Cinque cose da sapere sulle mascherine usa e getta e sull’inquinamento marino da plastica

 

La pandemia di Covid-19, con la produzione di miliardi di mascherine monouso, guanti e altri dispositivi di protezione, bottiglie di disinfettante per le mani e imballaggi per alimenti, ha dato un duro colpo alla lotta contro l’inquinamento da plastica, stima che quest’anno le vendite globali di mascherine monouso ammonteranno a circa 166 miliardi di dollari. rispetto a circa 800 milioni di dollari nel 2019.

Giornali e social-media traboccano di video e foto di subacquei che raccolgono maschere e guanti che sporcano le acque in luoghi turistici come la Costa Azzurra e che rappresentano un campanello d’allarme che ci consiglia di ripensare all’inquinamento da plastica e ricorda ai politici, leader e individui che le politiche plastic-free che erano tanto di moda nel 2019 devono essere rivitalizzate per affrontare il problema dell’inquinamento da plastica che è diventato ancora più urgente.

L’Onu pubblica 5 cose da sapere assolutamente sul nuovo inquinamento da plastica dovuto al Covid-19:

Inquinamento dovuto a un forte aumento delle vendite di mascherine. 

La promozione dell’utilizzo delle maschere come mezzo per rallentare la diffusione del Covid-19 ha portato a uno straordinario aumento della produzione di mascherine usa e getta: l’ l’United Nations conference on trade and development (Unctad) Unctad  stima che quest’anno le vendite globali raggiungeranno un totale di circa 166 miliardi di dollari quest’anno, rispetto a circa 800 milioni di dollari nel 2019.

Un problema tossico. 

Secondo le stime, circa il 75% delle mascherine utilizzate, insieme ad altri rifiuti legati alla pandemia, potrebbe finire nelle discariche o galleggiare nei mari. 

Oltre al danno ambientale, il costo finanziario, in ambiti come il turismo e la pesca, è stimato dall’United Nations environment programme (Unep) in circa 40 miliardi di dollari.

L’Unep ha avvertito che se l’impennata dei rifiuti sanitari, in gran parte costituita da materie plastiche monouso dannose per l’ambiente, non viene gestita in modo corretto, si potrebbero verificare discariche incontrollate. 

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, le potenziali conseguenze includono i rischi per la salute pubblica delle maschere usate infette e la combustione all’aperto o l’incenerimento incontrollato delle mascherine, portando al rilascio di tossine nell’ambiente e alla trasmissione di malattie all’uomo.

A causa dei timori di questi potenziali effetti collaterali sulla salute e sull’ambiente, l’Unep  esorta i governi a trattare la gestione dei rifiuti, compresi i rifiuti medici e pericolosi, come un servizio pubblico essenziale. 

L’agenzia delle Nazioni Unite sostiene che la manipolazione sicura e lo smaltimento finale di questi rifiuti sono una parte essenziale di un’efficace risposta alle emergenze.

Pamela Coke-Hamilton, direttrice commercio internazionale dell’Unctad ricorda che «l’inquinamento da plastica era già una delle maggiori minacce per il nostro pianeta prima dell’epidemia di coronavirus.

L’aumento dell’uso quotidiano di determinati prodotti per garantire la sicurezza delle persone e per fermare la malattia, peggiora le cose».

Le soluzioni esistenti potrebbero ridurre la plastica dell’80%. 

Tuttavia, questo stato di cose può essere migliorato, come dimostrato nel recente studio “Breaking the Plastic Wave Thought Partners: A Comprehensive Assessment of Pathways Towards Stopping Ocean Plastic Pollution”, pubblicato da The Pew Charitable Trusts e dal think tank della sostenibilità SYSTEMIQ e approvato dall’Unep,  che avvisa che se non viene intrapresa nessuna azione, la quantità di plastica scaricata nell’oceano triplicherà entro il 2040, passando da 11 a 29 milioni di tonnellate all’anno.

Ma dice anche che, durante lo stesso periodo, potrebbe essere eliminato circa l’80% dell’inquinamento da plastica,  semplicemente sostituendo una regolamentazione inadeguata, modificando i modelli di business e introducendo incentivi che riducono la produzione di plastica. 

Altre azioni consigliate includono la progettazione di prodotti e imballaggi più facilmente riciclabili e l’espansione della raccolta dei rifiuti, in particolare nei Paesi a basso reddito.

La cooperazione globale è essenziale. 

Nella sua analisi su plastica, sostenibilità e sviluppo, l’Unctad ha concluso che «anche le politiche commerciali globali hanno un ruolo importante nella riduzione dell’inquinamento».

Negli ultimi dieci anni, molti Paesi hanno introdotto regolamenti che menzionano la plastica, un indicatore della crescente preoccupazione per la questione. 

Ma, secondo l’analisi dell’Unctad, «affinché le politiche commerciali siano veramente efficaci, sono necessarie regole globali coordinate».

E la Coke-Hamilton sottolinea che «il modo in cui i Paesi utilizzano la politica commerciale per combattere l’inquinamento da plastica, generalmente non è stato coordinato, il che limita l’efficacia dei loro sforzi.

Ci sono limiti a ciò che ogni Paese può raggiungere da solo».

Promuovere il pianeta e le alternative favorevoli all’occupazione. 

Mentre l’attuazione di queste misure ridurrebbe in modo significativo l’inquinamento da plastica entro il 2040, il rapporto Pew/Systemiq riconosce che anche nel migliore degli scenari, ogni anno 5 milioni di tonnellate di materie plastiche continuerebbero a essere scaricate nell’oceano.

Per affrontare in modo completo il problema,  sarebbe necessario un fortissimo aumento dell’innovazione e degli investimenti, il che porterebbe a progressi tecnologici, concludono gli autori del rapporto.

Inoltre, l’Unctad esorta i governi a «promuovere alternative atossiche, biodegradabili o facilmente riciclabili, quali fibre naturali, lolla di riso e gomma naturale. 

Questi prodotti non solo sarebbero più rispettosi dell’ambiente, ma creerebbero anche nuovi posti di lavoro nei Paesi in via di sviluppo che sono i principali fornitori di molti sostituti della plastica. 

Il Bangladesh, ad esempio, è il maggiore fornitore mondiale ed esportatore di iuta, mentre la Thailandia e la Costa d’Avorio rappresentano insieme la maggior parte delle esportazioni di gomma naturale».

Tom Dillon, vicepresidente per l’ambiente del Pew Charitable Trusts, conclude: «Non esiste una soluzione unica per l’inquinamento della plastica oceanica, ma con un’azione rapida e concertata possiamo rompere l’onda di plastica.

Possiamo investire in un futuro caratterizzato da riduzione degli sprechi, migliori risultati sanitari, maggiore creazione di posti di lavoro e un ambiente più pulito, più resiliente per le persone e la natura».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 30 luglio 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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