Stadio della Roma a Tor di Valle, tutto quello che non torna nel vincolo della soprintendenza

 

Ieri la notizia dell’avvio dell’iter per l’apposizione del vincolo alle tribune dell’ippodromo di Tor di Valle da parte della Soprintendenza ai beni archeologici ha cambiato le prospettive dell’opera, aprendo alla possibilità di vedere da subito il primo dei tanti ricorsi in tribunale che sarà necessario fare perché in Italia funziona così, e facendo partire la contestazione dei tifosi su Twitter con l’hashtag #conoscitordivalle.

Intanto sui giornali si possono notare una serie di schieramenti furbetti e qualche dubbio sulle modalità e sui tempi dell’azione della soprintendenza del MIBACT.

Il Messaggero, che da sempre è contrario allo stadio (chiamato nelle sue pagine in amicizia “ecomostro“), ospita infatti oggi un’intervista a Margherita Eichberg nella quale chiede tante cose alla soprintendente, ma non una che pure sembrava abbastanza importante: visto che l’ente è coinvolto nel processo decisionale dal 2014, perché ha aspettato il febbraio del 2017 e l’appello di Italia Nostra Roma per mettere il vincolo? 

Ma la domanda più interessante dell’intervista firmata da Laura Larcan è, come spesso succede, l’ultima:

Il nuovo decreto di riforma dei Beni culturali ha di fatto soppresso la sua Soprintendenza, per accorparla con la Soprintendenza per l’area centrale di Roma guidata da Francesco Prosperetti. Il vincolo rischia di essere delegittimato?

«Noi lo abbiamo avviato, e lo potremmo concludere sempre noi se la Soprintendenza vivrà arrivando almeno a superare gli 80 giorni previsti perché la società Eurnova possa produrre le sue osservazioni.  

Altrimenti l’iter sarà concluso dalla Soprintendenza di Prosperetti. Sarà comunque concluso perché la procedura è stata ampiamente condivisa con i comitati tecnici di settore»

Infatti qui si scopre che potrebbe essere un altro a concludere l’iter avviato da Eichberg.

Non solo: potrebbe quindi anche concluderlo ritirandolo, se la pensa diversamente da lei.

Non solo.

La nota della A.S. Roma e di Parnasi fatta circolare ieri in serata segnala le molte incongruenze nella procedura:

Nella “Conferenza” di Servizi “decisoria” la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio di Roma, ha espresso rilievi sostanzialmente vertenti su due aspetti principali:

a) la compatibilità con le “visuali” dei fabbricati privati verticali (“le tre torri”);
b) le modalità di esecuzione delle indagini archeologiche, con l’attribuzione dei relativi costi al proponente.

Anche nel parere reso in sede di VIA del 6.2.2017, la menzionata Soprintendenza, pur accennando al “valore” dell’Ippodromo, non ha espresso alcun parere contrario alla sua demolizione.

Ribadendo invece le sue perplessità su temi vari, tra i quali “visuali” e indagini archeologiche preventive.

Tali documenti confermano che la procedura di vincolo culturale dell’Ippodromo, non solo non è mai stata esternata in precedenza ma anzi confligge con le valutazioni e i pareri resi nelle Conferenze di Servizi preliminare e decisoria in merito al progetto, basato sulla demolizione dell’ex Ippodromo e sulla realizzazione al suo posto del Nuovo Stadio.

Quindi è evidente che la soprintendenza sapesse da tre anni della demolizione dell’ippodromo ma non abbia pensato al vincolo fino al febbraio del 2017.

Perché?

E perché la sovrintendenza capitolina invece aveva dato parere favorevole al progetto definitivo, prescrivendo la riproposizione in luogo adiacente delle tribune di Lafuente?

Un vincolo a scoppio ritardato

La Stampa, invece, ospita l’opinione di Andreas Kipar e Dan Meis, due dei progettisti dell’impianto:

«E guarda caso proprio ora hanno fatto richiesta di vincolo, dopo anni che il procedimento era già in corso.  

Che puntualità…».

C’è come una smorfia nella voce di Andreas Kipar mentre cerca di contenere il tono ironico con cui constata la coincidenza dell’annuncio della Soprintendenza sul vincolo che potrebbe far saltare definitivamente i sogni dello stadio della Roma a Tor Di Valle.

Kipar è la mente che ha partorito il cuore verde del progetto che dentro di sé contiene una cittadella fatta di uffici, negozi e parchi: su un’area complessiva di 180 ettari, 63 saranno solo di verde pubblico, con 9 mila alberi nuovi piantati e 11 km di piste ciclabili.

«Dalle prime passeggiate che abbiamo fatto a Tor Di Valle era evidente lo stato di degrado accumulato negli anni – spiega – Ma nessuno ha mai fatto delle osservazioni.  

Ora invece sento usare termini di una volta, come “colata di cemento”, da chi non sa di cosa sta parlando».

L’ippodromo, proprio la struttura che la soprintendenza vorrebbe vincolare, è la prova per Kipar che la zona «non è un luogo vergine dal punto di vista delle costruzioni».

Anzi, «lì sì che è stato utilizzato molto cemento, poi lasciato a se stesso».

Tedesco di nascita, da decenni in Italia, Kipar è architetto del paesaggio, docente al Politecnico di Milano, e fondatore di Land, gruppo d’avanguardia nell’urbanistica green che ha operato già in diverse città tagliate al loro interno dai fiumi, come Torino.

È uno che conosce insomma le pastoie della burocrazia italiana, un labirinto dentro cui invece si è trovato spaesato Dan Meis, l’archistar americana a cui è stato affidato il disegno dello stadio.

«Non posso dire che non me lo aspettassi.  

L’Italia è famosa per le difficoltà nel cercare di costruire grandi opere».

Ma l’osservazione più importante la fa su Facebook Giovanni Caudo, l’assessore della giunta Marino che ha varato il progetto Tor di Valle e la delibera di pubblica utilità e che pubblica oggi il parere unificato delle soprintendenze nella conferenza dei servizi preliminare del 2014.

«La conferenza di servizi preliminare, giusto art. 14-bis della legge 241/1990 e s.m.i., ha lo scopo di individuare” 

… Qualora non emergano, sulla base della documentazione disponibile elementi comunque preclusivi della realizzazione del progetto,…, le condizioni e gli elementi necessari per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, gli atti di consenso», ricorda Caudo. 

Eppure lì la soprintendenza non parlò di vincolo. 

 

Poi conclude:

Non ci fu nessun altro parere negativo o preclusivo per la realizzazione del progetto da parte di nessuno degli altri soggetti o enti convocati e tanto meno delle soprintendenze.

Nessun riferimento alla tribuna dell’ippodromo, alle coperture e alla pista del trotto (cfr copia del parere, allegato)

È evidente che la ragioni addotte per l’avvio della procedura di vincolo se fossero state poste già allora sarebbero state prese in considerazioni, come fu per il parere di Roma Natura, e se necessario avremmo preso le decisioni conseguenti compreso quello di non procedere ulteriormente con l’esame del progetto.

Tutti gli atti fatti dalla Giunta Marino sono stati improntati al pieno rispetto delle regole, non si provi a scaricare ad altri le responsabilità che sono in capo unicamente a chi da otto mesi gestisce un importante dossier, per altro giunto alle fasi conclusive, in modo improvvisato, confuso e dannoso per la città.

Infine c’è da segnalare quanto scrive oggi Antonio Padellaro sul Fatto, dando per scontato (non è così) che alla fine lo stadio non si farà a causa del vincolo.

Padellaro sostiene che la storia dovrebbe insegnarci alcune regolette:

Primo: a Roma è meglio non mettersi mai contro il re dei costruttori (e non solo) Francesco Gaetano Caltagirone, edificatore di immensi quartieri ma soprattutto oggi fervente ambientalista le cui strenue battaglie per la difesa del territorio contro gli invasori amerikani (e il concorrente Parnasi), portate avanti dai suoi giornali, gli meritano il titolo di novello Antonio Cederna.

Secondo: c’è vincolo e vincolo e se, per esempio, il Velodromo dell’Eur, nel 2008 fu fatto saltare in aria in una notte (spargendo nel quartiere polvere di amianto in quantità) chissenefrega.

Terzo: il fatto che la precedente giunta abbia approvato e timbrato un progetto è il peggior viatico per la giunta successiva.

Quarto: se anche Pallotta & C. fossero riusciti a superare l’ostacolo della Soprintendenza, avrebbero poi dovuto affrontare le forche caudine di una miriade di enti preposti alla tutela di questo e di quello.

Senza contare le inevitabili denunce alla magistratura,i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato non escludendo l’Unesco e altri organismi sovranazionali.

E quindi (Quinto): a James stacce che t’è andata bene così.

(Articolo pubblicato con questo titolo oggi 19 febbraio 2017 sul sito “Next quotidiano”)

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