Niente lockdown per il business delle doppiette

 

Ha fatto una sceneggiata degna di un attaccante di terza categoria calcistica, il cacciatore bresciano che qualche giorno fa per sfuggire a un controllo dei carabinieri in Alta Valsabbia si è gettato a terra e inscenato un’aggressione come nemmeno al G8 di Genova 2001.

Peccato per lui che qualcuno l’abbia ripreso con il cellulare e il video da oggi le comiche sia finito in rete, additato al pubblico ludibrio.

Il presidente della Lega anticaccia (Lac) Raimondo Sileri mi dice che scene del genere non sono affatto inusuali.

In una mezza giornata trascorsa con lui in un’altra enclave di irriducibili della doppietta, la Maremma grossetana, mi elenca casi di bracconieri solitari sorpresi alle 5 di mattina tra i boschi che dicono di trovarsi lì per caso e di sconfinamenti in proprietà private recintate avvenuti a loro insaputa, nonostante cancelli scavalcati o recinzioni divelte con le tronchesine.

Nonostante il Covid, la loro progressiva diminuzione (sono calcolati in 470 mila in tutta Italia) e l’età media sempre più avanzata, i cacciatori costituiscono tuttora una lobby potente dai forti addentellati politici e particolarmente agguerrita.

«Quello venatorio è un mondo che, anche per la presenza di tanti potenti, continua a godere di sostegni politici inimmaginabili neppure per la grande industria», mi dice la vicepresidente della Lac Katia Impellittiere, secondo la quale «questo storico appoggio permette il perpetuarsi di decreti o addirittura leggi che, in aperta violazione delle direttive comunitarie e delle norme quadro nazionali, cercano di reintrodurre la caccia in deroga a uccelli protetti su scala continentale, di riaprire mostruosità cancellate per legge come gli impianti di cattura con le reti per rifornire di uccelli da richiamo vivi i tanti che praticano la caccia da appostamento vivi all’avifauna migratrice, di allungare la stagione venatoria e l’elenco delle specie cacciabili, e di coinvolgere illegalmente i cacciatori in operazioni inutili, crudeli e dannose come i piani di contenimento di alcune specie, quali il cinghiale e la volpe, consentendo ai praticanti di sparare tutto l’anno».

IN MAREMMA, LA CACCIA AL CINGHIALE si alimenta dello stigma dell’animale che prolifera indisturbato, distrugge i campi coltivati ed è pericoloso per gli esseri umani, e che consente di non vedere un’altra realtà, composta di animali allevati allo stato brado e lasciati proliferare, di campi di angurie coltivate appositamente per loro, al fine di alimentare un business della carne che sul mercato va dai quattro ai sei euro al chilo.

In Toscana sono stimati circa 300 mila cinghiali, un terzo dell’intera popolazione italiana, che crescono indiscriminatamente grazie al ripopolamento illegale a fini commerciali.

Nelle battute di caccia, le squadre di cacciatori spesso non rispettano limiti, divieti e proprietà private.

Chi si oppone, com’è accaduto alla signora tedesca Dagmar Wald, che ho incontrato nella sua azienda agricola a Caldana, nel grossetano, non di rado finisce vittima di minacce e azioni intimidatorie.

Nel bresciano, la zona più calda d’Italia da questo punto di vista, nonostante l’istituzione di quattro valichi montani dove è vietata qualsiasi attività venatoria, «i cacciatori e i bracconieri continuano a scorrazzare indisturbati e senza alcun controllo, probabilmente perché si sentono di poter agire senza alcun intralcio», dicono dalla Lac, che per combattere questo fenomeno punta molto sui ricorsi ai tribunali amministrativi.

L’ultimo ha consentito, una settimana fa, di ottenere la sospensione della caccia in tutte le aree protette Natura 2000 delle province di Brescia, Cremona e Como.

LE COSE NON CAMBIANO MOLTO se ci si sposta più a sud.

Nella classifica delle illegalità venatorie, dietro la Lombardia seguono il Veneto, la Toscana e la Campania. A Festambiente, l’annuale festa di Legambiente, quest’anno sono stati premiati il forestali umbri e il reparto operativo dei carabinieri Cites per un’operazione di bracconaggio denominata Lord of the rings, che ha stroncato un traffico illegale di avifauna selvatica, anche particolarmente protetta, destinata al mercato degli uccelli da richiamo per cacciatori, che interessava diverse regioni italiane e aveva diramazioni anche in altri paesi europei.

Le persone coinvolte nell’inchiesta, undici in totale, sono state accusate di aver messo in commercio «richiami vivi» catturati illegalmente e identificati con un anello contraffatto.

Fino a qualche anno fa questi venivano catturati legalmente nei cosiddetti roccoli, dei grandi impianti arborei realizzati in alcune zone strategiche, tappezzati di reti e resi attraenti dall’uso di altri uccelli costretti a cantare fuori stagione per attirarli.

Poi i roccoli sono stati chiusi e i bracconieri hanno preso a rifornirsi dal mercato nero, in particolare nel bresciano, dove è ancora molto praticata la caccia da capanno, quella nella quale si stava esercitando il cacciatore che si è buttato a terra fingendo un pestaggio.

LA SCORSA SETTIMANA, LA COMMISSIONE Envi del Parlamento europeo ha confermato il divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide di tutta Europa e gli ambientalisti hanno esultato.

Un rapporto del Wwf stima che ogni anno nelle zone umide europee finiscano tra 1.400 e 7.800 tonnellate di piombo, che avvelenano uccelli e altri organismi, entrando nella catena alimentare.

«Finalmente si pone fine a una situazione pericolosa per la salute dell’ambiente, dell’uomo e degli uccelli selvatici, che prima di tutti erano esposti all’avvelenamento da piombo», ha commentato il direttore generale della Lega protezione uccelli (Lipu) Danilo Selvaggi.

La Commissione europea ha aperto una procedura Pilot, propedeutica ad un’infrazione, per i numerosi casi di bracconaggio in Italia.

Per questo nel marzo 2017 è stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni un Piano nazionale di contrasto agli illeciti contro gli uccelli selvatici. Il Piano è rimasto solo sulla carta, inattuato.

(Articolo di Angelo Mastrandrea, pubblicato con questo titolo il 5 novembre 2020 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto” di pari data)

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