A rischio le colline del Prosecco, il patrimonio dell’umanità si sta erodendo

 

Le colline venete di Conegliano e Valdobbiadene, dove si produce il Prosecco docg, rappresentano un paesaggio vitivinicolo di rara bellezza che è stato incoronato a inizio mese patrimonio dell’umanità dall’Unesco ma che è ad alto rischio erosione: uno studio dell’Università di Padova, pubblicato su Plos One, per la prima volta ha provato a stimare la quantità di erosione di suolo potenziale nell’area, arrivando a mostrare che «con una superficie di circa 210 km² l’area del Prosecco docg potrebbe erodere circa 300.000 tonnellate di suolo ogni anno».

Come spiegano dall’Ateneo, l’erosione del suolo è un fenomeno connaturato all’agricoltura convenzionale e principalmente dovuto a pratiche poco sostenibili come un’aratura intensiva, la compattazione del terreno dovuta all’impiego di macchinari pesanti, lo sfruttamento di versanti collinari fragili e un’applicazione massiccia di erbicidi.

Problemi che riguardano da vicino l’area del Prosecco docg, dove i vigneti negli ultimi 20 anni hanno quasi raddoppiato la loro estensione superando i 7000 ettari nel 2016, e che sono fortemente correlati alla dimensione economica che ha ormai raggiunto questo tipo di produzione: dal 2003 a oggi la produzione di Prosecco docg è aumentata del 129 a discapito di altre colture, superfici prative e boschive.

Oggi il Prosecco vanta ormai un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro, e su 464 milioni di bottiglie che vengono imbottigliate ogni anno 90 milioni vengono prodotte nella pedemontana trevigiana.

«Occorre portare avanti una riflessione sul modello di agricoltura che stiamo proponendo – commenta Massimo De Marchi dall’Università di Padova – Abbiamo un’agricoltura convenzionale che sfrutta metodi intensivi, ma di agroecologia si parla pochissimo.

In Paesi come la Francia si è fatto un piano agroecologico.

L’Europa sta già ragionando su cosa significhi pensare a una produzione che alimenti centinaia di milioni di cittadini europei solo con un modello agroecologico».

Occorre pertanto non soffermarsi sul singolo elemento, come l’erosione o la contaminazione da fitofarmaci, ma affrontare la situazione nel suo insieme: «Una riflessione da fare è quella che vede da una parte la monocultura e dall’altra la diversità.

Un produttore agroecologico all’interno del suo campo coltiva molte varietà e non solo una specie».

Continuando invece con il business as usual, i rischi per il territorio sono molti (e dunque anche per la continuità produttiva del Prosecco).

L’Università di Padova ha analizzato diversi possibili scenari di gestione del suolo, da quelli convenzionali a quelli totalmente green, che prevedono l’impiego di siepi, un completo inerbimento tra un filare e l’altro e la presenza di fasce tampone vegetate attorno ai filari, e i risultati sono molto diversi tra loro.

In uno scenario convenzionale, nelle aree occupate dalle viti, l’erosione di suolo potenziale raggiunge le 43,7 tonnellate per ettaro all’anno, un valore di 31 volte superiore alla soglia tollerata dalle stime di riferimento della Comunità Europea (che si assestano tra le 0,3 e le 1,4 tonnellate per ettaro all’anno).

Con una superficie di circa 210 km², l’area del Prosecco Docg potrebbe erodere circa 300.000 tonnellate di suolo ogni anno.

Per dare un’idea ancora più intuitiva, i ricercatori di Padova hanno anche prodotto una stima dell’impronta ecologica della singola bottiglia di Prosecco Docg: nello scenario convenzionale risulterebbe essere 3.3 kg di suolo annui a bottiglia.

Nello scenario totalmente green invece l’erosione di suolo sarebbe ridotta di circa 3 volte in area collinare, assestandosi a 14,6 tonnellate di suolo eroso per ogni ettaro.

Altrettanto si ridurrebbe l’impronta ecologica di ciascuna bottiglia prodotta: 1,1 kg di suolo a bottiglia.

«Il nostro studio non è mirato a diffondere particolari allarmi – precisa dall’Università Francesco Ferrarese – Vuole essere solo una giusta riflessione su quanto dobbiamo essere attenti a certe pratiche di conduzione del nostro territorio.

Il riconoscimento Unesco di positivo avrà questo, che porrà sotto tutela questo territorio e una certa attenzione diventerà d’obbligo».

Magari a partire dalla realizzazione di studi direttamente sul campo: «A fronte di questi valori e della distribuzione geografica di questa potenziale erosione, sarebbe ora giusto porsi il problema di andare a vedere cosa succede veramente sul terreno – conclude Paolo Mozzi dal dipartimento di Geoscienze – Così potremo capire se le pratiche colturali stanno andando nella giusta direzione, se si può cambiare rotta e in che termini».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 23 luglio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas