Acqua, di questo passo per rinnovare l’intera rete idrica italiana occorreranno 250 anni

 

In Italia consumiamo e sprechiamo troppa acqua, che un trend che si sta dimostrando insostenibile di fronte alla crisi climatica in atto: il prelievo di acqua potabile nel nostro Paese tocca i 34,2 miliardi di metri cubi l’anno – il dato più alto nell’Ue – mentre le perdite di rete sono superiori al 42% e gli eventi meteorologici estremi oscillano tra la siccità e le alluvioni.

Di fronte a queste sfide Utilitalia – la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche – traccia l’orizzonte da inseguire: servono investimenti da 7,2 miliardi di euro per fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici.

In vista della Giornata mondiale dell’acqua (che cadrà il 22 marzo) è utile ricordare che l’inizio del 2020 ha segnato un -75% delle precipitazioni rispetto al 2019, con una temperatura superiore di 1,65 gradi rispetto alla media storica e un rischio siccità già diffuso nelle regioni del sud.

«Gli eventi siccitosi e quelli alluvionali – spiega il presidente di Utilitalia, Giovanni Valotti – non possono più essere considerati avvenimenti eccezionali ma eventi dalla ricorrenza ciclica, pertanto devono essere affrontati con interventi e processi strutturali sostenibili nel lungo periodo.

Negli ultimi anni, il 50% delle risorse sono state dirottate verso i servizi di fognatura e depurazione, con l’obiettivo di superare le infrazioni comunitarie; ma per effetto delle modifiche introdotte nella nuova Direttiva europea sulle acque potabili e per l’introduzione della Regolazione della qualità tecnica del servizio idrico integrato, si registrerà un incremento degli interventi sulla rete di distribuzione e per la riduzione delle perdite.

Solo un massiccio piano di investimenti potrà consentire di affrontare i cambiamenti climatici e in particolare i periodi fortemente siccitosi».

Il numero di investimenti infrastrutturali che dovrebbero essere realizzati per contrastare i fenomeni di siccità sono 734, pari a 50 euro per abitante l’anno per un periodo di 4 anni: si tratta di serbatoi, nuovi approvvigionamenti, riutilizzo delle acque reflue, riduzione delle dispersioni e interconnessioni tra acquedotti (tra gli investimenti già pianificati spiccano quelli volti alla riduzione delle dispersioni, da 2,3 miliardi di euro): la realizzazione di tali interventi comporterebbe di per sé una maggiore quantità di acqua disponibile – intesa come acqua recuperata o come acqua supplementare prodotta – stimata in 1,7 miliardi di mc/anno.

Negli ultimi anni gli investimenti realizzati dagli operatori industriali sono saliti fino a 44 euro annui per abitante (con un aumento vicino al 30% negli ultimi 7 anni), ma per raggiungere i migliori standard europei bisognerebbe salire a 80 euro.

Al momento il tasso nazionale di rinnovo della rete si attesta a 3,8 metri per chilometro, il che vuol dire che al livello attuale di investimenti occorrerebbero 250 anni per sostituire l’intera rete, dove il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa.

Un’altra soluzione per compensare periodi siccitosi che dovrebbe diventare strutturale, è il riuso di acque depurate in agricoltura: In Italia – dove si trattano e si riusano ogni anno solo il 2% delle acque reflue – in attesa del recepimento della direttiva UE il quadro normativo del riuso impone ancora restrizioni alla sua diffusione, dal momento che è ancora vigente il DM 185/2003 che impone limiti molto restrittivi per il riuso.

E invece secondo Utilitalia andrebbero applicati all’acqua gli stessi principi dell’economia circolare per ottenere effetti virtuosi.

Come progredire?

Nel settore idrico gli investimenti delle utility, che 10 anni fa si attestavano sui 0,5 miliardi annui, oggi ammontano a 3 miliardi annui e potrebbero salire a circa 30 miliardi nei prossimi 5 anni (cifra che comprende in parte anche i 7,2 miliardi necessari a fronteggiare la siccità).

Ecco dunque che per la Federazione è necessario ragionare su una riorganizzazione del settore idrico che parta dalla consapevolezza dell’importante sviluppo del servizio per i cittadini registrato in alcune aree del Paese grazie alla presenza di operatori industriali qualificati.

«L’acqua – conclude Valotti – può diventare un elemento trainante del Green new deal: dare concretezza al ‘patto verde’ è tra le nostre priorità e ciò sarà possibile con un’azione congiunta con il Governo, cui non si chiedono fondi ma semplificazione normativa e azioni per supportare gestioni più efficienti dei servizi.

Gran parte di quei 30 miliardi già figura nei piani industriali delle nostre aziende e sarebbe paradossale che si bloccassero a causa di ostacoli burocratici che paralizzano l’intero comparto infrastrutturale.

Bisogna favorire misure per snellire le procedure autorizzative, riconfigurare lo schema della gestione diretta dei comuni e i ritardi nello sviluppo di un approccio industriale ai servizi pubblici locali.

Vanno inoltre evitate misure che creino inutile incertezza per quegli operatori che già investono e che attraggano nuovi finanziatori che credono nello sviluppo sostenibile, innescando un circolo virtuoso per la crescita del Paese e il superamento delle differenze territoriali».

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 20 marzo 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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