Ecco il nuovo Fontego, il lusso sbarca a Venezia

 

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VENEZIA. Dal XVI secolo al futuro, dai tedeschi ai francesi, dai legnami ai tacchi assassini, in un’evoluzione di tempi, modi e opportunità.

Il commercio, quello delle merci in arrivo dal nord Europa, e poi quelle comunicazioni, nel lungo periodo in cui fu sede delle Poste; il commercio, questa volta del lusso, soprattutto italiano, rimane il cardine del Fontego dei Tedeschi che sta perfezionando la sua muta in attesa di mostrarsi a Venezia e al mondo tra quattro mesi.

Il resto è il risultato dell’incontro, quasi mai facile, tra le vestigia del passato e la tecnologia, tra la storia e la sua proiezione, tra la scala mobile rosso color sangue di bue e i merli di pietra della facciata a guardia del ponte di Rialto.

Ecco il Fontego che diventa Fondaco, anzi “T Fondaco dei Tedeschi”, secondo la ristrutturazione voluta da Edizione – la società del Gruppo Benetton proprietaria dell’edificio –, affidata allo Studio Oma dell’architetto Rem Koolhaas e alla Sacaim, e ora, a lavori praticamente conclusi, salda nelle mani del marchio Dfs (Duty Free Shop), controllato dal Gruppo Lvmh, che ha avuto in affitto l’edificio cinquecentesco.

Ecco il Fondaco come lo vedrà la stampa il prossimo 29 settembre e il pubblico il 30 quando duemila lampade illumineranno i 6.800 metri di superficie, le sessanta boutique, le 450 finestre, i quattro ascensori, la scala mobile chiamata “tappeto rosso” (solo in salita) e, sempre più su, il padiglione vetrato tenuto insieme da 22 mila bulloni, l’ultimo piano destinato agli eventi culturali e la terrazza che è panoramica come una ruota: 360 gradi di pura Venezia dal Lido alle Alpi.

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 «Qui ogni arco, ogni fregio, ogni decorazione ricordano la storia dell’edificio – spiega il vicepresidente per l’Italia di Dfs, Roberto Meneghesso – per noi è un onore, oltreché una responsabilità, continuare una tradizione che affonda le radici nel XIII secolo e riportarlo in vita».

Quattro gli ingressi a piano terra che convergeranno nel grande cortile dove fino al 2008 i veneziani facevano la fila per spedire un pacco.

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Quattro ingressi di cui quello sulla Salizada conserva ancora le vecchie porte di legno, vetro e ottone.

«Tutto, abbiamo conservato tutto quello che c’era» dice ancora Meneghesso insieme all’architetto Alberto Torsello.

Tutto quello che era possibile, ovviamente.

Come i masegni delle arcate a piano terra, numerati, rimossi, spazzolati e rimessi al proprio posto uno per uno.

I meravigliosi soffitti di legno decorato.

La scala in pietra d’Istria.

Gli intonaci spugnati a mano.

I pavimenti alla veneziana che si rincorrono per gran parte della superficie.

La vecchia buca delle lettere.

L’immenso cantiere, dove hanno lavorato fino a 160 operai contemporaneamente, si sta piano piano svuotando e, a breve, entreranno gli arredatori ai comandi dell’architetto britannico Jamie Fobert che curerà gli allestimenti.

Ci penserà il tempo, se sarà galantuomo, ad annerire gli infissi in ottone dorato che hanno fatto cadere la mascella a più di qualcuno, a fare digerire i pavimenti alla palladiana dal vago effetto animalier, a scurire le pareti dorate un po’ “bling bling” degli ascensori e a smorzare il rosso, il lustro e il nuovo.

 

(Articolo di Manuela Pivato, pubblicato con questo titolo il 21 maggio 2016 su “La Nuova di Venezia e Mestre”)

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