Che brutta storia questa delle pazzie che si fanno a Nardò. Interviene pure un noto agronomo

 

NARDO’ – I rischi della presunzione, quando le competenze sono ignorate.

Quella delle compagini tecniche “monolitiche” deve finire!

Mi riferisco a quelle compagini monolitiche, non solo metaforicamente, dato che sono composte da soli tecnici del campo ingegneristico ed edile, comunque professioni del tutto prive di competenze tecniche nel campo biologico e tanto meno arboreo.

Una basilare ragionevolezza vorrebbe che le compagini tecniche si adattassero alle necessità che il progetto prevede.

Dovrebbe essere il Responsabile Unico del Procedimento (RUP) della stazione appaltante (e a tutela del suo patrimonio), a prevedere gli approfondimenti adatti ad un determinato progetto.

Infatti, secondo quanto stabilito dall’art. 15, comma 3 del DPR 207/2010, il RUP, in conformità a quanto disposto dall’art. 93, comma 2 del Codice dei Contratti Pubblici, valuta motivatamente la necessità di integrare o di ridurre i livelli di definizione e i contenuti della progettazione, salvaguardandone la qualità.

Se, come nel caso di specie, insistono degli alberi, peraltro di notevole valore, fino a poterli considerare monumentali (secondo quanto disposto dalla L. 10/2013), dovrebbe essere logico e corretto acquisire le professionalità adeguate al caso.

A ciò va aggiunto che a Nardò vige un Regolamento del Verde a tutela gli alberi pubblici e privati, oltre a quanto stabilito dall’art. 26 delle norme tecniche di attuazione del PRG vigente.

Insomma, si potrebbe parlare di un vero e proprio capolavoro di anarchia amministrativa.

Parlando di alberi, usare indiscriminatamente termini come sicurezza, pericolo o rischio è semplicemente una invasione di campo professionale.

Tale invasione, più che screditare le professioni che se ne occupano per loro naturale competenza, espongono il tecnico – incompetente per materia – che le esprime a scivoloni che avrebbe potuto risparmiarsi, se solo si fosse pensato per tempo, cioè in fase di progettazione, alla adeguata copertura della competenza in materia arborea con una figura idonea, come il dottore agronomo o il dottore forestale specializzati.

Basterebbe forse che si cominciasse a dismettere l’antiquata presunzione di paragonare un albero ad un manufatto, potrebbe aiutare a comprendere la complessità di un organismo come un albero e quindi ad avere una considerazione più alta delle piante e insieme delle professioni competenti per materia.

Se considerati nella loro importanza, gli esemplari di pioppo nero radicati negli spazi aperti della scuola di via Bellini, avrebbero sicuramente dato un apporto positivo alla qualità del progetto di riqualificazione in corso.

Considerare, e quindi, rispettare le preesistenze, di qualunque natura esse siano, è il primo dovere di una progettazione consapevole del valore dei beni comuni.

Far finta che quegli alberi non ci fossero affatto, non prevedendo neppure la consulenza specialistica di un tecnico adatto è la materializzazione plastica di quanto affermo.

È, infatti, incontrovertibile che, non considerando affatto gli alberi, ponendoli direttamente in abbattimento senza una seppur minima valutazione di adattabilità, denota un profilo di superficialità nell’approccio progettuale.

Una vera e propria valutazione del rischio arboreo condotta da figura professionale competente non avrebbe posto in sterile contrapposizione fruizione e sicurezza ma, piuttosto, avrebbe portato ad una valutazione più obiettiva possibile in cui sarebbe emerso un trasparente bilancio costi-benefici da cui sarebbe scaturita la possibilità che quegli alberi potessero restare o meno.

Essendo mancata questa fase di studio e valutazione, il progetto di riqualificazione espone una carenza che non può essere colmata da parole di circostanza, espresse da persone, tecnici o politici che siano, senza alcuna competenza specifica.

La conoscenza, lungi dal comportare un inutile dispendio per l’opera da realizzare, avrebbe sicuramente migliorato la qualità e l’efficacia del progetto.

È inaccettabile che in tempi come questi, dove tutti gli indici climatico-ambientali ci dicono che abbiamo una disperata necessità dei benefici e servizi ecosistemici degli alberi e della vegetazione in genere, possano essere prese decisioni drastiche come l’abbattimento di alberi senza i dovuti approfondimenti e le necessarie valutazioni.

Infine, così procedendo, è rimasta solo supposta l’inconciliabilità degli alberi con la riqualificazione in atto, dato che non ci si è voluto neanche provare a valutarne la possibilità di compatibilità.

Viviamo in un mondo sempre più stretto: strutture edilizie, vita umana, alberi, sono interconnesse, spetta alla nostra intelligenza cercare di tenerle assieme, considerando che altra scelta, in fondo non c’è.

(Articolo di Bruno Vaglio, pubblicato con questo titolo il 10 gennaio 2021 sul sito online “Porta di Mare”)

 

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