«L’amministrazione Trump ha accelerato la crisi climatica»

 

L’amministrazione Trump si è distinta nel disfare ogni norma ambientale introdotta da Obama».

Caitlin McCoy è una giurista dell’Environmental & Energy Law Program, un centro di ricerca sul diritto dell’ambiente e dell’energia della Law School dell’Università di Harvard.

Durante il mandato di Trump il suo ufficio ha monitorato la politica ambientale di Washington e pubblicato sul suo sito ogni nuova norma, con relativi ricorsi e cause giudiziarie.

Perché avete monitorato da vicino la legislazione ambientale del governo Trump?

Avete fatto lo stesso con Obama?

Abbiamo creato questo osservatorio nel 2017, all’insediamento di Trump alla Casa Bianca, perché sapevamo, sulla base delle sue promesse durante la campagna elettorale, che avrebbe cambiato in modo sostanziale la politica energetica e ambientale.

Eravamo consapevoli che, se fossero state attuate quelle promesse, ci sarebbe stato un enorme mole di lavoro da seguire che avrebbe potuto sopraffare ambientalisti, funzionari dello stato, giornalisti e opinione pubblica.

Nel marzo del 2017 il presidente Trump ha emanato il decreto per la promozione dell’indipendenza energetica e la crescita economica che imponeva all’Epa (Agenzia per la protezione ambientale) e al ministero dell’Interno (che negli Usa ha la delega all’ambiente, ndr) la revisione di diverse normative ambientali introdotte da Obama, come il piano per l’energia pulita, gli standard per il fracking sulle terre federali e degli indiani e la fine della moratoria sulle nuove concessioni di carbone sulle terre federali.

Con quel decreto fu chiaro che c’erano in vista enormi cambiamenti e che sarebbe stato importante creare una risorsa accessibile perché l’opinione pubblica capisse la portata dei cambiamenti che venivano proposti.

Cosa lascia in eredità l’amministrazione Trump in campo ambientale?

Il lascito di questi quattro anni è l’eliminazione della protezione ambientale.

In ogni ambito, l’Epa ha indebolito le tutele, allentato le disposizioni per le industrie inquinanti e ha interpretato le norme ambientali nel modo più limitato, spesso riducendo l’autorità di vari enti a intervenire su questioni ambientali.

È ragionevole affermare che abbiamo fatto un salto indietro di 12 anni.

Personalmente credo che l’aspetto più grave sia non aver ridotto le emissioni di gas ad effetto serra in questo periodo cruciale.

Abbiamo accelerato la crisi climatica e già ci confrontiamo con impatti che gli scienziati avevano previsto per i prossimi decenni.

Invece accadono ora, come è successo per gli incendi in California che nessuno aveva previsto potessero già essere così devastanti.

Questo arretramento nelle politiche ambientali potrà avere delle conseguenze anche oltre l’amministrazione Trump?

Le conseguenze si faranno sentire per decenni, forse per centinaia di anni, perché con le emissioni in atmosfera a questi livelli noi stiamo danneggiando il pianeta e mettendo a repentaglio il nostro futuro.

Quali sono state le conseguenze del ritiro degli Usa dall’Accordo di Parigi?

Da quando Trump ha annunciato il ritiro, è venuta meno la responsabilità internazionale per le nostre emissioni.

Anche se tecnicamente gli Usa sono ancora a tutti gli effetti parte dell’accordo perché il ritiro non è ancora perfezionato, di fatto l’amministrazione Trump ha agito come se ne fosse estranea, non si è impegnata al rispetto del contributo nazionale volontario alla riduzione delle emissioni e ha abrogato o emendato tutte le norme che avrebbero potuto mitigare le emissioni.

In questi quattro anni, gli stati membri e le grandi città Usa hanno potuto fare qualcosa per controbilanciare in qualche modo la politica federale?

Sì.

Alcuni stati si sono uniti per dare vita ad iniziative come United States Climate Alliance, che è un gruppo di 25 governatori statali impegnati a ridurre le loro emissioni del 26-28% entro il 2025 rispetto al 2005.

Poi sono nati gruppi come We Are Still In che include sindaci, dirigenti di contee, governatori insieme con amministratori di università, gruppi nativi, aziende, gruppi religiosi.

Oppure America’s Pledge, un’organizzazione che monitora tutti gli impegni volti a ridurre le emissioni: il loro report più recente afferma che l’impegno a livello statale e locale dovrebbe ridurre le emissioni del 19% entro il 2025 e del 25% entro il 2030. Oltre all’ambito climatico, quando l’Epa si è rifiutata di mettere al bando l’insetticida chlorpyrifos, gli stati di Hawaii, California, New York e Maryland l’hanno invece vietato.

Lo stesso è successo per l’uso degli idrofluorocarburi o per gli standard di efficienza energetica delle lampadine a incandescenza a favore dei Led: alcuni stati hanno deciso di darsi autonomamente dei limiti per colmare il divario della protezione ambientale.

Ora che le energie rinnovabili cominciano a costare meno delle fossili in alcuni casi, come stanno reagendo le compagnie private alle politiche trumpiane?

In effetti, le forze di mercato stanno giocando un ruolo importante per la riduzione delle emissioni.

Nel 2019 abbiamo consumato più rinnovabili rispetto al carbone per la prima volta in 130 anni, secondo l’Energy Information Administration.

Malgrado gli sforzi di Trump a favore degli impianti a carbone, questi stanno chiudendo.

La produzione di energia a carbone è diminuita più durante il governo Trump che nel secondo mandato di Obama.

Durante l’amministrazione Trump c’è stata un’escalation di cause legate alla protezione dell’ambiente, anche contro l’amministrazione federale.

Pensa che la magistratura potrà aiutare a proteggere l’ambiente e la salute pubblica?

Io credo che il sistema giudiziario possa fare qualcosa bloccando alcuni provvedimenti presi da Trump, ma non sarei così sicura che possa neutralizzare tutti i passi indietro fatti in questi anni.

Ci sono molte cause pendenti in questo momento e Trump ha nominato molti giudici federali durante il suo mandato.

Se verrà eletto per un secondo mandato, molti procedimenti andranno a giudizio nei prossimi 4 anni.

Può essere che alcuni tribunali prendano decisioni contro il governo federale, ma c’è la possibilità che confermino alcune norme che potrebbero poi diventare problematiche per i governi che verranno.

Quello che dovrà fare un eventuale governo Biden è riscrivere da capo le norme.

Trump ha rimaneggiato anche l’Epa.

Crede che con il nuovo assetto possa mantenere la sua funzione di protezione di salute e ambiente?

Che ne è dell’attività di applicazione delle leggi e controllo?

Se vince le elezioni, per Biden sarà una sfida ripristinare l’Epa.

Molti funzionari sono andati in pensione o hanno lasciato l’agenzia durante l’amministrazione Trump, quindi sarà necessario assumere molto personale per rimediare ai danni fatti da Trump.

Le attività di controllo sono significativamente diminuite, la frequenza delle ispezioni è crollata come il numero delle sanzioni civili.

Nel marzo scorso, quando è scoppiata la pandemia, Trump ha sospeso a tempo indeterminato l’applicazione delle leggi ambientali, sostenendo che il virus aveva reso impossibile per le aziende il rispetto delle normative.

Trump interferisce con la vostra attività?

No.

Solo recentemente un portavoce del ministero dell’Interno si è riferito a noi definendoci «propaganda faziosa», però ha aggiunto che «il popolo americano non si fa ingannare dalle cosiddette élites di Harvard che cercano di denigrare e travisare gli storici risultati conseguiti durante l’amministrazione Trump»

(Articolo di Daniela Passeri, pubblicato con questo titolo il 29 ottobre 2020 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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