LE MACERIE DELL’UCRAINA. L’esercito russo ha raso al suolo alcune realtà urbane e produttive, ha inferto danni enormi a città e paesi, sventrato quartieri residenziali e villaggi rurali. DI PANCHO PARDI, IL MANIFESTO, 17 MAGGIO 2022 Solo una domanda: chi pagherà? Il presidente francese Emmanuel Macron ha riportato in primo piano il rilievo strategico dell’umiliazione: tutti i passi politico-diplomatici per spegnere la guerra e aprire il negoziato saranno efficaci solo se si vorrà evitare l’umiliazione di Putin. C’è saggezza in questo modo di guardare allo scenario bellico e alle possibili soluzioni, ma ce ne vorrà altra per stabilire i termini del negoziato. Sempre che Putin non preferisca invece una guerra di lunga durata. Ma alla fine comunque si dovrà prendere di petto la questione delle riparazioni di guerra. Sulle responsabilità complessive del conflitto chi vorrà potrà continuare a discutere a lungo. Ma solo l’esercito russo ha la responsabilità diretta di aver distrutto in Ucraina aeroporti, ferrovie, infrastrutture vitali, ospedali, scuole, industrie, porti, depositi di carburanti e viveri, centri commerciali. Solo l’esercito russo ha raso al suolo alcune realtà urbane e produttive, ha inferto danni enormi a città e paesi, sventrato quartieri residenziali e villaggi rurali. Ha reso inabitabile una porzione cospicua del territorio ucraino. Ha impedito l’esercizio attivo dell’agricoltura in vaste aree e bloccato l’esportazione dei grani, con gravi ripercussioni di carestia per i paesi poveri. Negli ultimi tempi sembra poi accanirsi con pioggia di missili sui depositi di mais destinato all’estero. E non si elenca in questa contabilità economica il peso delle morti procurate, le stragi perpetrate, le torture inflitte ai prigionieri, il rapimento di minori avviati all’est, l’esodo forzato di milioni di donne con bambini. E’ un capitolo diverso che dovrà essere considerato a parte con altra logica. Ma si dovrà rispondere sempre alla domanda: chi pagherà tutto questo? […]
Rassegna Stampa
ENERGIA. È la risposta alla richiesta di Macron di dichiarare l’intenzione di voto sulla proposta della Commissione che include l’atomo tra le fonti per la transizione ecologica DI SEBASTIANO CANETTA, IL MANIFESTO, 17 MAGGIO 2022 Pollice verso della Germania sul regolamento europeo sulla tassonomia energetica. Lo ha confermato ieri a Berlino il ministero delle Finanze, ufficializzando la sua risposta alla richiesta del governo Macron di dichiarare l’intenzione di voto sulla proposta della Commissione Ue che include il nucleare tra le fonti per la transizione ecologica. «Le centrali atomiche non sono sostenibili. Primo, perché non si possono escludere incidenti con effetti su vasta scala; secondo, perché resta irrisolto il problema di come, dove e per quanto tempo stoccare le scorie tossiche» è la netta, inequivocabile, posizione della Coalizione Semaforo. Dominata sempre più dai Verdi, veri vincitori del voto di domenica in Nordreno-Vestfalia, il Land più popoloso della Bundesrepublik con 17,9 milioni di abitanti nonché cuore industriale della Germania. Il 18,1% del consenso al partito ambientalista vuol dire terzo posto ma anche l’11,7% in più dalle ultime elezioni. Coincide con il ritorno politico della Cdu, primo partito al Parlamento di Düsseldorf con il 35,8% (+2,8% rispetto al 2017), e il clamoroso schianto alle urne della Spd, fermatasi al 26,7% (meno 4,5%) e destinata a incassare la seconda batosta elettorale in otto giorni dopo il tonfo nello Schleswig-Holstein. Gran bella grana per il cancelliere Olaf Scholz, specialmente se è finita malissimo anche l’altro partner nel governo federale: Fdp a quota 5,6% (meno 7%) segnala la fine della luna di miele dei liberal con gli elettori. Anche per questo effetto collaterale la Germania chiederà formalmente al Consiglio europeo a guida francese di opporsi al documento sulla tassonomia predisposto dalla Commissione. «Se il Consiglio, oppure l’Europarlamento che si esprimerà a luglio, solleveranno obiezioni sull’atto, allora sarà […]
ESERCITAZIONE «MARE APERTO». Un’ordinanza firmata dallo stato maggiore della Difesa ha dato il via, dieci giorni fa, all’imponente manovra: 4.000 effettivi, 65 navi, caccia, reparti anfibi. Domenica manifestazione di protesta DI COSTANTINO COSSU, IL MANIFESTO 17 MAGGIO 2022 Quattromila effettivi provenienti da sette paesi della Nato si esercitano in questi giorni in Sardegna in simulazioni di guerra. Sessantacinque le navi che circondano le coste dell’isola. Impegnati anche caccia, elicotteri, sottomarini e reparti anfibi con mezzi da sbarco e veicoli d’assalto. Un’ordinanza firmata dallo stato maggiore della Difesa ha dato il via, dieci giorni fa, a un’imponente manovra, cui è stato dato il nome di «Mare aperto». Si andrà avanti sino al 27 maggio. Tre settimane di fuoco, con proiettili, bombe e missili lanciati contro litorali di eccezionale pregio naturalistico. Teatro dell’esercitazione, come sempre, i tre principali poligoni militari sardi: Quirra, Capo Frasca e Teulada. Ma stavolta lo schieramento di forze è talmente vasto che la Difesa ha pensato bene di bloccare anche altri siti fuori delle basi permanenti. Un’ordinanza della capitaneria di porto di Cagliari ha infatti vietato l’accesso a diciassette aree a mare, vicino ad alcune delle spiagge più note: Poetto, Villasimius, Cala Pira, Capo Ferrato, Porto Pino, Porto Corallo. Su questi arenili, si legge nell’ordinanza della capitaneria di porto, «sono vietati il transito, la sosta, la navigazione, l’ancoraggio di ogni tipologia di unità navale, comprese quelle da diporto, nonché le immersioni, la balneazione, la pesca ed i mestieri affini». A stagione turistica già partita, tutta la costa meridionale dell’isola ed entrambi i tratti sud delle coste orientali e occidentali sono quindi assediati dalle forze Nato. Ma i danni economici al comparto turistico sono soltanto un aspetto della questione. Mentre alcuni alti ufficiali dell’esercito – tra i quali il generale Claudio Graziano, ex presidente del Comitato militare dell’Unione europea – […]
DI FRANCESCO CASULA, IL FATTO QUOTIDIANO, 17 MAGGIO 2022 Benzoapirene, benzene e biossido di zolfo. Sono alcune delle sostanze nocive che ancora si sprigionano dall’ex Ilva di Taranto al punto da renderla ancora pericolosa per i cittadini. Lo ha evidenziato la Procura di Taranto nel documento con cui ha espresso parere contrario all’istanza di dissequestro avanzata dai legali dai commissari di Ilva in As. Per questi l’Ilva è ormai una struttura nuova che non danneggia più la salute dei cittadini, ma i pubblici ministeri hanno spiegato che, oltre alla sentenza della corte Europea dei diritti dell’uomo, la Valutazione del Danno Sanitario e altri documenti già noti, ci sono dei dati di Arpa Puglia che dimostrano il superamento di dei limiti di emissione di alcuni inquinanti anche cancerogeni. Come il benzoapirene che a dicembre 2021 e a gennaio 2022 ha superato limite stabilito dalla legge: non avveniva dal 2012, anno del sequestro della fabbrica. La parola ora passa alla Corte d’assise che dovrà decidere se accogliere o meno l’istanza di dissequestro.
La guerra energetica alla Russia pare già sopita DI VIRGINIA DELLA SALA, IL FATTO QUOTIDIANO, 17 MAGGIO 2022 La guerra energetica alla Russia pare già sopita. Bruxelles ha fatto sapere che si potrà continuare a pagare il gas di Mosca senza violare le sanzioni e, dopo ormai 13 giorni dalla sua presentazione, non è arrivata a un accordo sul sesto pacchetto di sanzioni, che prevede l’embargo del petrolio russo. La Commissione Ue venerdì ha inviato alle aziende petrolifere una nota in cui precisa che si può aprire un conto bancario presso Gazprombank, ma a patto che i pagamenti non avvengano in Rubli. Un decreto del Cremlino obbliga infatti gli importatori dei Paesi “ostili” a saldare gli acquisti di gas ricorrendo a due conti presso Gazprombank, uno in euro/dollari e uno, appunto, in rubli. Inoltre considerava conclusa la transazione solo nel momento in cui si fosse concluso il cambio.La bozza delle linee guida della Commissione Ue, però, sembra chiarire che, per non infrangere le sanzioni, alle aziende basterà pagare in euro o dollari, come previsto dai contratti, e dichiarare che con quel versamento avranno adempiuto ai propri obblighi, lasciando ai russi la conversione in rubli. Un modo, insomma, per dare un via libera ‘ufficiale’ ai colossi europei (l’italiana Eni compresa) di procedere ai pagamenti senza però chiarire cosa succeda dopo. Nelle scorse settimane, Gazprom aveva assicurato che la valuta estera ricevuta sarebbe stata cambiata in rubli tramite conti del National Clearing Center russo, senza apparentemente coinvolgere la Banca Centrale (per non violare le sanzioni), mentre a fine aprile la banca centrale aveva chiarito che se gli acquirenti di gas stranieri avessero pagato in buona fede in valuta estera, il gas avrebbe continuato a fluire anche se Gazprombank non fosse riuscita a convertire quei fondi in rubli. Era anche stato stabilito un […]
DI MARTA STRINATI, GREAT ITALIAN FOOD TRADE, 10 MAGGIO 2022 L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e l’aggravarsi della drammatica condizione in cui versano larghe fasce della popolazione mondiale come conseguenza della crisi ucraina sono esasperati da distorsioni dei sistemi alimentari note e mai sanate. Le stesse anomalie minacciano costantemente la sicurezza alimentare globale, intesa come accesso al cibo (food security). Al tema, iPES FOOD dedica un rapporto speciale dal titolo eloquente: ‘Un’altra tempesta perfetta?’. (1) Aumento dei prezzi alimentari, l’impatto della crisi ucraina La tragedia di morti, feriti, sfollati e della distruzione di quanto costruito in vite intere di lavoro si aggiunge alla fame come conseguenza sistematica della violenza. In Ucraina come in oltre 40 zone di conflitto attive nel mondo – Yemen, Siria, Afghanistan, Etiopia, Sahel, etc. – a discapito di più di due miliardi di persone, metà delle quali versa in condizioni di estrema povertà. Gli effetti del conflitto russo-ucraino si riverberano gravemente, tra l’altro, sui mercati agroalimentari globali. Al blocco delle esportazioni di grano ucraine e russe si sommano infatti le restrizioni all’export imposte in 20 Paesi. Per proteggere il mercato domestico dalle volatilità dei prezzi, ma anche per creare carenze temporanee e rincari. Rincari da fame L’aumento dei prezzi dei generi alimentari (e dell’energia e delle materie prime) che stiamo affrontando nelle economie avanzate sono in grado di esacerbare la fame in molte delle regioni più povere e vulnerabili del mondo. I prezzi del grano hanno raggiunto il picco in 14 anni a marzo, +20% rispetto a febbraio e +34% in un anno, secondo la FAO. Anche il mais ha raggiunto prezzi record, per previsioni di raccolto scarso. E l’impennata dei prezzi dei fertilizzanti – con lo stop di quelli russi e ucraini – acuisce la crisi per gli agricoltori ‘convenzionali’. (2) L’Africa più a rischio L’Africa è la regione più a rischio. Quasi il 40% […]
DI LUCA MERCALLI, IL FATTO QUOTIDIANO, 15 MAGGIO 2022 In Italia – Le piogge di inizio maggio, benefiche ma non risolutive della lunga siccità, hanno indugiato al Sud tra domenica 8 e lunedì 9 con forti scrosci su Foggiano, Calabria ionica e Sicilia (126 mm domenica a Cerignola), più localmente in seguito con qualche temporale pomeridiano. Altrove – sotto un anticiclone associato ad aria nord-africana – è arrivato un precoce assaggio d’estate. I primi 30 °C dell’anno sono apparsi al Nord, fino a 31,8 °C presso Modena e 31 °C anche ai 590 m di Bressanone, valori sopra media di circa 8 °C. Aria più instabile ha rinfocolato temporali a partire da venerdì sera causando copiose grandinate sulle valli trentine, ma nei prossimi giorni il tempo tornerà soleggiato e ancora più caldo. Aprile 2022 era stato leggermente fresco secondo il Cnr-Isac con anomalia nazionale di -0,3 °C rispetto all’ultimo trentennio, ma il secco ha imperato facendo toccare un deficit di precipitazioni, dal 1° gennaio, prossimo al 50 per cento nell’insieme del Paese e al 60 per cento al Settentrione. E il prosieguo non promette bene: non sono in vista piogge rilevanti, l’intenso soleggiamento e le temperature elevate faranno fondere la poca neve rimasta sulle Alpi ed evaporare dai suoli l’umidità delle piogge recenti, mentre lungo il Po si sta esaurendo la già modesta onda di deflussi che una settimana fa a valle di Cremona aveva fatto alzare di un metro il livello del fiume in magra storica.Nel mondo – Il caldo precoce ha invaso l’Europa con temperature fino a 36,0 °C in Andalusia e 32,4 °C in Austria presso il confine ungherese (qui record per la prima metà di maggio). Intanto il Pakistan soffoca in una nuova ondata di calore che, dopo l’aprile più caldo mai registrato in Asia, venerdì […]
A rischio il finanziamento Ue del 50%. L’ex commissario Foietta in una riunione ha rivelato che l’Europa vuole l’impegno per tutta l’opera o addio soldi: Parigi però ha mollato la linea nazionale DI GIANNI BARBACETTO, IL FATTO QUOTIDIANO, 15 MAGGIO 2022 “Il Tav riparte”, annuncia il commissario del governo Draghi, Calogero Mauceri. Ma l’annuncio, ripetuto troppe volte negli ultimi dieci anni, mostra esattamente il contrario, che il progetto è fermo. E ora rischia addirittura di naufragare. A dirlo non sono i no-Tav ma, in Francia, la lobby del Tav e, in Italia, l’ex commissario Paolo Foietta.Il comitato La Transalpine, che in Francia raggruppa i sostenitori istituzionali e imprenditoriali della nuova linea Torino-Lione, il 9 maggio ha lanciato un allarme drammatico (ripreso dal quotidiano l’Opinion e poi rilanciato in Italia dal Foglio sotto il titolo: “Ora a fermare la Tav è la Francia”). Parigi non si sta impegnando a realizzare la tratta della linea sul suo territorio, anzi sembra aver di fatto abbandonato il progetto. “Assistiamo a una costernante impasse francese”, ha dichiarato il delegato generale di La Transalpine, Stéphane Guggino. Niente nuova linea: “A oggi, la priorità dello Stato rimane la modernizzazione della linea storica Digione-Modane, per raggiungere una capacità di trasporto merci di 10 milioni di tonnellate all’anno e meno di 100 treni al giorno”. Ha aggiunto l’Opinion: “Poiché dal punto di vista politico nessuno ha trovato il modo di trarre beneficio dal progetto e il ministero dell’Economia dice che ci vorrà molto tempo per trarne benefici economici, lo Stato ha scelto di fregarsene”. Dalla Francia arriva dunque la notizia di uno stop di fatto; e la conferma della sostanziale inutilità del Tav, privo di benefici economici visto che sulla tratta Torino-Lione i passeggeri scarseggiano e le merci trasportate, tanto su treno quanto su strada, negli anni diminuiscono.Dall’Italia, per […]
RIFIUTI. Storia del più grande impianto d’Italia, che ogni anno e per 30 anni è costretto ad incenerire 750 mila tonnellate di rifiuti (più della metà arrivano da fuori) DI MARINO RUZZENENTE, IL MANIFESTO-EXTRATERRESTRE, 12 MAGGIO 22 L’inceneritore di rifiuti è una macchina complessa e costosa: non a caso è sempre stata accompagnata da finanziamenti pubblici, un tempo i cip 6, poi i certificati verdi, ora il Pnrr. L’amministratore delegato di A2A, in un’intervista del settembre scorso, l’ha detto a chiare lettere: per nuovi inceneritori al centro-sud «serve un fondo di garanzia pubblico… per sostenere i costi di investimento per i nuovi impianti e di un servizio che non si può interrompere». QUINDI SOLDI PUBBLICI da un lato e grande dimensione dell’impianto dall’altro per le necessarie economie di scala: A2A lo sa bene, grazie all’esperienza maturata con il più grande inceneritore d’Italia, entrato in funzione alla fine del secolo scorso a Brescia, pagato interamente con i Cip 6 in quell’epoca di euforia inceneritorista. ALLORA I RIFIUTI PROVINCIALI, in assenza di raccolta differenziata, erano circa 450 mila tonnellate, cui si aggiunsero con una evidente forzatura altre 300 mila tonnellate di possibili «biomasse» che in realtà erano rifiuti speciali camuffati: il risultato fu una megamacchina da 750 mila tonnellate annue di rifiuti da incenerire. Scattò così la trappola tecnologica in cui i bresciani si trovano ancora oggi imbrigliati: infatti, se un inceneritore nasce necessariamente sovradimensionato, non per questo poi se ne può ridurre l’utilizzo in funzione del fabbisogno territoriale di smaltimento dei rifiuti a valle della raccolta differenziata, come logica vorrebbe. L’IMPIANTO DEVE FUNZIONARE a pieno regime almeno per i circa 30 anni di vita tecnologica dello stesso, sia per abbattere i costi di gestione, sia perché i forni devono sviluppare il massimo delle temperature evitando fermate e riavvii critici per le emissioni, sia perché va […]
DI ANTONIO DE LELLIS È’ di tutta evidenza che la guerra, già disseminata in varie parti del mondo, è solo un modo particolare di promuovere i conflitti in un sistema di dominio come quello neoliberista. Ma le guerre ci sono state sempre anche al di fuori del sistema economico attuale. Quindi cos’è che genera la guerra? Ad esempio la sete di potere, l’espansione degli imperi, il metodo della sopraffazione come strumento di regolazione dei conflitti. A ben guardare nel nostro sistema dominante esiste una multiconflittualità a livelli di sopraffazione e annientamento, ad esempio, verso i migranti, i profughi, i poveri, le donne. Se guardiamo attentamente l’epilogo dei principali conflitti armati, essi si estinguono o per vittoria sul campo, o per stanchezza o per esaurimento di risorse economiche da destinare ai medesimi. Una combinazione degli stessi è quasi sempre presente. Alimentare un conflitto come quello che si svolge in Ucraina è senza dubbio possibile se continuiamo a credere che qualcuno vincerà, a finanziare Putin con l’acquisto dei suoi idrocarburi e se diamo armi all’esercito ucraino. Che è il triplo prezzo che noi tutti paghiamo. In termini di riarmo diretto, con il 2% del Pil, indiretto, armando l’Ucraina, e finanziando anche il riarmo della Federazione Russa attraverso le ingenti risorse che trasferiamo per acquisto di gas e petrolio. Ogni guerra però ha il suo retroterra finanziario. Se il sistema finanziario ci guadagna la guerra continuerà. Volete un esempio? Secondo le ultime stime della FAO, emesse l’8 aprile, cioè dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il rapporto tra stock e utilizzo di cereali diminuirà solo marginalmente nel 2021-2022. La produzione mondiale di cereali, infatti, aumenterà da 2,78 miliardi di tonnellate nel 2020-2021 a 2,8 miliardi di tonnellate nel 2021-2022. Anche la produzione stimata di grano per il 2021-2022 è diminuita solo marginalmente da 776,6 milioni […]