La rivincita del jackfruit: boom del frutto che sa di carne

 

Qualche giorno fa, nel villaggio indiano di Edamulackal in Kerala, un uomo che stava sistemando il suo giardino si è imbattuto in un jackfruit gigantesco, del peso di oltre 50 chilogrammi.

Un singolo frutto da record, ma che vale oro visto il nuovo boom della giaca nel mondo.

Complice la pandemia da Covid-19, che in India e altri Paesi ha abbassato la richiesta di carne come quella di pollo, il frutto che “sa di maiale” si candida negli ultimi tempi a diventare il nuovo avocado, il nuovo cibo esotico capace di conquistare le tavole di tutto il mondo.

Quella del jackfruit, frutto di per sé gigantesco che in media pesa oltre cinque chili, per certi versi è quasi una rivincita.

Conosciuto da noi come “giaca”, un tempo era visto semplicemente come una seccatura, dato che cresceva in abbondanza e poi marciva nei cortili indiani, mentre adesso si candida a cibo richiesto perfino nei ristoranti stellati.

Le caratteristiche di questo frutto dall’odore pungente, forte e dolce, che cresce soprattutto in India e in Asia, sembrano ottimali nella resistenza al riscaldamento globale: cresce infatti anche in condizioni di siccità e richiede pochi sforzi per essere coltivato.

Così il successo del jackfruit supera i confini dell’India, più grande produttore al mondo, conquistando l’attenzione degli chef da Londra a San Francisco.

Abbiamo molte richieste dall’estero e l’interesse per il jackfruit è cresciuto in maniera considerevole” ha raccontato al’Afp il coltivatore Varghese Tharakkan del Kerala.

Il merito è soprattutto dell’utilizzo multiplo del frutto: la polpa gialla, matura, può essere usata per qualunque cosa, dai succhi di frutta ai gelati, persino le patatine.

Oppure si possono ottenere delle farine.

Quando non è maturo invece viene tritato, saltato, e consumato come alternativa al maiale, dato che secondo molti ha un gusto che ricorda la porchetta.

In America, sfruttando queste potenzialità, che si abbinano a una dieta vegana, sono nate perfino le cotolette di jackfruit, i tacos o la “bistecca”.

L’imprenditore James Joseph, che ha lasciato la Microsoft per dedicarsi al business della giaca come “alternativa vegana alla carne“, ha raccontato all’agenzia francese il contributo involontario della pandemia nella diffusione commerciale del jackfruit.

Il coronavirus ha causato per esempio paura per il pollo o una dieta a base di animali e le persone sono passate alla tenera giaca.

Nel Kerala, il blocco ha causato un aumento della domanda di giaca e semi verdi maturi dovuto alla carenza di altre verdure per le restrizioni alle frontiere“, ha spiegato.

Nel successo del jackfruit non ci sono però soltanto i timori per il pollo o le nuove attenzioni per una dieta che, come indica l’Oms, dovrebbe contenere più frutta e verdura e meno carne.

Ad attrarre sono infatti anche le proprietà del frutto, come un ottima capacità nutrizionale (anche per chi soffre di diabete) e la possibilità di coltivarla anche in condizioni estreme, con ogni albero che può produrre fino a 150-250 frutti a stagione.

Se il boom è partito dai frutteti del Kerala, ora la giaca si sta diffondendo a grande richiesta anche in Thailandia e Bangladesh.

Secondo stime degli economisti del Gandhigram Rural Institute, solo nel Tamil Nadu e nel Kerala la domanda di jackfruit è ora di 100 tonnellate ogni giorno in alta stagione, con un fatturato di 19,8 milioni di dollari l’anno.

Cifre davvero notevoli se si pensa che questo frutto, fino a pochi anni fa, spesso e volentieri era visto quasi come un fastidio: nei giardini privati indiani si potevano leggere cartelli che invitavano le persone a prendersi i frutti gratuitamente, così abbondanti da finire per marcire attirando insetti.

(Articolo di Giacomo Talignani, pubblicato con questo titolo il 23 maggio 2020 sul sito online del  quotidiano “la Repubblica”)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas