Il Parco archeologico fantasma: previsto dalla legge e mai istituito

 

Se ne discute da vent’anni, e forse non si farà mai.

Lo strano caso del Parco archeologico delle Alpi Apuane, finanziato e mai realizzato, svela i rapporti di forza sull’oro bianco di Carrara.

La vicenda è raccontata sul sito del Parco regionale delle Apuane, che accusa il ministero dell’Ambiente di aver «impedito l’istituzione del Parco archeologico» e di conseguenza la conservazione e la valorizzazione «di siti e beni di elevato valore storico e paesaggistico, lasciandoli in una condizione di potenziale pericolo di distruzione, poiché spesso contigui ad attività di trasformazione estrattiva in atto».

Il Parco archeologico doveva essere uno strumento per la valorizzazione della storia millenaria dell’estrazione del marmo, delle cave storiche come delle tecniche di escavazione: un Parco che comprendesse Fossacava, la più grande cava romana di marmo (con il marmo delle Apuane sono stati realizzati la colonna Traiana e il Pantheon, solo per fare qualche esempio), la cava del Polvaccio, nota come cava di Michelangelo, così come le vie di lizza, le ardite strade lungo le quali i blocchi venivano fatti scendere dalle montagne, i piani inclinati o le stazioni della ferrovia marmifera.

Il Parco archeologico era previsto in una legge del 2000 e l’ente gestore era stato individuato in un consorzio tra i ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali, la regione Toscana, gli enti locali e il Parco regionale delle Alpi Apuane.

Mentre a Roma si avviava la macchina per la costituzione dell’ente, in Toscana si raccoglievano i consensi degli enti locali.

Nel 2003 da Roma arriva il primo altolà: servono correttivi al decreto istitutivo e il dossier si ferma.

La regione prova a sbloccarlo e il consiglio regionale approva una mozione per sollecitare i ministeri.

Seguono interrogazioni parlamentari, anche perché il tempo passa e i finanziamenti stanziati nel 2000 rischiano di andare persi.

La risposta arriva dopo diversi mesi dal ministro dell’Ambiente Altero Matteoli e il problema viene individuato nella necessità di creare un ente di gestione provvisorio a cui affidare i primi finanziamenti: l’Ente Parco regionale delle Alpi Apuane potrebbe fare da riferimento temporaneo, però il ministro non ci sente.

Eppure, nel frattempo sono stati costituiti ben tre Parchi archeo-minerari simili, uno in Sardegna, e due proprio in Toscana, uno dedicato alle miniere dell’Amiata, l’altro alle Colline metallifere del Grossetano.

Passano altri due anni e nel 2006 nel governo di centro-sinistra si trovano nuovi interlocutori: il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio firma in novembre il decreto istitutivo del Parco archeologico.

Però, due mesi dopo sul tavolo del ministro dei Beni Culturali, Francesco Rutelli, arriva una lettera del Presidente dell’Associazione Industriali di Massa Carrara che da una parte esprime la preoccupazione che il nuovo parco archeologico possa «introdurre vincoli farraginosi di una conservazione passiva», e dall’altra lamenta la mancanza rappresentanza del mondo delle imprese negli organismi di gestione.

Passano altri anni, cade il governo Prodi e bisogna aspettare il 2013 per trovare un nuovo interlocutore: quando Andrea Orlando diventa ministro dell’Ambiente (governo Letta) si dichiara pronto a riattivare la pratica, ma ancora non se ne fa nulla.

Questa volta, oltre ai problemi di governance, l’alibi è l’austerity: per il Parco archeologico viene chiesta una gestione non onerosa.

Del resto, i finanziamenti stanziati nel 2000 non sono più a disposizione.

Fine della storia?

(Articolo di Daniela Passeri, pubblicato con  questo titolo il 22 ottobre 2020 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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