“La Difesa è l’industria che produce più CO2: ecologismo è pacifismo”

“Consumiamo due pianeti e mezzo l’anno: buona parte per le guerre”

DI ELISABETTA AMBROSI, IL FATTO QUOTIDIANO, 22 APRILE 2022

“Perché non ci si può dire ecologisti se non si è pacifisti? È semplice. I legami tra guerre e ambiente sono fortissimi, e vanno in due direzioni: non solo oggi molte guerre vengono determinate da come noi gestiamo l’ambiente e dalla scarsità crescente di risorse, ma anche l’ambiente – suolo, acqua, colture – viene distrutto dalle guerre. E oggi che è la Giornata della Terra vale la pena ribadirlo, visto che consumiamo due pianeti e mezza l’anno e una buona parte di questo consumo è legato alle guerre”. Giornalista di lunga data, ideatore e direttore dell’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, Raffaele Crocco ha anche appena pubblicato il libro Ucraina 2022: la guerra delle vanità (Terra Nuova editore).
Da osservatore dei conflitti del mondo, la guerra come devasta l’ambiente?
Gli esempi sono moltissimi. Penso al Mali, in guerra da anni, dove il consumo di suolo e il land grabbing è fortissimo, e questo ha provocato lo spostamento di milioni di persone in altri territori. Penso alla Colombia, dove un terzo del territorio della Colombia è minato, ma lo stesso vale per l’Afghanistan. E purtroppo anche l’Ucraina rischia di avere lo stesso problema. In Francia, per capirci, ancora si sminano terreni inutilizzabili a causa di residuati bellici della Prima guerra mondiale…
Al tempo stesso, la guerra viene provocata dalle crisi ambientali.
Troppo spesso concepiamo la guerra come causa e non come effetto. Eppure basta pensare alle migrazioni dovute al cambiamento climatico: oggi abbiamo 250 milioni di migranti per il clima a livello globale, e questo numero è destinato a triplicarsi per il clima entro il 2050. La maggior parte di questi profughi ambientali si spostano nelle città, dove si crea una pressione inaudita che poi causa conflitti, e vince chi detiene il monopolio delle risorse.
Come l’acqua.
Secondo l’International Panel on Climate Change (Ipcc), la corsa all’accaparramento idrico e la loro iniqua distribuzione sarà la base della maggioranza dei conflitti a venire. Circa un miliardo di persone vive con 5 litri di acqua al giorno, e la situazione è destinata ad aggravarsi. Basti pensare alle tensioni enormi che si stanno scatenando tra Egitto ed Etiopia, per la diga sul Nilo.
La guerra incide anche in termini di emissioni.
Purtroppo è difficile capire quanto, perché l’Accordo di Parigi non ha reso obbligatorio ridurre le emissioni di carbonio militari e gli accordi internazionali non calcolano l’impatto ambientale della guerra. Eppure è stato stimato che il 20% del degrado ambientale del mondo sia dovuto agli eserciti e alle attività militari. E che le emissioni del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti – il più grande consumatore istituzionale di petrolio ed emettitore di gas serra del mondo – ammontino a 153 milioni tonnellate di CO2 l’anno, mentre l’intera industria della difesa sia responsabile dell’emissione di circa 280 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Aumentare le spese militari significa anche questo.
La guerra ci allontana dagli obiettivi dell’Agenda Onu 2030?
Assolutamente sì. L’Agenda 2030 ha nella sua ‘pancia’ l’obiettivo di creare un mondo in cui i diritti vengono rispettati e in un mondo così la guerra è inevitabilmente e intelligentemente messa ai margini. Al di là delle questioni etiche, religiose, politiche e ideologiche, la pace è la cosa più conveniente.
Lei è anche molto critico sull’invio di armi all’Ucraina.
Lo spiego con una metafora biblica. Se Putin è Caino, Abele lo salviamo disarmando Caino, non dando anche ad Abele un’arma. Le ‘anime partigiane’ sorte ora hanno scoperto il racconto dell’orrore, ma la guerra è sempre orrore. È sangue, violenza, distruzione, puzza di merda: sempre e ovunque.
Lei denuncia anche il doppio trattamento verso i profughi.
I siriani, gli afghani, gli iracheni, i curdi, tentano quotidianamente di arrivare da noi. Quando qualcuno di loro ce la fa, impiega anni ad ottenere – quando accade – lo status di rifugiato. Nessuno ha mai battuto ciglio. Per contro, ai profughi ucraini abbiamo concesso rapidamente lo status di rifugiato. Giusto, niente da dire, ma di fatto abbiamo creato profughi di serie A e profughi di serie B.
Cosa auspica, dunque?
Per il bene del popolo ucraino e per salvarlo dal massacro, spero che gli alfieri delle “guerre di liberazione” abbassino i toni. Spero si rendano conto che le soluzioni sono complesse e devono muoversi sempre nel solco dei diritti, che valgono per tutti e sempre. E spero capiscano che lo spirito da hooligan che usano insultando il mondo del pacifismo non serve a risolvere il dramma di chi sta sotto le bombe. Torniamo a discutere, a confrontarci. Torniamo a vivere in una democrazia. Se non lo facciamo, cosa ci rende diversi da chi appoggia un dittatore come Putin?

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