Clima, cento giorni di guerra ci ricacciano 30 anni indietro

Bombe in Ucraina mentre il Pianeta boccheggia. Con grande fatica si era riusciti a portare i temi ambientali all’attenzione del mondo, ora il conflitto ha azzerato tutto

DI LUCA MERCALLI, IL FATTO QUOTIDIANO, 5 GIUGNO 2022

Da oltre trent’anni a inizio giugno salgo ai tremila metri del Ghiacciaio Ciardoney, nel Parco nazionale del Gran Paradiso, per effettuare le misure d’innevamento: a questa quota la fine della primavera rappresenta il momento con il maggior spessore di neve dell’anno, tutta quella caduta dall’autunno precedente si trova accumulata in un materasso che di norma è spesso tra i due e i sei metri. È il nutrimento del ghiacciaio e costituisce la riserva d’acqua estiva per i fiumi padani. Non credevo ai miei occhi quando lo scorso primo giugno camminavo sulle pietre tra cespi di sassifraghe rosa già in piena fioritura: mai così poca neve caduta nell’inverno, mai una scomparsa così precoce, un mese e mezzo prima del normale.
Per decenni abbiamo avvertito sulle conseguenze del riscaldamento globale, per decenni abbiamo osservato cambiamenti lenti e preoccupanti, ma poi improvviso come un ladro nella notte arriva l’evento estremo che trasforma le previsioni astratte dei grafici a computer in una dirompente realtà. Come i primi missili russi che all’alba del 24 febbraio esplodevano sulle città ucraine. E proprio questa assurda guerra è motivo di grande frustrazione per l’intera comunità scientifica che si occupa di transizione ecologica. Se con grandissima fatica, tra pandemia e interessi economici divergenti, si era comunque riusciti a portare i temi climatici e ambientali all’attenzione del mondo, ora quella consapevolezza, quel senso di urgenza, appaiono totalmente offuscati dalle cronache belliche e dai precari equilibri geopolitici del mondo. La guerra stessa è un potente agente distruttore dell’ambiente, dissipatore di risorse – metalli, esplosivi, carburanti – e produttore di emissioni e rifiuti, anche per quella che sarà la ricostruzione di edifici e infrastrutture così stupidamente devastati.
Mi cadono le braccia a pensare quanto è impegnativo ristrutturare una casa per risparmiare un po’ di energia, installare pannelli solari, eliminare gli sprechi, e poi, dopo che hai racimolato pochi maledetti watt, ecco che una sola esplosione di un missile cancella trent’anni di lavoro. Mi cadono le braccia a pensare che per anni mi sono sentito dire che per la transizione ecologica non c’erano mai soldi sufficienti – ricordo un commento che mi fece Bersani una decina d’anni fa: “Mercalli, mo l’ambiente costa!” – e poi ecco che per produrre armi decine di miliardi di euro e di dollari sono saltati fuori dai parlamenti come nulla fosse: un fiume di denaro distratto dai più nobili, prioritari obiettivi della sostenibilità ambientale.
Ogni dollaro in armi è un dollaro in meno per un pannello solare. Mi cadono le braccia a vedere un’Europa affannatissima a mettere una pezza sull’ammanco di gas russo cercando di siglare contratti di fornitura con altri paesi invece di sfruttare l’occasione per fare una grande campagna di risparmio ed efficienza energetica e passaggio alle fonti rinnovabili. Miliardi di euro ai rigassificatori, che per decenni ci legheranno ad altri fornitori di gas fossile invece che destinarli all’investimento più duraturo e importante della nostra storia: l’indipendenza energetica e la decarbonizzazione dell’economia per ridurre il rischio climatico. Ma inesorabile, mosso dalle immutabili leggi della fisica e non dalle evanescenti chiacchiere umane, il caldo aumenta: il 2021 ha visto il massimo livello di emissioni di gas serra nella storia dell’umanità.
L’atmosfera reagisce dunque con ondate di caldo da record: dai 48,8 gradi dell’11 agosto 2021 presso Siracusa – valore più elevato d’Italia e d’Europa –, ai 50,7 gradi di Onslow in Australia il 13 gennaio 2022, dai 50 gradi di Pakistan e India dello scorso maggio ai precoci calori mediterranei di queste ultime settimane con i 40 gradi di Alghero registrati ieri, primato di sempre per un inizio giugno.
In Italia maggio 2022 ha toccato il record di caldo in oltre due secoli di misure, pari merito con il 2009, evento quindi ravvicinato nel tempo e segno di un trend strutturale. Gli inverni sono sempre più brevi e tiepidi, le estati sempre più lunghe e roventi. Le previsioni a scala stagionale – pur se ancora poco affidabili – sono concordi nel prospettare da qui a settembre un clima più caldo e asciutto della norma sull’Europa centro meridionale. Il che non è un buon pronostico in un’annata già così esposta alla siccità per la secca invernale: il Po che in maggio avrebbe dovuto avere una portata media di 2mila metri cubi al secondo ne ha convogliati al mare solo 600 e attualmente è a 400 metri cubi al secondo, un valore sotto la soglia di penetrazione del cuneo salino, cioè dell’acqua salmastra dell’Adriatico che è in grado di entrare nella falda per una quindicina di km nell’entroterra del Delta.
È un bollettino di guerra, la guerra che stiamo combattendo contro il nostro ambiente, contro il nostro unico pianeta. Una guerra che dovremmo arrestare prima possibile, insieme a quella russo-ucraina – per concentrarci tutti insieme – otto miliardi di esseri umani – nel ridurre il nostro impatto sui sistemi naturali, nel progettare una società sobria, pacifica, efficiente e sostenibile basata sulle energie rinnovabili, sul riciclo delle risorse naturali e sulla difesa della biodiversità, come richiedono da decenni tutti gli organismi di ricerca scientifica mondiali.
Oggi è la quarantanovesima Giornata Mondiale dell’Ambiente, ha per tema “Una sola Terra. Prendiamocene cura”. Non abbiamo un pianeta di riserva. Siamo drammaticamente soli nell’Universo a noi noto. Se distruggiamo questo meraviglioso e delicato sistema di aria, acqua, suolo e vita, saremo perduti per sempre.

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