Articolo pubblicato il 1 dicembre 2014 sul sito “gazette.it”. In un anno muoiono nel mondo 3,7 milioni di persone a causa dell’aria che respirano. L’aria peggiore d’Italia è nella Pianura Padana, con circa 300 morti l’anno, soprattutto a Milano. Un numero impressionante ma non sorprendente, secondo gli esperti, visto che gli studi scientifici non lasciano dubbi: gli inquinanti, le polveri sottili e in generale i contaminanti presenti nell’atmosfera provocano ictus, infarti, tumori, asma, polmoniti, allergie e molte altre patologie. Il danno, oltre che sulla salute, è anche economico: le morti per inquinamento sono aumentate del 7% in cinque anni nei Paesi Ocse, e il costo legato a questi decessi ha raggiunto 780 miliardi di euro nel solo 2010. Questi e altri dati sono al centro del convegno “I costi dell’inquinamento atmosferico: un problema dimenticato“, organizzato da Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano, Iefe-Università Bocconi e associazione Peripato. Gli esperti si sono confrontati in Bocconi per approfondire il legame tra salute e inquinamento, capire l’impatto economico delle polveri sottili sulla salute e per proporre delle strategie condivise con cui abbattere il livello di inquinanti. “Secondo il rapporto globale 2014 dell’Organizzazione mondiale della sanità – spiega Pier Mannuccio Mannucci, direttore scientifico del Policlinico – l’inquinamento ambientale è anche responsabile di almeno 600mila morti premature, e incide sui costi per la salute fino a 940 miliardi di euro. Le direttive europee fissano come soglia limite per il PM 2,5, contenuto nelle polveri sottili capaci di arrivare fino in profondità nei polmoni, 25 microgrammi per millimetro cubo d’aria: ma le linee guida dell’Oms fissano un limite molto più basso, a 10 microgrammi“. Pier Mannuccio Mannucci L’Agenzia americana per la protezione dell’ambiente (Epa) raccomanda un limite di 12 microgrammi: una soglia molto più simile a quella dell’Oms piuttosto che a quella europea, e che conferma […]
Immissioni
Il buco dell’ozono si sta restringendo: per la prima volta in 35 anni, gli scienziati sono stati in grado di confermare un aumento statisticamente significativo e costante dello strato di ozono che protegge la Terra dalle radiazioni ultraviolette del sole. All’indomani dell’allarme lanciato per il nuovo record raggiunto nel 2013 dalle emissioni di gas serra, una commissione di esperti ha presentato al Palazzo di Vetro di New York un rapporto secondo il quale il piano mondiale sullo strato di ozono dovrebbe permettere un recupero entro il 2050. “La ricostruzione dello strato di ozono é a buon punto, grazie all’azione internazionale concertata contro i gas distruggi-ozono, come i Cfc“, afferma lo studio del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP, United Nations Environment Programme) e Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) (in inglese World Meteorological Organization – WMO). Il Protocollo di Montreal, siglato nel 1987, a distanza di due decenni sta dando i suoi effetti: “entro il 2030 avrà impedito due milioni di casi di cancro alla pelle – ha affermato il direttore esecutivo di UNEP, Achim Steiner – evitato danni al sistema immunitario e problemi agli occhi, protetto la fauna e l’agricoltura“. Achim Steiner Lo scienziato della NASA Paul A. Newman, alla guida del team di 300 scienziati che hanno lavorato al rapporto, ha spiegato come dal 2000 al 2013 i livelli di ozono sono aumentati del 4% in latitudini chiave medio-settentrionali a circa 30 miglia di altezza. Steiner ha poi precisato che tuttavia ci sono anche enormi sfide, e il successo del Protocollo di Montreal dovrebbe incoraggiare ulteriori azioni non solo sulla protezione dell’ozono ma anche sul clima. “L’azione internazionale sull’ozono é un grande successo ambientale – ha aggiunto il segretario generale di Omm, Michel Jarrau – Lo stesso livello di urgenza e di unità dovrebbe essere usato per […]
Articolo di Riccardo Tagliapietra pubblicato con questo titolo sulla cronaca di Roma del quotidiano “Il Messaggero” del 15 agosto 2014. Sottotitolo: “Dopo le analisi dello scorso maggio il gip dispone il sequestro. Indagati per traffico illecito i responsabili dell’azienda” L’INCHIESTA Avrebbero contaminato l’acqua delle falde con ceneri pesanti e scorie. Con la complicità di due funzionari della Provincia di Roma, finiti sotto inchiesta assieme ai responsabili della BASF Italia spa di via di Salone, azienda costola della multinazionale tedesca, che produce e smaltisce catalizzatori chimici a Settecamini. Tutti indagati a vario titolo per traffico illecito di rifiuti e avvelenamento di acque. Comportamenti che, secondo la Procura capitolina, stanno tuttora mettendo a rischio la salute pubblica nell’area dell’ambito di Settecamini. Case Rosse, Settecamini, dove gravitano circa 30mila abitanti. Tanto che il giudice per le indagini preliminari, mercoledì mattina, ha disposto il sequestro preventivo dello scarico delle acque reflue industriali provenienti dal vascone di raccolta dell’azienda, dando mandato al nucleo di Sicurezza pubblica emergenziale della polizia locale di Roma capitale. Liquidi che finirebbero direttamente nell’Aniene, oltre che nelle falde sotterranee, senza alcun trattamento preventivo. Un sequestro che apre uno scenario inquietante, perché a seguito delle denunce dei comitati cittadini che da anni si battono per la chiusura dell’impianto, il caso BASF potrebbe aggravarsi. LE ACCUSE Certo è, che dopo la visita degli investigatori all’azienda lo scorso maggio, quando erano stati prelevati numerosi campioni dai 150 agenti municipali e ispettori Arpa mobilitati, il quadro investigativo è cambiato. Il pubblico ministero Alberto Galanti, tra i massimi esperti in Procura in tema di gestione rifiuti e inquinamento, ha formalmente iscritto nel registro degli indagati direttore e gestore dello stabilimento, compresi due funzionari della Provincia di Roma che avrebbero omesso molte cose. La filiale della multinazionale tedesca a dicembre del 2011 aveva ottenuto l’autorizzazione […]
Articolo di Claudia Coletta pubblicato il 25 luglio 2014 sul sito www.ansa.it. L’Italia è un paese rumoroso, dove l’inquinamento acustico rappresenta, ormai, uno dei maggiori problemi ambientali e che vede la metà dei comuni ancora indietro sul fronte dell’adeguamento delle norme. Questo uno dei passaggi dell’Annuario ISPRA, presentato oggi a Roma assieme al rapporto sui Rifiuti Urbani dal quale emerge un dato positivo: per effetto della crisi sono diminuiti. E al sud, un pò a sorpresa, la Campania si piazza al secondo posto tra le Regioni che fanno la differenza, differenziando quasi la metà dei rifiuti prodotti (44%), il secondo posto dopo la Sardegna (51%). Sul fronte dell’inquinamento acustico “il 42,6% delle sorgenti di rumore controllate nel 2012 ha presentato almeno un superamento dei limiti normativi evidenziando un problema di inquinamento acustico“. Una possibile risposta per arginare il problema dell’inquinamento – si legge sull’analisi ISPRA – è la classificazione acustica, che però deve essere approvata dai comuni: “al 31 dicembre 2012 esisteva solo nel 51% dei centri abitati italiani. Le regioni con la percentuale di comuni a norma più elevata rimangono Marche e Toscana (97%), Valle d’Aosta (sale al 96%), Liguria (84%), Lombardia (sale all’83%), mentre quelle che registrano percentuali inferiori al 10% sono Abruzzo (7%), Sardegna (3%) e Sicilia (1%)“. Dall’analisi si evince poi che la percentuale di popolazione residente in comuni che hanno approvato la classificazione acustica “è pari al 56,5%, con forte disomogeneità sul territorio nazionale“. Sul versante dei rifiuti urbani è confermato, anche per il 2013, il trend in calo sulla produzione rifiuti degli ultimi anni “essenzialmente dovuto alla crisi economica“. Secondo l’ISPRA “nel 2013 l’Italia ha prodotto quasi 400 mila tonnellate in meno di rifiuti urbani rispetto al 2012 (-1,3%), 2,9 milioni di tonnellate rispetto al 2010 (-8,9%), un valore inferiore anche a quello del […]
Quali sono i simboli più visibili del degrado ambientale all’interno di situazioni urbane? Probabilmente l’abbondanza di cemento e lo smog. Pensate, ora come sarebbe se il primo servisse a combattere il secondo. In che modo? Grazie ad una prodigiosa invenzione tutta italiana. L’Italcementi, infatti, produce un cemento di nuova generazione che, grazie ad un principio attivo denominato Tx Active combatte efficacemente l’inquinamento atmosferico. SFRUTTAMENTO DELL’ENERGIA SOLARE – L’innovazione si deve al chimico Luigi Cassar, all’epoca direttore centrale del settore ricerca e sviluppo di Italcementi, e del suo team, al fine di neutralizzare l’inquinamento e preservare le caratteristiche estetiche del cemento, Luigi Cassar Al centro dell’innovazione c’è lo sfruttamento dell’energia solare. La miscela di cemento contiene sostanze conosciute come “fotocatalizzatori” che utilizzano la luce del sole per ossidare gli inquinanti e trasformarli in elementi meno dannosi, in seguito rimossi dall’acqua piovana. Il materiale non solo preserva l’edificio ma disinquina anche l’aria circostante. COME FUNZIONA Questo particolare e nuovo cemento è in grado di svolgere il suo lavoro da spazzino dell’inquinamento, utilizzando un processo simile alla classica fotosintesi, per la presenza di piccolissime particelle di diossido di titanio capaci di rimuovere l’ossido di azoto dall’aria con cui vengono a contatto, fungendo inoltre, per le sue proprietà intrinseche, da patina impermeabile in caso di pioggia. Degna di nota è anche la notizia che questo innovativo composto è efficace non solo con l’ossido di azoto, ma anche con altri composti potenzialmente nocivi per la salute dei nostri polmoni come l’anidride solforosa, l’ossido di carbonio e la formaldeide (e molte altre pur sempre importanti), il tutto grazie al suo contenuto di biossido di titano, che grazie alle sue proprietà scinde le molecole trasformandole in composti innocui per la salute dell’uomo e dell’ambiente. AUTO-PULIZIA DELLA SUPERFICIE TRATTATA E DELL’ARIA – Basta un sottile strato di questo materiale per attivare […]
Sabato 22 febbraio 2014 il Circolo Territoriale di Terni dell’associazione VERDI AMBIENTE e SOCIETA’ ha tenuto presso la sala “Romagnosi” di via Aminale (Terni) un incontro pubblico con il presidente nazionale dei V.A.S. GUIDO POLLICE per discutere sul gravissimo stato ambientale della Conca Ternana. Si riporta di seguito una nota riassuntiva dell’iniziativa. La città di Terni è una delle realtà urbane maggiormente industrializzate di tutta la penisola italiana, il processo di industrializzazione risale alla seconda metà del 19° secolo; il territorio è stato sconvolto dalle attività antropiche che hanno ridisegnato completamente la città che nel giro di pochi anni è passata da agricolo-pastorale ad industriale. L’acciaieria (Saffat) nacque nel 1884, lo Jutificio Centurini nel 1886, la Fabbrica d’armi nello stesso periodo, questi impianti, insieme allo stabilimento elettrochimico di Papigno e la Carbon di Narni Scalo sono, quindi, alla base del rapidissimo processo di industrializzazione. La fede nel progresso, tipica dell’800, non faceva, purtroppo, vedere l’altra faccia della medaglia; quella dello sfruttamento brutale dei lavoratori e della devastazione ambientale che ci hanno accompagnato sino ad oggi. È utile stilare un elenco delle varie forme di criticità ambientali presenti nel territorio in cui viviamo. 1) Inceneritori (zona Maratta) La città dei tre inceneritori Terni ha la “particolarità” di avere nel proprio territorio comunale la “bellezza” di tre inceneritori che hanno ottenuto l’autorizzazione a bruciare dalle amministrazioni comunali che si sono succedute nel corso degli ultimi venti anni; i 3 inceneritori sono uno adiacente all’altro. Nei primi anni ’70 entrò in funzione, infatti, il primo inceneritore per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani che venivano ivi bruciati. Nella seconda metà degli anni’90 la giunta Ciaurro lo affida in gestione all’ASM. Viene in seguito autorizzata l’apertura di altri 2 inceneritori, Terni Ena (ora ACEA) e Printer (passato da poco tempo alla proprietà della Tozzi Holding S.P.A.); […]