“Del doman non v’è certezza”, questo sembra essere da sempre il motto dell’urbanistica romana, si vive alla giornata, come invitava a fare, nel 1490, con la sua Canzona di Bacco, Lorenzo il Magnifico. Si pensi, ad esempio, alle innumerevoli varianti apportate al Piano Regolatore Generale (P.R.G.) approvato, con apposito D.P.R. il 16 dicembre 1965. Ma, se negli anni del Sacco di Roma le varianti avevano semplicemente il nome dell’intervento che si andava ad autorizzare, dal 1993 si sono infiocchettate con denominazioni che sembravano richiamare alla tutela del territorio. E così, piuttosto che elaborare un nuovo e rivoluzionario P.R.G., si è perso tempo a varare: la variante a verde e servizi, la variante di salvaguardia, il Piano delle certezze, gli ambiti di riserva a trasformabilità vincolata (leggasi: compensazioni ricadenti su aree di agro romano salvate dalle precedenti varianti), et similia. Insomma, varianti dai nomi altisonanti, con testi volti a tranquillizzare l’anima ecologista della città, ma che celavano tutte nuovi pezzi di territorio sacrificati al cemento. Certezze non se ne sono mai raggiunte né con l’omonimo piano, né con il nuovo piano regolatore del 2008 (che ne ha smontate in buona parte), che, peraltro, si è cominciato ad emendare subito dopo la sua approvazione. Basta vedere i progetti approvati dal commissario prefettizio. Ma anche l’attuale giunta non si è risparmiata, si pensi, ad esempio al progetto dello stadio della A.S. Roma. Dal 2016, poi, è in corso una revisione del piano del 2008. E dire che, anche chi scrive, votò holding her nose il nuovo P.R.G nella speranza che si pervenisse finalmente ad un sistema di regole certe, per uscire dal pianificar facendo, che vedeva tra i beneficiari di concessioni edilizie figli e figliastri. D’altronde, il settore delle costruzioni è sempre stato tra le colonne portanti dell’economia romana. Se prima della crisi del 2007-2009 era il secondo comparto […]