La distruzione della natura aumenta il rischio di future pandemie: lo hanno sottolineato i leader mondiali riuniti l’11 gennaio a Parigi all’One Planet Summit per la biodiversità e secondo il Wwf, «gli sviluppi chiave includevano l’annuncio da parte dei governi del Regno Unito e della Francia di destinare il 30% dei loro finanziamenti pubblici per il clima e a soluzioni basate sulla natura, impegni finanziari aggiuntivi da Norvegia e Germania e il lancio dell’iniziativa PREZODE, la prima iniziativa globale per aiutare a prevenire la prossima pandemia attraverso la ricerca collaborativa e la riduzione delle pressioni sulla biodiversità. Sono stati anche impegnati più di 14 miliardi di dollari di finanziamenti per l’ambizioso progetto di forestazione in Africa denominato Great Green Wall» – Impegni che il Wwf accoglie con favore «in quanto forniscono un importante slancio globale in vista dell’adozione di un nuovo accordo globale sulla biodiversità a Kunming, in Cina, e dei colloqui sul clima a Glasgow, nel Regno Unito, entrambi previsti entro la fine dell’anno. Allo stesso tempo, cresce la preoccupazione che i governi non agiscano di pari passo con le crisi della biodiversità, di clima e salute, ampiamente riconosciute e interconnesse». Per Marco Lambertini, direttore generale del Wwf International, «le iniziative e i finanziamenti annunciati al Summit forniscono uno slancio importante in vista dei principali accordi ambientali globali che saranno conclusi entro la fine dell’anno e, soprattutto, avviano il processo di trasformazione degli impegni in azioni. Tuttavia, è ancora necessario un cambiamento radicale sia nell’ambizione che nell’urgenza, se vogliamo garantire un futuro sostenibile per le persone e per il pianeta. La scienza ci dice che il nostro allontanamento dalla natura sta aumentando la nostra vulnerabilità alle pandemie, minacciando le nostre economie e minando i nostri sforzi per affrontare la crisi climatica. La necessità di un’azione urgente non è mai stata così chiara, ma […]
Immissioni
Il presidente francese Emmanuel Macron ha ospitato virtualmente all’Eliseo la quarta edizione di One Planet Summit (OPS) dedicata agli impegni per proteggere la biodiversità e organizzata in collaborazione con l’Onu e la Banca mondiale. Rivolgendosi ai leader mondiali al One Planet Summit, il segretario generale dell’Onu, António Guterres ha illustrato le conseguenze dell’abuso della Terra e delle sue risorse: «Abbiamo avvelenato l’aria, la terra e l’acqua e abbiamo riempito gli oceani di plastica. Ora, la natura sta contrattaccando: le temperature stanno raggiungendo livelli record, la biodiversità sta collassando, i deserti si stanno diffondendo, e gli incendi, le inondazioni e gli uragani sono più frequenti ed estremi. Siamo estremamente fragili». Aprendo il vertice, Macron ha detto che «proteggere e ripristinare la biodiversità è nel nostro interesse. Oltre a creare milioni di posti di lavoro tra oggi e il 2030, il mondo naturale offre molti vantaggi. Le foreste intatte e gli ecosistemi oceanici possono aiutare a raggiungere gli obiettivi climatici agendo come serbatoi di carbonio. La natura offre soluzioni per sviluppare un’agricoltura sostenibile, per i servizi economici e finanziari, aiutandoci a preservare i nostri patrimoni e le nostre culture». Il summit ha riunito Capi di Stato e di governo, compreso il premier italiano Giuseppe Conte (in fondo a questo articolo trovate il video del suo intervento), leader di organizzazioni internazionali, istituzioni finanziarie, del business e di ONG. In un comunicato del presidente Macron si legge che «tutti hanno chiesto di accelerare l’azione internazionale in favore della natura e a prendere degli impegni concreti per lottare contro la perdita di biodiversità». E in effetti l’One Planet Summit ha deciso iniziative concrete sulle quattro tematiche discusse. Protezione degli ecosistemi terrestri e marini: oltre 50 Stati mobilitati per il Mediterraneo e lo sviluppo di Aree protette. La High Ambition Coalition (HAC) for Nature and People, co-presieduta da Francia, […]
La pubblicazione della proposta di Cnapi, la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente idonee a ospitare il Deposito Nazionale di rifiuti radioattivi ha provocato levate di scudi ovunque, tra sindaci e governatori. Piemonte, Lazio, Toscana, Basilicata, Puglia, Sicilia, Sardegna le regioni dove sono state individuate aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito. Mentre Daniele Pane, sindaco leghista del Comune di Trino Vercellese che da oltre tre decenni già ospita un deposito provvisorio di rifiuti radioattivi (che prima era una centrale nucleare) ha manifestato la propria disponibilità alla realizzazione di un nuovo deposito per lo stoccaggio definitivo (ma il Comune è stato escluso dall’elenco pubblicato dalla Sogin), la stragrande maggioranza dei Comuni ha alzato un muro, difendendo vocazioni agricole, turistiche, zone vicine ad aree protette o, ancora, un passato già ricco di infrastrutture scomode. Molti sindaci hanno annunciato che sul tema non potrà neppure esserci discussione e, interpellati da ilfattoquotidiano.it, negano che dietro la loro opposizione ci sia la cosiddetta sindrome nimby (not in my back yard, cioè non nel mio cortile sul retro). Ma se tutti dicono no al deposito, come si riuscirà a trovare la soluzione che l’Europa ci impone dopo che per i ritardi accumulati contro l’Italia è già stata aperta una procedura di infrazione? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto ad alcuni tra i rappresentanti politici locali che in queste ore si sono esposti. EMILIANO: “INDIVIDUARE SITI MILITARI” – Una prima risposta la dà il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano (Pd). “Se si pone il tema di uno stoccaggio che comunque va fatto responsabilmente in Italia, concordo con la proposta del geologo Mario Tozzi – spiega a ilfattoquotidiano.it – sull’individuazione di siti militari che garantiscono sicurezza di presidio, senza interferire sulle legittime aspirazioni delle nostre comunità”. Il governatore sottolinea, tra l’altro, che “le uniche due indicazioni che riguardano la Puglia sono, incredibilmente, entrambe in zone tutelate”. Altamura e Gravina sono i due principali comuni del Parco nazionale della Murgia “e Laterza, che è nella provincia più martoriata […]
Intervenendo oggi all’One Planet Summit in corso virtualmente a Parigi, il principe Carlo ha chiesto alle imprese di tutto il mondo di aderire a quella che ha chiamato la “Terra Carta”, con evidente riferimento alla Magna Carta che dal 1215, con i successivi e continui adeguamenti, è la Carta fondamentale della monarchia britannica. Infatti, nella prefazione della Terra Carta, il principe scrive: «Se consideriamo l’eredità della nostra generazione, più di 800 anni fa, la Magna Carta ispirava la fede nei diritti e nelle libertà fondamentali delle persone. Mentre ci sforziamo di immaginare i prossimi 800 anni di progresso umano, i diritti fondamentali e il valore della natura devono rappresentare un cambiamento radicale nel nostro approccio futuro dell’industria e al futuro dell’economia, In quest’ottica, la natura, di cui siamo parte integrante, è al centro della Terra Carta. Chiedo agli amministratori delegati di tutto il mondo di impegnarsi e fare la loro parte nel guidare la transizione globale». Charles ha ricordato che la gente pensava che «fossi completamente pazzo» quando negli anni ’70 iniziò a parlare di questioni ambientali. One Planet Summit (OPS) 2020, organizzato dal governo francese in collaborazione con Onu e Banca mondiale, parte dalla consapevolezza che «la crisi sanitaria globale del Covid.19 è stata un drammatico promemoria sull’importanza della natura per la nostra vita quotidiana e per le nostre economie: la biodiversità è la nostra assicurazione sulla vita. Tuttavia, il danno agli ecosistemi è senza precedenti e avrà importanti conseguenze sui nostri stili di vita nei decenni a venire. Invertire questa tendenza è una grande sfida per il prossimo decennio: dobbiamo ripensare tutto il nostro rapporto con la natura. E’ una grande sfida sociale ed economica che richiederà una profonda trasformazione delle catene del valore, dei nostri modelli di business e delle nostre abitudini di consumo, per porre fine ai modelli […]
Oggi, nei paesi sviluppati, la maggior parte delle emissioni urbane di CO2 viene da due settori: l’edilizia e i trasporti. Dato che il 60-70% delle emissioni globali è generato dalle città, per centrare l’obiettivo europeo del taglio del 55% entro il 2030, sono questi i due settori su cui puntare. Per quanto riguarda gli edifici, le emissioni derivano principalmente dai consumi per il riscaldamento e, per ridurli occorre ridurre le dispersioni di calore, cioè cappotto e infissi più isolanti. Ma non basta, l’altro passo è la sostituzione della caldaia con la pompa di calore perché è molto più efficiente. L’ultimo passo è quello di mettere un impianto fotovoltaico capace di produrre tutta o in parte l’energia elettrica occorrente per il riscaldamento con la pompa di calore (e il condizionamento, se c’è). In questo modo, se il consumo annuale di energia elettrica per la climatizzazione eguaglia la produzione annuale mediante l’impianto fotovoltaico, le emissioni di CO2 sono azzerate. Ulteriore vantaggio è che tutti questi interventi (cappotto, infissi performanti, fotovoltaico), ormai si ripagano in pochi anni, grazie alla riduzione, quasi azzeramento, della bolletta energetica. Bolletta energetica che oggi è sentita come particolarmente pesante specie per i meno abbienti, per quali costituisce una larga fetta del bilancio familiare. Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Italiano sulla povertà energetica, 2,2 milioni di famiglie (l’8,7% del totale) nel 2017 si trovavano nelle condizioni di povertà energetica, cioè non erano in grado di riscaldare adeguatamente le loro abitazioni e/o erano in ritardo nel pagamento delle bollette del gas e dell’elettricità. Le cose non sono certo migliorate oggi, specialmente a causa degli effetti economici della pandemia. Vantaggio ambientale, quindi, vantaggio economico e vantaggio sociale combinati, e a questo mira il bonus detto del 110%, che permette di fare tutte le trasformazioni necessarie senza alcun investimento, che è a […]
Il progetto dell’Unione Europea per selezionare 100 città che potranno usufruire di un affiancamento al fine di raggiungere le zero emissioni entro il 2030 è stato presentato anche in Italia, con una conferenza online che qualche giorno fa ha visto confrontarsi numerosi ricercatori sui temi centrali dell’ambiziosa proposta. Primo fra tutti il presupposto, per la sua riuscita, del coinvolgimento attivo dei cittadini, come evidenziato anche dal titolo dell’operazione: 100 Climate Neutral Cities by 2030, by and for the citizens (100 città a neutralità climatica entro il 2030, da e per i cittadini). La necessità di agire sugli agglomerati urbani per mitigare i cambiamenti climatici e i loro effetti è dettata dal fatto che essi producono il 72% delle emissioni globali, pur ricoprendo solo il 3% della superficie terrestre, come ricorda anche il report della Commissione Europea che presenta la mission e che stima come la densità di popolazione nelle città aumenterà ulteriormente nel prossimo futuro, prevedendo che nel 2050 ci vivrà circa l’85% delle persone. «Nel progetto si fondono i principi delle tre grandi politiche europee del momento: la trasformazione digitale, il Green Deal e l’economia per le persone», spiega Francesco Luca Basile, rappresentante italiano del gruppo di esperti per i settori clima, energia e mobilità di Horizon Europe, il programma quadro dell’Ue per la ricerca e l’innovazione sotto il cui cappello verrà sviluppata la sperimentazione. «Horizon Europe prova a immaginare strumenti di decarbonizzazione che non siano solo socialmente accettati, ma che abbiano elementi di giustizia sociale molto forti», continua il ricercatore, per il quale «si assume che questa opzione può essere possibile solo in virtù di un profondo impegno in innovazione ecologica inclusiva e del coinvolgimento diretto dei cittadini attraverso nuovi modelli di governance. Inoltre è importante definire obiettivi nel lungo periodo e la mobilitazione di appositi strumenti […]
Non per profitto, ma per benefici ambientali, economici e sociali. Questo lo scopo prioritario delle comunità energetiche, secondo il dettato delle direttive europee, che si rifanno certamente ad iniziative esistenti, anche in Italia, alcune attive già agli inizi del Novecento sulle Alpi. Come l’azienda energetica Funes società cooperativa (energie-villnoes.it) creata nel 1921 da tre contadini e un fabbro per garantire la fornitura elettrica in Val di Funes (Alto Adige) anche alle frazioni più decentrate, grazie a un titolo di credito ecclesiastico al 4,5% di interesse. Oggi i soci della cooperativa possono contare su 3 centrali idroelettriche, un impianto fotovoltaico e 2 centrali di teleriscaldamento a biomassa che forniscono energia 100% rinnovabile a prezzi competitivi. Se c’è surplus viene reimmesso nella rete e il ricavato viene reinvestito negli impianti oppure diventa un ulteriore sconto in bolletta. Dieci anni fa la cooperativa ha realizzato anche la rete a fibra ottica. Simile l’esperienza di un gruppo di giovani di Prato allo Stelvio, sempre in provincia di Bolzano, che nel 1923 ha creato una piccola centrale idroelettrica coinvolgendo 40 famiglie del paese. A distanza di quasi cento anni, la cooperativa Ewerk Prad (e-werk-prad.it) conta 1.350 soci e fornisce energia elettrica e acqua calda a famiglie e imprese del paese grazie a 4 centrali idroelettriche, un impianto fotovoltaico e due centrali a biomassa e biogas. Stessa storia della cooperativa elettrica di Ginod (in Val d’Aosta) o di quella di Morbegno (Sondrio), attiva sin dal 1897. Dalle Alpi al Salento: a Melpignano, comune di 2500 abitanti comuni della Grecìa salentina, c’è una comunità energetica ante-litteram, che ha scelto la forma giuridica della cooperativa di comunità, che ha per scopo «lo sviluppo della qualità di vita delle comunità». L’obiettivo che si sono dati a Melpignano è stato di realizzare una rete diffusa di impianti fotovoltaici su […]
Proprio in questi giorni di cinque anni fa, dicembre 2015, è stato firmato l’Accordo di Parigi. In quello stesso anno sono usciti anche l’Enciclica Laudato Si di Papa Francesco e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, a completare l’individuazione di obiettivi urgenti sul tema ambientale. Oggi siamo qui a chiederci a che punto siamo cinque anni dopo. Pochi risultati concreti forse, ma per certi versi è cambiata la nostra vita e abbiamo assistito al consolidamento di alcuni aspetti presentati allora come proposte e speranze. Tra questi, la conferma di aver introdotto in modo operativo, oltre che emblematico, le comunità dell’energia. Sono rari i momenti in cui una generazione ha la possibilità di cambiare il mondo, ora c’è la certezza che stiamo vivendo quel momento. LE COMUNITÀ DELL’ENERGIA sono, insieme alle fonti rinnovabili, il cardine di un nuovo modello energetico e sociale. La transizione verso questo nuovo modello energetico, che permetterà la decarbonizzazione completa (l’Europa dice che si realizzerà entro il 2050), sarà molto più rivoluzionaria di quanto non si creda. Perché se applicata correttamente permetterà una modificazione anche sociale oltre che energetica ed ambientale, con una valorizzazione dell’energia considerata come bene comune. Il degrado ambientale è degrado sociale, e sapendo che il pilastro dell’equità sociale è la più chiara componente etica, rispetto all’equità economica o alla giustizia sociale, il tema si presenta in relazione al tentativo di eliminare disuguaglianze sociali e discriminazioni di ogni genere. Etica nello sviluppo, indispensabile ora che tali disparità hanno raggiunto livelli non più accettabili. In particolare, le comunità dell’energia presentano il recupero di una responsabilità individuale, la stessa responsabilità che progressivamente è andata perduta negli anni della globalizzazione; esse infatti mettono finalmente al centro dell’azione il cittadino attraverso il suo nuovo ruolo di prosumer, consumatore-produttore della sua stessa energia. Il che significa auto-assegnarsi un ruolo attivo […]
Un milione di utenze residenziali entro il 2025 potrebbero essere coinvolte nella rivoluzione delle comunità energetiche, oltre a 150-300 mila utenze non residenziali. La stima è contenuta nell’Electricity Market Report del Politecnico di Milano e fa sperare che la produzione di energia rinnovabile ricominci a decollare in Italia, dopo l’ottima partenza di un decina di anni fa e la stasi degli ultimi anni. Come saranno configurate le forme di produzione diffusa di energia rinnovabile e di autoconsumo dipenderà da come verranno recepite le direttive europee RED II (rinnovabili) e IEM (mercato elettrico). C’è tempo fino a giugno 2021: attualmente è in discussione in Parlamento un disegno di legge delega sulla base del quale il Governo presenterà un decreto legislativo. Parallelamente anche le regioni possono legiferare in materia. In questa fase è possibile abbozzare alcuni scenari, sulla base della sperimentazione avviata con il Milleproroghe e con il decreto che ha stanziato gli incentivi pari a 100 €/MWh per l’autoconsumo collettivo e 110 €/MWh per le comunità energetiche, che ha avuto in questi giorni il via libera dall’Authority per l’energia. Questi si possono cumulare alle detrazioni fiscali del Superbonus 110% per la riqualificazione energetica degli edifici che prevede tra gli interventi, oltre all’isolamento termico e alla sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale, anche l’installazione sugli edifici di impianti solari fotovoltaici connessi alla rete elettrica, infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici e l’installazione di sistemi di accumulo di energia. Considerando che, secondo un recente sondaggio Ipsos, solo il 6% degli italiani dichiara di sapere bene cosa sono le energie rinnovabili e che la maggior parte immagina tempi molto lunghi per la loro diffusione, ignorando che la tecnologia è già disponibile a prezzi molto accessibili, per la diffusione delle comunità energetiche sarà determinante il ruolo dei soggetti proponenti, ovvero di chi prende […]
La proteina che protegge l’organismo dai danni delle polveri sottili (precisamente il PM2.5) è la stessa che favorisce l’azione dannosa del Sars Cov-2. È quanto sostiene lo studio portato avanti da Mauro Minelli, immunologo e visitor professor di immunologia clinica nell’Università di studi Europei “J.Monnet”, con la dottoressa Antonella Mattei, ricercatrice di Statistica Medica presso il Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università degli Studi dell’Aquila. Lo studio, infatti, afferma che non è l’inquinamento atmosferico generalmente inteso una delle cause della maggiore incidenza dell’infezione sulla popolazione mondiale, ma gli effetti dell’esposizione delle persone al PM2.5, cioè un mix di polveri sottili prodotte da industrie, veicoli e altre sorgenti, con particelle dal diametro inferiore o uguale a 2,5 micron, cioè millesimi di millimetro. Il lavoro di Minelli e Mattei ha approfondito il legame associativo tra i tassi d’incidenza Covid-19 e due inquinanti ambientali rappresentati, oltre che dal PM2.5, anche dal biossido d’azoto (NO2), correlati a due ulteriori fattori: l’indice di vecchiaia e la densità di popolazione. “Abbiamo visto – ha spiegato Minelli a ilfattoquotidiano.it – che l’esposizione aumenta il tasso d’incidenza del Covid di 2,79 ammalati per 10mila persone se la concentrazione di PM2.5 aumenta di un microgrammo per metro cubo d’aria, e di 1,24 ammalati per 10mila persone se la concentrazione di NO2 aumenta di un microgrammo per metro cubo d’aria”. Lo studio, quindi, mira ad evidenziare come l’emergenza sanitaria sia strettamente connessa a una specifica “dinamica ecologica”. Il nostro organismo, infatti, quando è lungamente esposto al PM2.5 sviluppa una proteina chiamata “ACE2” per difendersi da quelle polveri, ma proprio quella proteina diventa una trappola: “ACE2 – ha chiarito Minelli – diventa una sorta di serratura per il virus e soprattutto per la sua azione nociva sull’organismo”. Questa tesi spiegherebbe l’elevato tasso di incidenza, e poi anche di mortalità da Covid-19, nelle regioni del Nord rispetto a quelle del centro-sud. “Per confermarlo – aggiunge l’immunologo – basterebbe […]