Nuovo Testo unico in materia di foreste. Quali spazi per una gestione condivisa?

 

Gestione attiva e forme di sostituzione sui terreni abbandonati per una nuova funzionalizzazione del patrimonio boschivo

Con la nuova normativa forestale il legislatore ha definito la gestione attiva e le modalità di sostituzione sulle proprietà boschive, pubbliche e private, che versano in condizioni di abbandono.

Si delinea così una rinnovata tutela del patrimonio forestale quale componente del capitale naturale nazionale.

Finalità delle nuove norme in materia forestale

Il d. lgs. n. 34 del 2018, denominato “Testo unico in materia di foreste e filiere forestali”, è un provvedimento importante nella disciplina di settore: attualizza il complesso della legislazione forestale, risalente al r.d. n. 3267 del 1923 (c.d. legge Serpieri) e al d. lgs. n. 227 del 2001, inquadrandolo nella Strategia forestale europea.

A partire dalla definizione del patrimonio forestale come “parte del capitale naturale nazionale” e bene di rilevante interesse pubblico (art. 1, c. 1) le finalità della norma si condensano essenzialmente in una quadruplice direzione: la salvaguardia quantitativa e qualitativa delle foreste, la gestione attiva, la promozione delle economie forestali e montane anche attraverso il recupero di proprietà frammentate e terreni abbandonati, la protezione del patrimonio boschivo mediante azioni di prevenzione nonché di erogazione di servizi ecosistemici derivanti dalla gestione forestale sostenibile (art. 2, c. 1, lett. a, b, c, d).

Il favor per l’associazionismo fondiario

Per inverare tali obiettivi, il T.U. promuove espressamente la gestione associata delle proprietà forestali, pubbliche e private (art. 2, c. 1, lett. c).

In dettaglio, l’art. 10 prescrive che le regioni sostengano “l’associazionismo fondiario tra i proprietari dei terreni pubblici o privati”, nonché “la costituzione e la partecipazione ai consorzi forestali, a cooperative che operano prevalentemente in campo forestale o ad altre forme associative tra i proprietari e i titolari della gestione dei beni terrieri, valorizzando la gestione associata delle piccole proprietà, i demani, le proprietà collettive e gli usi civici delle popolazioni” (c. 5).

L’associazionismo è quindi favorito dal legislatore per attuare una gestione forestale sostenibile, valorizzare le funzioni socioeconomiche del bosco e realizzare il miglioramento dei fondi abbandonati: a tali fini sono coinvolti soggetti sia pubblici, sia privati.

Frammentazione proprietaria e sostituzione della gestione

È un obiettivo risalente, per il legislatore forestale, quello di ricomporre la frammentata proprietà fondiaria che caratterizza storicamente il territorio nazionale.

Il T.U. definisce, in prima istanza, i terreni abbandonati e silenti (art. 3, c. 2, lett. g-h) e le finalità delle forme di sostituzione (art. 12): la valorizzazione funzionale del territorio agro-silvo-pastorale, la salvaguardia dell’assetto idrogeologico, la prevenzione di rischi ambientali e antropici (c. 1); la disciplina, in dettaglio, prescrive alle regioni la promozione del “recupero produttivo” di detti terreni attraverso l’accordo con i proprietari, ovvero – in caso di inerzia degli stessi o dell’impossibilità di raggiungere un accordo – mediante le forme di sostituzione diretta o di affidamento sia ai soggetti consortili e associativi citati, sia ad “altri soggetti pubblici o privati”” (c. 3).

Anche nella sostituzione della gestione si assiste pertanto al coinvolgimento, da parte del legislatore, di soggetti privati.

Il T.U. informa, inoltre, la gestione attiva al principio dello sviluppo sostenibile (art. 3, c. 2, lett. b), quindi definisce le attività della gestione forestale e le pratiche vietate (art. 7, c. 1, 5); dispone, inoltre, che le regioni “conformemente alla normativa vigente in materia di contratti pubblici” normino la “concessione in gestione delle superfici forestali pubbliche” alle imprese operanti principalmente in ambito forestale e iscritte ad appositi albi, nonché “ad altri soggetti pubblici o privati” (art. 10, c. 4).

La gestione dei beni forestali

La gestione attiva delle foreste, finalizzata alla garanzia delle “funzioni ambientali, socio-economiche e culturali” (art. 2, c. 1, lett. b), è disciplinata dall’art. 7.

Il nuovo regime prescrive che le regioni individuino le modalità di sostituzione diretta o di affidamento per l’esecuzione di interventi di ripristino (c. 6) e che promuovano la costituzione di sistemi di pagamento dei servizi ecosistemici (PSE) generati dalle attività di gestione forestale sostenibile e dagli impegni silvo-ambientali (c. 8), ancorandone i criteri di definizione e di individuazione dei beneficiari a quanto disposto dall’art. 70 della legge n. 221 del 2015; quest’ultima disposizione fa riferimento ai “comuni, le loro unioni, le aree protette, le fondazioni di bacino montano integrato e le organizzazioni di gestione collettiva dei beni comuni, comunque denominate” (c. 2, lett. g).

Ciò conferma la volontà della legge di coinvolgere i privati nel buon governo delle foreste ma, allo stesso tempo, che tale gestione è orientata a un’ottica produttiva, pur nel solco del principio dello sviluppo sostenibile.

Non resta che osservarne l’attuazione in sede regionale per valutare gli spazi di una gestione condivisa dei beni forestali.

 

 

ALLEGATI :

 

(Articolo di Arianna Gravina Tonna, pubblicato con questo titolo il 31 marzo 2019 sul sito online “Labsus”)

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