicono al Wwf – è che il cibo che ha impatti maggiori sull’ambiente è anche quello che dovremmo mangiare meno perché poco idoneo a una vita in salute.

Oggi, grazie a numerosi studi sull’argomento, sappiamo con certezza che la dieta occidentale, ricca di carne, latticini e grassi di origine animale, con forte incidenza di alimenti iperprocessati, è all’origine di molte patologie attuali e morti premature, nonché è la più pesante per il clima: il solo settore zootecnico è responsabile del 18% delle emissioni del Pianeta, più del settore dei trasporti, per non parlare dei rilevanti impatti sugli ecosistemi, essendo una delle principali cause di deforestazione, degrado del suolo e delle risorse idriche».

Ma anche gli oceani sono sovrasfruttati: il 31% degli stock ittici globali è sfruttato al di sopra del livello di sostenibilità e il 61% sfruttato a pieno regime.

Nel Mediterraneo, il 78% degli stock valutati sono sovrasfruttati.

Per quanto riguarda l’agricoltura e l’allevamento, per avere un chilo di ortaggi sulla nostra tavola si producono gas serra che vanno da un minimo di 250 grammi a un massimo di 5 kg, per la carne si sale a più di 3 kg fino a 60 kg, per il formaggio tra 5,3 e 14 kg.  

Per produrre un kg di carne si va da 4.000 a ltre 15.000 litri di acqua (per un kg di carne bovina).

Sostituendo un filetto di manzo con altre fonti proteiche di origine vegetale (come i legumi) il riscaldamento globale si ridurrebbe dell’80% e si avrebbe un consistente risparmio di acqua.

Il Wwf ricorda che «mangiare è un gesto ecologico: ognuno di noi può incidere in maniera positiva o negativa sulla propria salute e allo stesso tempo su quella dell’ambiente a seconda di cosa sceglie di mettere in tavola.

C’è quindi un legame molto stretto tra alimentazione sana e alimentazione sostenibile: basti pensare che un regime alimentare bilanciato e corretto come quello flexitariano, molto simile ai principi della nostra dieta mediterranea, a base di pasta e altri cereali, verdure, frutta e olio di oliva, limitato consumo di carne e derivati animali, ha un impatto ambientale del 60% inferiore rispetto a un’alimentazione di tipo occidentale, sbilanciata verso prodotti di origine animale e meno ricca di vegetali».

Il Panda conclude: «Governi e istituzioni di tutto il mondo dovrebbero elaborare linee guida per accompagnare i cittadini nello scegliere la propria alimentazione non solo tenendo conto dei valori nutrizionali ma anche della loro sostenibilità ambientale.

Per esempio, abitudini alimentari con un consumo eccessivo di carne sono ricche di grassi e colesterolo, e possono essere responsabili di problemi di obesità, diabete e di disturbi cardiovascolari.

Consumo di frutta, verdura, cereali e legumi locali e di stagione, soprattutto se provenienti da forme di agricoltura sostenibili, come il biologico, può contribuire a migliorare la fertilità dei terreni, a tutelare le riserve idriche e a proteggere la biodiversità.

A partire da queste considerazioni, è importante tenere presente che ogni paese ha differenti condizioni economico-ambientali e le diete più idonee per salvaguardare ambiente e persone possono variare di realtà in realtà.

Per questo la nuova analisi “Invertire la rotta: il potere riparatore delle “diete amiche del Pianeta” del WWF è fondamentale a inquadrare i comportamenti di consumo ideali in ogni area del mondo.

E’ necessario capire l’urgenza e l’importanza di questa chiamata, perché ognuno di noi con un quotidiano comportamento responsabile di consumo può dare un enorme contributo sia alla salvaguardia del Pianeta che alla tutela del benessere delle persone».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 9 ottobre 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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