Nulla osta e silenzio assenso in Area protetta. A.P. 27 luglio 2016 n. 17, le misure di salvaguardia delle Aree Protette non esistono

 

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L’Adunanza Plenaria n. 17 del 27 luglio 2016 del Consiglio di Stato ha stabilito che il silenzio assenso previsto dall’art. 13, commi 1 e 4, l. 6 dicembre 1991 n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) non è stato implicitamente abrogato a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 80 del 2005, che, nell’innovare l’art. 20, l. n. 241 del 1990, ha escluso che l’istituto generale del silenzio-assenso possa trovare applicazione in materia di tutela ambientale e paesaggistica.

Questi in sintesi i passaggi motivazionali della decisione (dal sito www.giustizia-amministrativa.it).

In relazione ai presupposti, in generale, per la configurabilità di abrogazione inespressa di una legge, la Plenaria ha ricordato che:

A) a norma dell’art. 15 delle Disposizioni preliminari al Codice civile, essa si rinviene quando vi è incompatibilità fra nuove e precedenti leggi (abrogazione tacita), ovvero quando la nuova legge regola l’«l’intera materia» già regolata dalla anteriore (abrogazione implicita): per cui detta incompatibilità sussiste se vi sia una contraddizione tale da rendere impossibile la contemporanea applicazione delle due leggi in comparazione, sì che dall’applicazione ed osservanza della nuova derivi necessariamente la disapplicazione o l’inosservanza dell’altra (ex multis, Cass., I, 21 febbraio 2001, n. 2502).

B) il principio lex posterior generalis non derogat priori speciali deve cedere alla regola dell’applicazione della legge successiva allorquando dalla lettera e dal contenuto di detta legge si evince la volontà di abrogare la legge speciale anteriore o allorquando la discordanza tra le due disposizioni sia tale da rendere inconcepibile la coesistenza fra la normativa speciale anteriore e quella generale successiva (cfr. Cass., sez. lav., 20 aprile 1995, n. 4420. V. inoltre Cons. St., sez. V, 17 luglio 2014, n. 3823).

Venendo alla specifica questione in esame, e applicando i suindicati principi, l’Adunanza plenaria ha ritenuto che tale incompatibilità che giustifica l’abrogazione tacita o implicita non sussistesse nel caso in esame e che l’art. 13, l. n. 394 del 1991 abbia disposto unicamente una particolare strutturazione del procedimento, comunque in grado di garantire la piena tutela dell’interesse protetto.

Le ragioni per giungere a tale conclusione sono le seguenti:

C) non si rinviene una indicazione della giurisprudenza costituzionale in senso preclusivo alla possibilità per il legislatore ordinario statale di dotarsi dello strumento di semplificazione procedimentale rappresentato dal silenzio-assenso anche in materia ambientale, laddove si tratti di valutazioni con tasso di discrezionalità non elevatissimo (cfr. Corte cost. 19 ottobre 1992, n. 393; 27 aprile 1993, n. 194; 2 febbraio 1996, n. 26; 17 dicembre 1997, n. 404; 16 luglio 2014, n. 209).

D) neppure la giurisprudenza comunitaria ha fornito indicazioni preclusive in tal senso: la Corte di Giustizia europea ha ritenuto non compatibile la definizione tacita del procedimento, solo quando, però, per garantire effettività agli interessi tutelati (tutela della salute), fosse necessaria una espressa valutazione amministrativa quale un accertamento tecnico o una verifica (sentenza 28 febbraio 1991, causa C-360/87); essa inoltre ha censurato unicamente l’omessa effettuazione della Valutazione di Impatto Ambientale in quanto prescritta dalla direttiva n. 85/337/Cee (sentenza 10 giugno 2004, causa C-87/02).

All’interno di tale cornice, la Plenaria ha evidenziato che:

E) il dato testuale dell’art. 20, comma 4, della l. 241/90 (come modificato dalla l. 81 del 2005) depone nel senso della non configurabilità di un effetto abrogativo implicito.

Ed infatti, esso esordisce riferendosi alle sole «disposizioni del presente articolo».

Dunque almeno in principio la sua previsione pare riguardare i casi generali e non estendersi a precedenti specifiche disposizioni, come quella del detto art. 13. (cfr. Cons. Stato, VI, 29 dicembre 2008, n. 6591 e 17 giugno 2014, n. 3047).

F) dal punto di vista sistematico:

  1. L’art. 13, l. n. 394 del 1991 fu posto quando l’originario art. 20, l. n. 241 del 1990 escludeva in via generale il silenzio-assenso, salvo casi specifici previsti da appositi regolamenti governativi di delegificazione. Viceversa, solo con la riforma del 2005 il modulo del silenzio assenso è stato generalizzato. Non è pertanto logico ritenere che una disposizione volta a generalizzare il regime procedimentale del silenzio-assenso faccia venir mento proprio quelle ipotesi di silenzio-assenso già previste dall’ordinamento nel più restrittivo sistema dell’art. 20 vigente prima della riforma del 2005. (cfr. in termini Cons. St.., sez. VI, 17.6.2014, n. 3047; id. 29 dicembre 2008, n. 6591);
  1. la previsione del silenzio assenso per il rilascio del nulla osta dell’Ente Parco si inseriva in una normativa organica del settore sui parchi e le aree protette (la l. n. 394 del 1991), cosicché deve ritenersi che essa fosse il frutto di un bilanciamento complessivo degli interessi ivi coinvolti e costituisse effetto di una valutazione legislativa ponderata e giustificata dalla specificità della materia;
  1. il nulla osta dell’art. 13, l. n. 394 del 1991 ha ad oggetto la previa verifica di conformità dell’intervento con le disposizioni del piano e del regolamento del parco. 

Si tratta pertanto di effettuare valutazioni a basso margine di discrezionalità compatibili con il modulo procedimentale del silenzio assenso.  (sic!)

Le (sconosciute) misure di salvaguardia delle aree protette.

È il caso di ricordare al Supremo Consesso amministrativo che l’istituzione di aree naturali protette nazionali o regionali ai sensi della legge 394/1991 prevede sempre l’adozione di specifiche misure di salvaguardia in applicazione del comma 1 dell’articolo 6 della medesima legge (per approfondimenti, note e citazioni si rimanda a: F. Albanese, Nulla-osta nelle aree protette e formazione del silenzio-assenso, in www.ambientediritto.it del 10/03/2010)

Di conseguenza dall’istituzione fino all’approvazione del regolamento e del piano operano i divieti previsti dal combinato disposto dell’art. 6, comma 3 e dall’art. 11, comma 3 della legge 394/1991, che possono essere integrati da misure specifiche contenute nel provvedimento istitutivo del parco.

Vediamo nel dettaglio quali sono le prescrizioni ed i divieti delle misure di salvaguardia in parola:

1) le attività vietate dal comma 3 dell’art. 6 riguardano l’esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell’utilizzazione dei terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant’altro possa incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell’area protetta.

2) le attività vietate ai sensi del comma 3 dell’art. 11 si riferiscono ad opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat.

Abbiamo detto che le misure di salvaguardia rimangono in vigore fino all’approvazione del regolamento del parco, che deve compiersi non oltre sei mesi dall’approvazione del piano.

Quest’ultimo deve essere approvato entro ventiquattro mesi dall’insediamento dell’ente parco, dunque le misure di salvaguardia a cui abbiamo brevemente accennato possono restare in vigore se la tempistica viene rispettata alla lettera, per almeno due anni e mezzo dall’istituzione del parco.

L’inderogabile necessità di acquisizione del nulla-osta anche in regime di salvaguardia.

Dalla lettura dell’art. 13 della legge 394 del 1991, si evince che per ottenere il titolo abilitativo necessario per realizzare interventi opere o attività all’interno di un’area protetta, si deve acquisire preventivamente il nulla-osta.

Detto questo, può essere utile rammentare che la Cassazione Penale, Sez. III, con sentenze del 5 aprile 2007 n. 14183 e del 15 dicembre 2008 n. 46079 ha stabilito che il nulla-osta ex art. 13 preventivo al rilascio di concessioni o autorizzazioni relativi ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco non è subordinato soltanto alla previa approvazione del piano e/o del regolamento del parco, ovvero in mancanza di tali strumenti, la valutazione spettante all’Ente parco, ai fini dell’emissione del provvedimento di propria competenza, deve fare riferimento:

a) agli atti istitutivi del Parco;

b) alle deliberazioni, ordinanze ed altri provvedimenti eventualmente emanati dagli organi di gestione dell’ente ai sensi delle norme istitutive;

c) alle misure di salvaguardia adottate;

d) ai piani paesistici o aventi comunque valenza paesaggistica nelle disposizioni riguardanti gli aspetti naturalistici e la tutela ecologica (…).

La «metamorfosi» del nulla-osta ignorata dall’Adunanza Plenaria.

I giudici di Palazzo Spada in sostanza sanciscono l’applicabilità del silenzio-assenso ex art. 13, in funzione del tasso non elevato di discrezionalità nel rilascio del nulla-osta con regolamento e piano di assetto approvati.

Su quest’affermazione si può anche essere d’accordo.

Peccato che non si dica nulla nel caso in cui il rilascio del nulla-osta avvenga quando siano ancora vigenti le misure di salvaguardia, ovvero per il periodo (tutt’altro che breve!) che va dall’istituzione dell’area protetta all’approvazione del Piano e del regolamento.

In questo caso, possiamo ancora parlare di valutazioni a basso margine di discrezionalità compatibili con il modulo procedimentale del silenzio assenso?? 

Per stabilire il grado di discrezionalità del nulla-osta rilasciato in vigenza delle misure di salvaguardia, possiamo esaminare i contenuti delle stesse, all’interno di alcuni provvedimenti istitutivi di Aree protette.

Troviamo così alcuni divieti indefiniti e ricorrenti, fra cui: «(…) l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità e pertanto sono vietate tutte le attività che ne determinino in qualsiasi modo l’alterazione (d.p.r. 6 ottobre 1999, Istituzione del Parco nazionale delle Cinque Terre).

Oppure divieti molto generici, ma dal contenuto elaborato: «(…) è vietato il taglio dei boschi, ad eccezione degli interventi necessari alla loro conservazione e alla prevenzione degli incendi; in particolare tali interventi devono fondare la loro applicazione sull’ecologia, sulla biologia e sulla pedologia, assicurando la conservazione nel tempo e nello spazio del popolamento forestale, senza alterarne le caratteristiche ecologiche fondamentali: copertura, struttura, composizione, densità e suolo; la realizzazione di opere che comportino la modificazione del regime delle acque (d.p.r. 14 novembre 2002, Istituzione del Parco nazionale della Sila), ed ancora: «(…) è vietata la realizzazione di impianti e di opere tecnologiche che alterino la morfologia del suolo e del paesaggio e gli equilibri ecologici, la trasformazione dei terreni coperti da vegetazione spontanea, in particolare mediante interventi di dissodamento e scanficatura del suolo e frantumazione meccanica delle rocce calcaree, la trasformazione e la manomissione delle manifestazioni carsiche di superficie e sotterranee, la demolizione, il danneggiamento, l’asportazione di parti e l’alterazione tipologica di manufatti rurali appartenenti alla tradizione storica locale (d.p.r. 10 marzo 2004, Istituzione del Parco nazionale dell’Alta Murgia).

Si evince chiaramente la responsabilità affidata all’Ente parco dal legislatore di valutare l’impatto di interventi o attività potenzialmente dannosi su un territorio e sulle sue componenti biotiche, che non siano stati oggetto (ancora) di studi specifici e approfonditi, propedeutici all’approvazione del Piano e del Regolamento.

Infatti, l’Ente in questa fase non dispone di informazioni e dati scientifici sufficienti per individuare automaticamente ad es. luoghi caratterizzati da fragili equilibri biologici o da presenze faunistiche o botaniche importanti e per questo da preservare con estremo rigore, di fatto non ha ancora utilizzato l’ampia discrezionalità a sua disposizione per dettare, mediante gli strumenti del piano e del regolamento, la disciplina di conservazione del parco.

Solo con il completamento degli studi scientifici propedeutici alla stesura del piano e del regolamento l’Ente avrà un’approfondita conoscenza del sistema naturale dell’Area protetta.

Pertanto l’Ente parco dovrà effettuare un’accurata analisi del territorio oggetto dell’intervento o dell’attività e valutare i possibili effetti negativi. 

È dunque ragionevole sostenere, in questo caso, che il nulla-osta rilasciato sia caratterizzato da un grado elevato di discrezionalità.

Viceversa è facilmente riscontrabile che tra il secondo periodo del comma 1: «Il nulla-osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta», e il terzo: «Decorso inutilmente tale termine il nulla-osta si intende rilasciato», esiste una stretta correlazione logico-funzionale, che vincola la formazione di un provvedimento (nulla-osta) alla cogenza di due strumenti amministrativi complessi articolati e dettagliati, uno di pianificazione (ex art. 12) e l’altro regolamentare (ex art. 11), per la stesura dei quali l’Ente ha speso tutto il potere discrezionale in suo possesso.

Quindi, possiamo affermare che il tasso discrezionalità del nulla-osta muta in funzione delle caratteristiche dello strumento di tutela, ed è inversamente proporzionale al grado di specificità dello stesso, maggiore sarà il grado di particolarità dello strumento di tutela, minore sarà il grado di discrezionalità valutativa dell’Ente.

Riassumendo:

NULLA OSTA CON MISURE DI SALVAGUARDIA = ALTA DISCREZIONALITÀ

NULLA OSTA CON PIANO E REGOLAMENTO = BASSA DISCREZIONALITÀ

In conclusione, visto che il nulla osta è caratterizzato da elevato tasso di discrezionalità per tutto il periodo in cui rimangono in vigore le misure di salvaguardia ex art. 6 legge 394/1991, il legislatore non può di dotarsi dello strumento di semplificazione procedimentale rappresentato dal silenzio-assenso (cfr. Corte cost. 19 ottobre 1992, n. 393; 27 aprile 1993, n. 194; 2 febbraio 1996, n. 26; 17 dicembre 1997, n. 404; 16 luglio 2014, n. 209).

 

(Articolo di Fulvio Albanese, pubblicato con questo titolo il 2 settembre 2016 su www.lexambiente.it)

 

 

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