Lo scempio della sabbia rubata che non torna più

 

Granelli tutt’altro che infiniti in un mondo che si sta sgretolando.

Nelle nostre mani, o quando ci giochiamo sulla spiaggia, la sabbia ci appare una manciata di granelli incalcolabili: eppure questi frammenti regalati da un lunghissimo percorso di erosione sono sempre più desiderati e rubati sul Pianeta.

La sabbia è, dopo l’acqua, la risorsa più estratta del globo: è alla base di ogni città moderna e con il calcestruzzo, composto da sabbia ghiaia e cemento, sono fatte le case e gli edifici in cui viviamo.

Viviamo oggi in una realtà di strutture che fino a un paio di secoli fa non era nemmeno immaginabile: la sabbia è presente in ognuna di queste, ma questo materiale naturale non è infinito.

Nonostante questo, più cresce la popolazione mondiale, più servono case ed edifici e più si continua ad estrarre e desiderare sabbia, lasciando spazio al mercato delle mafie organizzate che soprattutto nel Sud est asiatico operano per estrarla illegalmente da letti dei fiumi, spiagge e da ogni area siano presenti i sedimenti.

In India hanno perfino creato un parola, in tamil, per indicare il fenomeno dei furti di sabbia, “manarkollai“. 

Quasi dieci anni fa – e nel frattempo si è continuato ad estrarre – un report Onu stimava che in un solo anno nel mondo fosse stata usata una quantità di calcestruzzo utile a costruire un muro di 27 metri e largo 27 metri intorno all’equatore.

Un muro principalmente fatto di sabbia, quella che soprattutto Cina, India e diversi paesi asiatici continuano ad estrarre senza sosta. 

In un Pianeta che paga le conseguenze degli effetti della crisi climatica, dove sempre più coste rischiano di essere sommerse dall’innalzamento dei livelli del mare, la perdita di sabbia – spesso rubata dagli alvei dei fiumi, esattamente come decine di anni fa avveniva nel letto del Po – sta diventando oggi  un problema che impatta sempre di più anche sugli ecosistemi, con pesci uccelli e altri organismi sia terrestri che marini costretti a pagarne le conseguenze. 

Stime Ocse ci dicono che per urbanizzare e costruire ogni anno usiamo tra i 40 e i 50 miliardi di tonnellate di sabbia e ghiaia, con un trend che aumenta ogni anno di oltre il 5%.

Di conseguenza, dobbiamo continuare a trovare sabbia, dato che nei prossimi quattro decenni la richiesta di questa risorsa raddoppierà.

Solo in Cina, ogni anno dal lago Poyang – la più importante miniera di sabbia del mondo – vengono estratti 236 milioni di metri cubi di materiale, devastando l’intero territorio alla continua ricerca di un bene che crediamo infinito ma che non lo è affatto.

Lo racconta bene Laura Calosso nel suo romanzo Ma la sabbia non ritorna, libro in uscita il 14 gennaio ed edito da SEM, in cui l’autrice che da anni si occupa di questioni ambientali attraverso il racconto di una storia d’amore porta alla luce il grave problema dei furti di sabbia e dello sfruttamento di questa risorsa. 

Spiega l’autrice: “Quando mi è capitato di tradurre il saggio Tutto in un granello di Vince Beiser, che raccontava le mafie della sabbia, sono rimasta molto colpita.

Così ho iniziato a fare ricerche e da qui è nata in me l’idea di una metafora, su cui si basa il mio libro:  amore e sabbia come due risorse scarse sul Pianeta che vivono lo stesso problema. Il problema è che più cerchi di fermarle costruendo sbarramenti e vincoli, più le perdi“.

Nel caso della sabbia, gli sbarramenti sono tanti, come “porti, moli e le varie strutture artificiali che spesso si crede siano nate per trattenere la sabbia sulla costa. In realtà non è così: quando le realizzi automaticamente blocchi il flusso della sabbia e nel tempo la perdi, finendo spesso per distruggere gli ecosistemi.

Un tempo le coste erano protette dalle le dune, oggi invece sono scomparse per edificare, ed è qui che nasce il problema“.

Laura Calosso ricorda infatti come “fino all’inizio del Novecento non esisteva il cemento come lo conosciamo e il consumo di sabbia era limitato.

Oggi al mondo 4 miliardi di persone vivono nelle città edificate, a cui nei prossimi 30 anni se ne aggiungeranno altri 2,5 miliardi.

Questo significherà costante ricerca di sabbia, da ottenere in ogni modo, per costruire. Ricordiamoci che il ciclo della sabbia dura 200 milioni di anni, dall’erosione fino al percorso dalla montagna per arrivare al mare, e noi in poco tempo in mezzo costruiamo dighe e scaviamo fiumi per bloccare questo processo, creando danni irreversibili.

La sabbia non ritorna, appunto“.

Tra decine di isole in Indonesia scomparse a causa di questo fenomeno, fra la Singapore e le realtà artificiali di Dubai basate su milioni di tonnellate di sabbia, tra luoghi lontani come il delta del Mekong “che continua a perdere territorio fertile per via del cuneo salino per quasi un campo di calcio e mezzo al giorno“, Calosso ricorda però anche come nella storia Italia quello dei furti di sabbia sia stato un serio problema.

Negli anni Cinquanta e poi l’abbiamo presa da ovunque, a forza di scavare il letto del Po è sceso di sei metri“.

E scavare significa cambiare, togliere sedimenti diretti al mare “e di conseguenza alterare gli ecosistemi.

E’ un ciclo esponenziale pericoloso” aggiunge l’autrice. 

Un problema, quello della carenza di sabbia, che in certe zone del mondo come l’India sta già creando seri conflitti e vittime e che in un futuro prossimo, con sempre meno materiale a disposizione nell’industria legale, potrebbe rafforzare le mafie dei granelli. 

Se ne parla poco – conclude Calosso – perché non c’è consapevolezza del valore della sabbia.

Forse perché ci sembra che i furti e lo sfruttamento avvengano lontano da noi, ma in realtà io credo che sia uno scempio che impatterà su tutto il Pianeta”.

(Articolo di Giacomo Talignani, pubblicato con  questo titolo il 12 gennaio 2021 sul sito online “greenreport.it”)

 

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