Il centro storico di Roma: che fare?

 

Nel post dello scorso novembre avevamo sollevato il problema della densificazione della città e del blocco dello spopolamento del centro, sulla base di una nostra lettura di recenti dati demografici pubblicati da Roma Capitale.

Il post ha avuto una sua eco.

Il tema è stato ripreso dal Corriere della Sera e lo stesso presidente della Camera di Commercio, Tagliavanti, in una recente intervista parlava allarmato del danno che viene alla città e al commercio dallo spopolamento del centro e dal caro affitti per gli esercizi commerciali.

Della questione di Roma e del suo centro storico se ne è tornato a discutere anche in relazione al tema dei famosi “centri direzionali”.

Rizzo, qualche tempo fa, ha realizzato un reportage sul Corriere riguardo all’uso dell’EUR.

La questione è la seguente: il centro di Roma è ingolfato da troppe funzioni direzionali, che sarebbero meglio svolte altrove, in zone con infrastrutture adeguate.

Pullara torna sulla questione, sempre sul Corriere, in risposta all’auspicio dell’assessore alla “Crescita culturale” Bergamo di portare tutti i ministeri all’EUR.

Ma, ricorda Pullara, già Rutelli cercò di riportare in auge l’idea dello Sistema Direzionale Orientale di Pietralata, che era al centro del Piano Regolatore di Roma del 1962, sebbene la cosa non funzionò.

Come si vede, la questione è antica e riparlarne oggi è urgente, posto che non è mai stato affrontato e risolto il problema sottostante: che fare del centro di Roma?

Non si pretende certo di esaurire la questione in poche righe, ma riteniamo che qualche punto fermo nel dibattito andrebbe messo.

Se è giusto togliere funzioni direzionali dal centro – spesso improprie e sicuramente eccessive – va anche deciso che fare degli spazi che si intende liberare.

Se no – come si era ricordato nel nostro post di novembre – la storia è già scritta: è quella di Venezia, nelle mani del turismo mordi e fuggi, che tutti a parole dicono di voler combattere.

Secondo noi i temi da mettere al centro dell’attenzione sono due, e inscindibili.

Primo: la città storica deve tornare ad accogliere residenti – la cosa si può fare, se solo lo si volesse.

Secondo: bisogna riprendere con forza l’idea di Petroselli per cui il centro della città è un luogo di identità per tutti, anche per quelli che non vi abitano e che vivono in periferia.

Petroselli diceva che a Roma dovevano essere ridotte le distanze tra il centro storico e la periferia, intesa sia come luogo fisico che come metafora per riferirsi ai suoi abitanti.

Va detto, certo, che Roma è anche un luogo di identità per i tanti forestieri che la vogliono visitare.

Ed è una precisa responsabilità di chi governa e abita in questa città renderla accessibile a tutti, il che significa non distruggerla e acquisire la capacità di difenderla.

Per mettere in pratica l’idea di Petroselli e per farsi carico di questa responsabilità verso il mondo, bisogna che il centro sia rispettato.

Sia – è quanto auspichiamo – come luogo in cui si abita, che come grande centro culturale.

La cultura diffusa, a cui giustamente sembra far riferimento Bergamo, non può certo significare – proprio in questi giorni in cui piangiamo la morte di Tullio De Mauro – la desertificazione di luoghi che, al contrario, devono brulicare non solo di visitatori avventizi, ma di residenti (del centro) e di abitanti (di Roma tutta).

Non è quindi una visione elitaria quella che si propone, ma il suo contrario.

L’unicità di Roma deve essere messa a disposizione di tutti per quello che è, non come occasione di vendita di hot-dog.

Ma senza una qualche visione strategica di come localizzare le politiche inclusive in una città come Roma, non si riusciranno a rinverdire i fasti dell’Estate Romana di Nicolini, come pare intenda fare l’assessore alla “Crescita culturale” Bergamo.

Anche perché Nicolini era assessore alla cultura di Petroselli…

 

(Articolo di Andrea Declich, pubblicato con questo titolo l’11 gennaio 2017 sul sito online “Centro per la Riforma dello Stato”)

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