Alpi orientali, come stanno i boschi due anni dopo la tempesta Vaia

 

Il 29 ottobre saranno passati due anni da Vaia, la tempesta perfetta che ha abbattuto 14 milioni di alberi (quasi tutti abeti rossi) nelle valli alpine di Lombardia, Trentino, Veneto, Friuli.

Caduti come bastoncini colorati in una tragica partita di Shanghai: in una notte sono stati persi volumi equivalenti a sette anni di tagli boschivi in tutta Italia.

I danni economici sono stati quantificati in 2,9 miliardi di euro.

Vaia segna uno spartiacque nella gestione forestale, che deve fare i conti con l’emergenza climatica, e nel riconoscimento del valore non solo materiale del bosco.

Il 29 ottobre del 2018 nel Nordest quattordici milioni di alberi furono abbattuti da venti che soffiavano fino a 200 km/h. La tempesta perfetta ha abbattuto 14 milioni di alberi nelle valli alpine di Lombardia, Trentino, Veneto, Friuli. Solo in provincia di Trento sono stati aperti 550 cantieri. E dopo gli abeti rossi si sperimenta l’introduzione di altre specie, come larice e faggio. Vaia segna uno spartiacque nella gestione forestale, che deve fare i conti con l’emergenza climatica, e nel riconoscimento del valore non solo materiale del bosco.

Ancora tre/quattro anni per pulire le zone più impervie

In che condizioni sono le foreste delle Alpi Orientali a 24 mesi da quell’evento meteorologico estremo?

E cosa si sta facendo concretamente per ricucire il prezioso tessuto lacerato?

Saliamo da Cavalese fino ai 2.047 metri di passo Manghen, tra la Val di Fiemme e la Valsugana: sul versante est il bosco è orizzontale, i tronchi degli abeti ormai ingrigiti sono a terra, corpi senza vita sparpagliati su pendii spogli.

Eppure fervono i lavori: incrociamo una colonna di tir e trattori con rimorchi strapieni di tronchi, ai lati della strada stretta e tortuosa altri operai forestali caricano tonnellate di materiale sui bilici, cataste ordinatissime si susseguono tra un tornante e l’altro.

In provincia di Trento abbiamo aperto 550 cantieri, 345 imprese sono impegnate nei lavori di esbosco“, raccontano i forestali.

Abbiamo recuperato quasi tutto nelle zone più accessibili, rimangono tre o quattro anni per la pulizia delle aree più impervie“.

Sui versanti che guardano a occidente sembra che Vaia non sia mai passata: svettano dritti e verdissimi gli abeti rossi, fratelli fortunati di quelli dall’altra parte della valle sradicati da un vento che correva a più di 200 chilometri all’ora.

Il nuovo sentiero

La Val di Fiemme rappresenta una delle eccellenze europee nella gestione delle foreste: 20 mila ettari oltre i 1.500 metri che appartengono da più di 900 anni alla Magnifica comunità di Fiemme, una proprietà collettiva costituita dagli abitanti di 11 regole (i nove comuni della valle più la ladina Moena e la tedesca Trodena in Alto Adige).

Tuttavia, anche la Magnifica per sopravvivere deve cambiare passo.

Ma in quale direzione?

La rinascita delle valli devastate da Vaia a rischio valanghe: “Qui ci rimbocchiamo le maniche“.

Michele Novak, dottore forestale di Fsc Italia, la ong indipendente nata per promuovere la gestione responsabile di foreste e piantagioni, descrive le cause del disastro e traccia il nuovo sentiero: “La monocoltura di abete rosso è frutto di decisioni prese cento anni fa, l’effetto domino di Vaia è stato facilitato dal fatto che moltissimi boschi avevano alberi della stessa età e della stessa altezza, con radici superficiali“.

Ora è necessario cambiare i piani forestali.

Con l’aiuto della ricerca genetica e del supporto scientifico dell’Università di Padova“, continua Novak, “sui versanti schiantati in Val di Fiemme e sull’altopiano di Asiago sperimentiamo l’introduzione di altre specie autoctone, come il larice e l’abete bianco, il faggio e il sorbo, per aumentare la biodiversità e avvicinare il bosco a uno stato più naturale“.

“La natura ci sta dando una mano”

Gli fa eco Ilario Cavada, forestale della Magnifica comunità di Fiemme: “Nei vivai trentini abbiamo a disposizione 800 mila piantine all’anno.

E la natura ci sta dando una mano: il bosco si espande spontaneamente alla velocità di un metro quadrato al minuto, in un giorno cresce di un volume pari a quello di una casa“.

Resistenza e resilienza sono le parole d’ordine dei boschi del futuro: “Simuliamo quello che accadrebbe in natura.

Piantiamo gli alberi a gruppetti, favoriamo la varietà delle specie, la crescita delle piante vicino alle vecchie ceppaie.

Puntiamo molto sul larice, la specie che ha resistito di più ai venti di Vaia e alle quote più alte introduciamo il pino cembro“.

La natura, si sa, ha i suoi tempi: “il bosco adulto nelle Alpi, con piante alte 30-35 metri, ha bisogno di 120 anni per formarsi, ma già dopo 10-15 anni l’apparato radicale è in grado di trattenere il suolo eliminando il rischio idrogeologico“.

Il valore di un bosco

Alberto Pauletto, manager Fsc, punta a valorizzare “le funzioni naturali della foresta, troppo spesso sottovalutate, come la cattura della CO2, lo stoccaggio del carbonio, il mantenimento della biodiversità, della qualità dell’acqua e del suolo”.

Perché un grande bosco sano, come quello che si sta ricostruendo in Trentino, custodisce una ricchezza ecologica, sociale e culturale inestimabile e Vaia ha contribuito a ricordarcelo.

(Articolo di Marco Angelillo, pubblicato con  questo titolo il 15 ottobre 2010 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

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