Clima che cambia, così l’Atlantico viene aiutato dall’oceano Indiano

 

ROMA – Ci sarebbe una sorta di mutua collaborazione tra oceani nell’era del cambiamento climatico.

Contrariamente a quanto si temeva, non sta infatti rallentando la circolazione delle correnti nell’oceano Atlantico, preziosa per l’equilibrio del clima.

A sorpresa, a tenerla in vita potrebbe contribuire l’oceano Indiano, come spiegano sulla rivista Nature Climate Change i ricercatori delle università della California di San Diego e di Yale.

Il capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Amoc in inglese) è una corrente dell’Oceano Atlantico, che funziona come una scala mobile liquida, portando acqua calda nel Nord dell’Atlantico in superficie e acqua fredda a Sud in profondità.

Stabile per migliaia di anni ha mostrato segni di rallentamento negli ultimi 15 anni, anche se non si sa se è per il riscaldamento globale o un’anomalia a breve termine legata alla naturale variabilità dell’oceano.
L’ultima volta che la corrente si è indebolita è stato 15-17.000 anni fa, con conseguenze su tutto il pianeta“, commenta Alexey Fedorov, uno dei coordinatori dello studio.

Con dati basati sull’osservazione e modelli informatici, i ricercatori hanno calcolato che ci sarebbe una serie di effetti a cascata dall’Indiano fino all’Atlantico.

Se le acque del primo diventano più calde, si muovono sempre più velocemente, generando più piogge.

Il che farebbe uscire fuori più aria da altre parti del mondo, incluso l’Atlantico, verso l’oceano Indiano.

Con così tante piogge sull’Indiano, ve ne sarebbero meno nell’Atlantico, le cui acque diventerebbero più saline, perché meno ‘diluite’.

L’acqua più salata nell’Atlantico, che va verso nord con la corrente Amoc, porterebbe il freddo molto più velocemente del solito.

Potrebbe funzionare come una sorta di avviamento per l’Amoc – rileva Fedorov – ma non sappiamo per quanto continuerà.

Se il riscaldamento delle altre acque tropicali, specialmente del Pacifico, raggiungesse l’Oceano Indiano, il vantaggio per la corrente Amoc si fermerebbe“.

Fra tagli e minori entrate il Sistema Sanitario Nazionale ha perso negli ultimi dieci anni 37 miliardi di euro.

Lo afferma un rapporto della Fondazione Gimbe, secondo cui “servono azioni concrete in tempi rapidi” per salvare il Ssn.

Il finanziamento pubblico – si legge – è stato decurtato di oltre 37 miliardi, di cui circa 25 miliardi nel 2010-2015 per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie ed oltre 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla Sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica.

In termini assoluti il finanziamento pubblico in 10 anni è aumentato di 8,8 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo,tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,07%)“.

I dati Ocse aggiornati al luglio 2019, sottolinea il documento, dimostrano che l’Italia si attesta sotto la media sia per la spesa sanitaria totale(3.428 dollari contro 3.980), sia per quella pubblica (2.545 contro 3.038), precedendo solo i Paesi dell’Europa orientale oltre a Spagna, Portogallo e Grecia.

Nel periodo 2009-2018 l’incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica si è attestato al 10%, rispetto a una media del 37%.

Nell’ultimo decennio – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe – tutti i Governi hanno contribuito a sgretolare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), la maestosa opera pubblica costruita per tutelare la salute delle persone“.

(Articolo pubblicato con  questo titolo il 16 settembre 2019 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

 

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