Bagnoli, prescritte 6 morti di Eternit su sette. Schmydheiny se la cava con 3 anni e 6 mesi

Di VINCENZO IURILLO, IL FATTO QUOTIDIANO, 7 APRILE 2022

Antonio Balestrieri aveva 72 anni quando, il 21 ottobre 2009, scompare per mesotelioma pleurico. Dal 1954 al 1977 aveva lavorato come addetto al carico e scarico di sacchi di amianto nella fabbrica Eternit del quartiere di Bagnoli a Napoli. La sua morte è l’unica che ha ottenuto giustizia, che è riuscita a divincolarsi dalle maglie della prescrizione nel processo Eternit Bis per otto morti ricollegabili all’amianto e alle responsabilità dell’imprenditore svizzero Stephan Schmydheiny.
La Corte di Assise di Napoli, dopo aver derubricato l’accusa da omicidio volontario a omicidio colposo, lo ha condannato a 3 anni e sei mesi. Poca roba, rispetto alla richiesta di 24 anni della Procura. Che non ha retto perché per sei delle otto vittime, Salvatore De Simone, Gennaro Esposito, Angela Prisco, Antonio Rocco, Vincenzo Russo, Assunta Esposito – ex dipendenti Eternit, dell’indotto o semplici residenti del quartiere – decedute tra il 2000 e il 2006 per un mesotelioma conseguente all’inalazione delle fibre di amianto, la derubricazione del reato ha fatto scattare la prescrizione. Mentre per la morte di Franco Evangelista, che ha vissuto 26 anni a Bagnoli ed è scomparso il 16 ottobre 2009, Schmydheiny è stato assolto. “La sentenza ci lascia delusi – ha commentato l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto – Confidiamo nella giustizia divina presso la quale l’imputato dovrà rispondere anche dei reati prescritti che, comunque, sono la rappresentazione dell’esistenza del reato”. “Per questa sentenza c’è molta rabbia”, aggiunge l’avvocato dell’ONA, Flora Rose Abate. A prescindere dalla qualificazione dei reati, il processo ha evidenziato un uso dell’amianto senza cautele e con le maestranze ignare e sprovviste di mezzi di protezione. Pare fosse la prassi in quegli anni, come documentato da numerosi processi sparpagliati nello Stivale. Quello di Napoli è nato da uno dei rivoli della maxi-inchiesta della Procura di Torino, avviata nel 2009 dopo l’azione legale collettiva di circa 6.000 persone che chiedevano giustizia e risarcimenti per le 3.000 persone morte dopo aver lavorato o vissuto nei pressi degli stabilimenti Eternit in Italia. Già nel 2014 la prescrizione in Cassazione aveva salvato Schmydheiny da una condanna a 18 anni per disastro ambientale doloso e per omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Ora la storia si ripete.

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