Quando parliamo di case in legno, il pensiero di parenti e amici va subito ai b-movie americani in cui l’eroe di turno, al culmine della scazzottata finale, spedisce l’antagonista attraverso la fragile parete alle sue spalle mandando in pezzi il salotto e tutto l’edificio a seguire.
Se poi proviamo a chiedere un mutuo per la costruzione di una casa in legno, è probabile che il bancario ci guardi con aria perplessa e ci chieda delle immagini del progetto finito “per capire se la catapecchia è ipotecabile“.
E sì, sono episodi tratti da una storia vera.
Quella di due giovani che hanno tentato per anni – e stavano ancora tentando, fino al disastro economico degli ultimi mesi – di realizzare una casa in legno ecosostenibile alle porte di Roma nonostante la folle burocrazia italiana e la quasi totale assenza di incentivi.
Costruire in legno conviene.
Primo, perché dobbiamo dimenticarci dei film americani e pensare piuttosto che le tecniche costruttive in Europa sono all’avanguardia: difficile, quando non impossibile se si sceglie un certo design, distinguere una struttura in legno da una in cemento.
Secondo, perché i costi sono infinitamente inferiori rispetto all’edilizia tradizionale.
Certo, bisogna saper cercare il costruttore giusto e avere un po’ di dimestichezza con progetti e materiali, ma è davvero possibile risparmiare decine di migliaia di euro.
Inoltre, una casa in legno è ecologica, ha costi di gestione estremamente ridotti (se progettata con criterio) ed è sicura, perché il legno, di fatto, è un materiale antisismico e non è vero che il rischio d’incendio sia elevato.
Inoltre, con le dotazioni tecnologiche, può essere facilmente autosufficiente, sia per l’approvvigionamento elettrico, sia per il riciclo delle acque reflue.
In più, le opere di urbanizzazione e di realizzazione delle fondamenta sono meno impegnative di una casa tradizionale.
C’è un però.
Le tasse e la burocrazia.
Ma procediamo con ordine.
Le normative in vigore.
Il primo passo è trovare un terreno adatto.
Pianeggiante, per ridurre i costi di edificazione, e senza vincoli idrogeologici e paesaggistici o architettonici: praticamente impossibile, soprattutto in una grande città come Roma o Milano, perciò si scende a qualche compromesso e il vincolo idrogeologico diventa accettabile.
Perché non quello paesaggistico o architettonico?
Perché esistono alcune zone – certamente in Toscana, probabilmente anche altrove – in cui costruire in legno è vietato: non si confà all’ambiente circostante, dice la burocrazia.
Quindi è sempre bene verificare con gli uffici preposti che il legno sia fra i materiali consentiti per l’edificazione nell’area di interesse, e questo va fatto prima di cominciare a cercare il terreno: altrimenti i guai arrivano dopo e non è divertente scoprire davanti al notaio che c’è qualcosa fuori posto.
Insomma, trovato il giusto terreno bisogna accertarsi della cubatura disponibile, altro vocabolo che accompagna il novello costruttore fino alla fine: perché esistono terreni singoli, e allora è abbastanza facile capire se siano edificabili o meno, ma anche terreni in comparto, per i quali serve l’autorizzazione di tutti i proprietari dei terreni circostanti per poter costruire, ex comparti o parcellizzazioni di terreni più grandi – ed è successo anche che il tecnico incaricato della suddivisione di due terreni abbia dimenticato di trasferire la cubatura disponibile dal terreno originario alla nuova parcella, rendendola di fatto non edificabile.
Niente aiuti fiscali.
Agevolazioni per la costruzione in legno, pur con tutti i vantaggi ambientali che ne derivano, nemmeno l’ombra: perché non rendere edificabili, entro una certa quota e con precisi criteri progettuali di ecosostenibilità, i terreni agricoli o i terreni di fatto abbandonati?
Nelle periferie cittadine ce ne sono tantissimi, alcuni ad esempio vincolati e bloccati da anni per la costruzione di servizi (scuole, ecc.) che non saranno mai realizzati.
In più, avere intorno alla casa di legno un terreno utilizzabile per coltivazioni o per piantare alberi sarebbe un grande aiuto per la protezione dell’ambiente.
Sfatiamo anche un altro falso problema: le case in legno non sono solo le villette unifamiliari che vediamo nei film americani, ma possono anche essere palazzine con più appartamenti e più piani, senza per questo avere costi superiori (al di là del fatto che sono ovviamente con maggiore cubatura di costruzione) e impatto ambientale diverso dalla unifamiliare.
Comunque, una volta trovato il terreno il gioco si fa duro.
Fin qui abbiamo solo scherzato.
Oltre alle eventuali provvigioni dell’agenzia immobiliare, si apre il capitolo tasse: anche se si vuole costruire una prima casa – magari pure in bioedilizia – lo Stato chiede il 9% del valore fiscale del terreno, contro il 2% dell’imposta di registro prevista per l’acquisto di una prima casa già edificata, anche se nella classe energetica più bassa. Una mannaia per un privato: per un terreno da 200.000 euro, per dire, bisogna aggiungerne 18.000.
Con il terreno ”in mano”, si può sviluppare il progetto della casa.
In Italia, di costruttori ce ne sono a iosa: qualità sicuramente impeccabile, come Rubner, costi molto alti per lo più.
Dopo lunghe ricerche, i soliti giovani hanno trovato un’azienda estone, la Norges Hus, che opera anche in Italia a costi più che accettabili: una casa in legno prefabbricata da 150 mq viene venduta a circa 39.000 euro + IVA.
Su progetto, qualcosa in più, ma pur sempre accettabile.
Burocrazia e costi, un percorso a ostacoli.
Quindi è tempo di un altro round con la burocrazia.
Presentare il progetto è un incubo: gli uffici municipali, a Roma, arrivano a impiegare anche due anni per l’approvazione.
Parola di geometra.
Ma il vero dramma sono le tasse: le agevolazioni per la bioedilizia sono risibili, a fronte di oneri concessori che si portano via anche un terzo del costo di costruzione.
Per una casa di 200 mq, a Roma si è fra i 30 e i 50.000 euro: un costo che un costruttore professionista può affrontare, costruendo sei villette su un terreno ”minuscolo” con tutto il relativo consumo di suolo, ma che per un privato rappresenta una mannaia.
L’ennesima.
Anche se si sceglie una casa in legno ecologica, autosufficiente e con minimo consumo di suolo.
I tempi di edificazione.
Se, però, si ottiene l’agognato permesso a costruire (se rimangono soldi per farlo, dopo aver pagato tutte le tasse, le imposte, i balzelli, gli oneri e i diritti di segreteria), la musica cambia radicalmente: dato che le case in legno sono prefabbricate, la loro edificazione è molto, molto veloce.
A seconda delle dimensioni e delle caratteristiche dell’edificio, un buon costruttore indicherà tempi che vanno dai 30 ai 60 giorni per la preparazione di tutte le componenti, a meno che non si acquisti una struttura già in catalogo e disponibile in pronta consegna, e un impegno sul cantiere di una quindicina di giorni, ammesso che, all’arrivo dei camion con la casa, sia stato già predisposto il basamento in cemento su cui poggiare la struttura.
Cos’è, allora, che ancora frena il mercato della bioedilizia in legno?
Sicuramente una certa diffidenza da parte dell’utente finale, spesso del tutto ignorante in materia, ma anche e soprattutto la burocrazia del nostro Paese: chi sceglie di edificare una casa in legno di solito lo fa per sé e non è un costruttore professionista, dunque non sa nemmeno da dove cominciare, né è facile trovare ingegneri o architetti che si occupino di questo materiale.
Inoltre, ed è questo un punto cruciale, mancano gli incentivi.
Se lo Stato non rende conveniente andare ad abitare in case ecologiche, offrendo sostanziose riduzioni degli oneri fiscali in cambio di edifici sicuri, circondati dal verde, a bassa densità abitativa e a ridotto impatto ambientale, le persone continueranno a preferire gli ecomostri degli anni Settanta, se non altro per una semplice ragione: non vedere il 50% del proprio budget finire nel buco nero delle tasse.
(Articolo di Claudio Gerino, pubblicato con questo titolo il 4 novembre 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)