Prof. Giuseppe Ferraro
Non ci sono medici in Calabria, lavorano al Nord, in Europa, in Inghilterra, in giro per il mondo.
Non ci sono infermieri in Calabria, lavorano in altri Paesi come in altre regioni.
In Calabria non ci sono nemmeno malati, perché vanno a curarsi coi soldi calabresi nelle regioni del Nord, in strutture ospedaliere private costruite coi soldi pubblici dell’Unità d’Italia.
In Calabria chi resta è per andare via.
Sia anche con la mente, perché non si vorrebbe mai lasciare.
Qui si vive per nostalgia di una felicità che non c’è mai stata.
Quelli che restano finiscono impigliati nella rete dell’illegalità, per nome e per cognome.
Quello che il virus sta mostrando è l’assurdità del rapporto Stato e Regioni e non solo per la confusione di poteri e dichiarazioni.
L’Italia non ha fin qui avuto uno Stato che fosse sentito tale.
La Nazione e lo Stato sono a tal punto separate che ogni richiamo al “popolo” è contro le istituzioni.
Si ripete la stessa storia.
I commissariamenti in Calabria sanno di una colonizzazione che non è mai finita.
Qui lo Stato è sempre e solo in divisa.
L’Unità d’Italia è stata la riduzione a un’unità di misura di differenze territoriali che solo se esaltate possono contribuire alla Unione Sociale del Paese.
Non si possono fare parti uguali fra condizioni diseguali, diceva don Milani.
Le differenze reclamano l’unione e non la riduzione a un misura.
Fin qui l’Unità è solo stata diversamente sofferta fino a diventare un alibi per chi ne ha lucrato e per chi l’ha subita.
C’è un’evidente specularità tra la “questione meridionale” e la “narrazione antimeridonalista” che è anch’essa una questione.
Si ha sempre bisogno di un nemico per giustificare le proprie guerre.
Si ha sempre bisogno di un cattivo per dire di quanto si è buoni.
È triste, non c’è da fare battute facili.
È triste e basta sentire la “competenza” d’imbecillità dei commissari fatti dimissionare in questi giorni dai giornalisti.
Chi li aveva nominati era sereno e tranquillo per averli nominati e stipendiati per “comprovato merito”.
Ancora più triste è che un Rettore di università rifiuti l’incarico perché glielo ha detto la moglie, che non vuole andare a Catanzaro.
Una vecchia storia maschinfantilista.
È triste.
L’adesione di Gino Strada non può non essere motivo di augurio che le cose possano cambiare.
Gino Strada è uomo di missione.
Ha portato la sanità dove c’era solo la guerra, sui confini dell’umanità.
I Calabresi non possono che esserne felici.
C’è però dell’amarezza in questa nomina.
Somiglia alla spedizione dei Mille.
È come se Gino Strada rifacesse la strada di Garibaldi che venne a portare la speranza di una società, di uno Stato, di un Governo che non c’era stato, senza baroni e senza Re, senza violazione dei diritti e popolare, finanche socialista, certamente repubblicano.
Garibaldi unisce sempre gli italiani che l’Unità viene a dividere perché manca lo Stato che abbia cura dei legami sociali.
Garibaldi faceva la sua missione eroica mentre il Re lo raggiungeva, perché non mettesse fine a quella condizione e non alimentasse illusioni popolari.
Garibaldi fu ferito in Aspromonte.
Gino Strada ha accettato, chiarendo con la sua onestà che non può fare il commissario finanziario, non confonde e non corrompe.
La sua azione non è quella del potere.
Lo fa per missione, il suo partito è l’umanità e la sua divisa è la cura.
Ogni Calabrese deve esserne felice, il corpo proprio è il confine fra la vita e il mondo.
Gino Strada opera su questo confine, non su altri corpi che siano dello Stato o della corruzione.
E non si può certo chiamarlo “Gino l’Africano” senza offendere prima di tutto se stessi ad affermarlo.
Né la Calabria è l’Africa come nemmeno l’Africa è la Calabria.
L’emergenza sanitaria, questo momento assurdo di epidemia è senza confini e presente, senza identità geografiche e politiche.
La Calabria ha bisogno di Gino Strada come di Gino Strada e di Emergency avrebbe bisogno tanta parte del Paese.
La Calabria non ha bisogno di commissariamento, ma di un governatore locale capace di porre fine a tanta corruzione, allo spreco del denaro pubblico che viene disperso in interessi privati e portato altrove.
Chi dice della necessità di “chiamare” un commissario amministrativo che riapra gli ospedali senza medici e abbandonati, parla in questo momento di nulla, perché ci vogliono anni e l’emergenza è adesso.
Il solo rimando è complice del nulla.
Il commissariamento è l’espressione del neocolonialismo dell’Italia del Meridione.
È una storia che deve finire.
Non servono generali, servono amministratori.
Servono i Calabresi che se ne sono andati perché costretti a trovare altrove la Calabria che portano dentro.
Serve il ritorno dei Calabresi, serve che la Calabria ritorni ai Calabresi per essere Italiana come Italia è il Meridione.
(Post della pagina facebook del Prof. Giuseppe Ferraro, pubblicato alle ore 16:10 del 18 novembre 2020)