Green Deal, la scommessa europea per uscire dalla crisi

 

 BRUXELLES – L’Unione europea resta attaccata alla speranza di poter salvare gli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici (Cop21) di cui è stata la regista e la promotrice.

Da quel dicembre del 2015 gli europei hanno fatto grandi passi avanti lanciando, con la nuova Commissione di Ursula von der Leyen, il Green Deal, che si prefigge di fare dell’Europa il primo continente “neutrale” in materia di emissioni entro il 2050.

L’obiettivo è ambizioso.

Ma per Bruxelles la battaglia ecologista non è solo coerente con le convinzioni e la sensibilità della maggioranza della sua popolazione e dei suoi governi.

C’è molto di più in gioco.

Si tratta di una questione identitaria, di leadership politica e di sopravvivenza economica.

Innanzitutto gli accordi di Parigi sono stati l’ultimo risultato di governance multilaterale che la storia ricordi, sottoscritto da 195 tra governi e organizzazioni internazionali.

E per l’Europa la sopravvivenza di un mondo collegato da una rete di negoziati multilaterali, dal clima al commercio alla salute, resta una priorità.

E’ un modo a noi congeniale per garantire l’ordine mondiale in contrapposizione alla tendenza verso le prove di forza unilaterali delle grandi potenze, a partire dagli Stati Uniti di Donald Trump.

In secondo luogo la battaglia per preservare il Pianeta limitando le emissioni nocive è uno dei terreni su cui si esercita una riconosciuta leadership mondiale dell’Europa.

Non solo perché in questo campo gli europei sono più avanzati del resto del mondo, ma anche perché esiste un filo rosso che fino ad ora ha sempre collegato regimi democratici e sensibilità ambientale.

La ricerca del consenso attraverso la tutela dell’ambiente è un segno distintivo delle democrazie avanzate e un modello di sviluppo politico per miliardi di persone in tutto il mondo, che magari vivono in regimi più autoritari.

a la battaglia ambientale è anche una enorme scommessa economica.

Per due motivi.

Il primo è che l’Europa ha ormai puntato tutte le sue carte su una riconversione industriale trainata dal Green Deal.

Non vogliamo più trovarci ad essere all’avanguardia per la diffusione di veicoli elettrici ma dover dipendere interamente dall’Estremo Oriente per la produzione di batterie, come accade ora.

Nel lanciare il “Next Gen Eu” per fare fronte alla crisi indotta dall’epidemia, Ursula von der Leyen ha ricordato che il 37% dei 750 miliardi del Recovery fund saranno comunque destinati a obiettivi previsti dal Green Deal.

E un terzo dei fondi che l’Europa raccoglierà indebitandosi sui mercati dovrà provenire investimenti della finanza verde, cioè da titoli che abbiano un elevato coefficiente di rispetto per l’ambiente.
Il secondo motivo è che la leadership europea nella tutela dell’ambiente ci permetterà anche di tutelare il nostro mercato, tassando le importazioni da Paesi che hanno standard ambientali, e dunque costi di produzione, inferiori ai nostri.

La “green tax” è una delle prossime mosse dell’Europa, che è il primo mercato mondiale, per stimolare gli altri Paesi verso politiche più ecologiche.

Se gli Usa usciranno definitivamente dagli accordi di Parigi, dovranno anche prepararsi ad una nuova guerra commerciale con la Ue.

(Articolo di Andrea Bonanni, pubblicato con questo titolo il 21 ottobre 2020  sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas