Le spiagge italiane: sempre meno libere, troppe non balneabili e a rischio erosione

 

Il Rapporto Spiagge 2020 di Legambiente, che come ogni anno, insieme a Goletta Verde fotografa la situazione e i cambiamenti in corso nelle aree costiere italiane, evidenzia che «nell’estate del Covid, si confermano alcune tendenze ma troviamo anche sorprese lungo le coste italiane.

La prima è che trovare un posto libero dove prendere il sole liberamente e gratuitamente è sempre più difficile.

Aumentano, infatti, le concessioni balneari, che a oggi interessano oltre il 50% delle spiagge italiane, inoltre l’8% di costa non è balneabile perché il mare è inquinato».

Per realizzare il rapporto, Legambiente ha messo assieme i dati del ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di Regioni e Comuni, e analizzato foto aeree  è ne è venuta fuori la classifica dei primi 10  Comuni costieri con la maggiore occupazione di spiagge in concessione: Alassio (SV), Jesolo (VE), Forte dei Marmi (LU), Rimini, Lido di Ostia (Roma), San Benedetto del Tronto (AP), Alba Adriatica (TE), Pozzuoli (NA), Giardini Naxos (ME) e Mondello (Palermo).

Il Cigno Verde evidenzia che «lungo lo Stivale si registra una situazione composita, ma nel complesso decisamente allarmante per chilometri sottratti alla libera fruizione.

E laddove non si osserva un incremento delle concessioni, il motivo è da ricercare nella mancanza di spiagge libere, come in Versilia o in Romagna, dove meno del 10% dei litorali è spiaggia libera, un risultato che è però spesso la somma di corridoi tra gli stabilimenti e di zone in cui è vietata la balneazione.

Il record a Forte dei Marmi, dove lungo 4,7 km di linea costiera si contano 125 stabilimenti, per un’occupazione del 93,7% della costa.

Mentre in Liguria ed Emilia-Romagna quasi il 70% è occupato da stabilimenti balneari, in Campania il 67,7%, nelle Marche il 61,8%.

Preoccupa la situazione in Sicilia, dove la percentuale di spiagge in concessione è più bassa che in altre regioni, ma nel 2019 sono state presentate oltre 600 richieste di nuovi stabilimenti.

A confermare la necessità di controlli sono alcune situazioni di illegalità come a Ostia o Pozzuoli, dove muri e barriere impediscono vista e accesso al mare».

E, come emerge dai dati 2020 del portale Acque del Ministero della salute, elaborati da Legambiente, non sempre è facile fare un bagno in tratti di costa puliti: «Il 7,8% dei tratti sabbiosi in Italia – tra chilometri di costa interdetti alla balneazione e abbandonati, ossia aree in cui ricade la foce di un fiume, di un torrente o di uno scarico e che non vengono campionate –  è sottratto alla balneazione per ragioni di inquinamento, in special modo in Sicilia, Calabria e Campania che in totale contano circa 73,5 km sui 90 interdetti a livello nazionale; mentre sono complessivamente 169,04 i chilometri di costa “abbandonati” in tutta Italia.

Il risultato è che la spiaggia libera e balneabile nel nostro Paese si riduce mediamente al 40%, ma con grandi differenze tra le Regioni».

Legambiente sottolinea che «mentre l’attenzione si concentra su ombrelloni e stabilimenti, a dover preoccupare è la scomparsa delle spiagge per l’aggressione dell’erosione costiera.

Dal 1970 i tratti di litorale soggetti a erosione sono triplicati e oggi ne soffre il 46% delle coste sabbiose, con tendenze molto diverse tra le regioni e picchi del 60% e oltre in Abruzzo, Sicilia e Calabria.

In media è come se avessimo perso 23 metri di profondità di spiaggia per tutti i 1.750 km di litorale in erosione. 

Se i dati sono inequivocabili a preoccupare è quanto potrà avvenire in uno scenario di cambiamenti climatici e innalzamento del livello del mare come quello in atto, con 40 ambiti costieri a rischio di inondazione secondo gli scenari elaborati da Enea».

Intanto aumentano i danni economici e nei prossimi anni rischiano di essere davvero rilevanti.

Ne sanno qualcosa a Milano Marittima, dove nell’estate 2019 una tromba d’aria ha provocato al solo patrimonio pubblico  danni stimati in 2 milioni di euro.

L’Unione europea dice che l’impatto sulle coste Ue di questi fenomeni ha provocato danni pari a 7 miliardi di euro all’anno, ma che  diventeranno  20 miliardi di euro all’anno nei prossimi anni, con una popolazione colpita pari a 10 milioni di europei.

Ci sono anche notizie positive e vengono dalla crescita di stabilimenti che puntano su un’offerta green e di qualità.

Tantissimi, e molti nuovi, quelli raccontati nel rapporto che hanno scelto di diventare “plastic free”, di investire sul solare, salvaguardare le dune, valorizzare prodotti a km zero, prevedere spazi ad hoc per chi si muove in bici o con mezzi di mobilità elettrica, utilizzare legno e altri materiali naturali e leggeri per le strutture, consentendo la vista del mare senza barriere e la convivenza tra parti libere e in concessione.

Il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini, ricorda che «le spiagge rappresentano una straordinaria risorsa del nostro Paese, sia in chiave ambientale che turistica, ma anche spazi vissuti da milioni di persone per diversi mesi all’anno.

Eppure se ne parla solo per le polemiche, in primis la Bolkestein, senza che vi sia un dibattito all’altezza di queste sfide. 

Per farlo, serve alzare il livello del confronto ed entrare nel merito delle questioni coinvolgendo tutti gli attori in campo, nessuno escluso. 

La sfida che vogliamo lanciare ai Comuni costieri, ai balneari, al Governo è di aprire un confronto sul futuro delle spiagge italiane: se entriamo infatti nel merito delle questioni diventa possibile trovare soluzioni di qualità, interesse generale e innovative. 

È un obiettivo condiviso che vi siano maggiori e più efficaci controlli rispetto alle trasformazioni in corso lungo le coste italiane, per trovare regole capaci di migliorare e diversificare l’offerta, di affrontare questioni ambientali, come l’erosione, che si aggraveranno in una prospettiva di cambiamenti climatici».

Sono queste, secondo Legambiente, le sfide delle quali dovremmo occuparci e «invece l’unico tema di discussione e intervento normativo sulle spiagge negli ultimi 14 anni ha riguardato la proroga senza gara delle concessioni balneari: ultima, in ordine di tempo, quella approvata nella Legge di Bilancio 2019 e nel recente Decreto Rilancio che le estende fino al 2033, nonostante già nel 2009 l’Ue abbia avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia chiedendo la loro messa a gara, visto che la Direttiva Bolkestein del 2006 prevede la possibilità anche per operatori di altri Paesi Ue di partecipare ai bandi pubblici per l’assegnazione.

Del resto che siano una risorsa limitata, e quindi da gestire con trasparenza e attenzione, lo confermano i numeri sempre più limitati di spiagge rimaste libere.

Eppure sono proprio le storie positive e negative, come i numeri evidenziati nel rapporto, a dover spingere la politica all’approvazione di una Legge di riordino delle coste che affronti non solo il tema concessioni, ma che dia una prospettiva per valorizzare il patrimonio ambientale e per affrontare i problemi di inquinamento dei mari e erosione costiera».

Il nervo scoperto restano i canoni pagati per le concessioni.

«Perché di sicuro sono troppo bassi – dicono gli ambientalisti – , con entrate per lo Stato di 103 milioni di euro secondo gli ultimi dati del 2016 a fronte di un giro d’affari miliardario.

Ma anche qui bisogna distinguere, perché tra i 10.812 stabilimenti balneari in Italia troviamo realtà di enorme successo ma anche concessioni fuori dai circuiti turistici principali, dove per poche settimane all’anno si riempiono gli ombrelloni in realtà degradate da inquinamento e abusivismo edilizio. 

È evidente che ci sono situazioni scandalose – come i noti Papeete beach di Milano Marittima, di proprietà dell’europarlamentare Massimo Casanova, che paga 10 mila euro di canone annuo a fronte di un fatturato di 700 mila euro o il Twiga di Marina di Pietrasanta (LU), di Flavio Briatore che ha un fatturato annuo da 4 milioni di euro ma paga un canone di 16 mila – ma nella revisione dei canoni bisognerà tenere conto di queste differenze. 

Nell’estate del Covid aumentano invece, in maniera più o meno significativa, i costi medi per una giornata in spiaggia per le famiglie italiane, già messe a dura prova dalla situazione economica attuale, come evidenziano gli studi Ircaf e Altroconsumo presi in considerazione da Legambiente».

L’associazione ambientalista fa notare che «un tema politico evidente riguarda la quantità di spiagge date in concessione, siamo l’unica nazione europea infatti a non porre alcun limite lasciando questa scelta alle Regioni, e sono finora poche ad averlo applicato».

Tra le regioni più virtuose ci sono  Puglia, Sardegna e Lazio, dove la quota minima di spiagge da garantire alla libera fruizione (o libera fruizione attrezzata) è regolamentata e fissata tra il 60-50%. Invece, Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto continuano a essere prive di norme che specifichino una percentuale minima da destinare alle spiagge libere: Legambiente evidenzia che «il problema, tuttavia, riguarda nei fatti il rispetto dei limiti di legge da parte dei singoli Comuni, anche nelle Regioni che si sono dotate di norme».

Ma sta crescendo l’attenzione dei cittadini – con gruppi che si organizzano per difendere tratti di costa minacciati – tanto che è stato fondato un Coordinamento nazionale Mare Libero e quest’estate sono stati organizzati blitz contro la privatizzazione delle spiagge a Massa, Napoli e Mondello e da Fiumicino alla Calabria, da Lecce ad Agrigento, c’è stata la riconquista di diverse spiagge libere, con l’abbattimento di stabilimenti con concessioni scadute o in stato d’abbandono.

Ecco le priorità di Legambiente per una Legge di riordino delle spiagge:

Garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge, fissando limiti alla percentuale data in concessione e una quota prevalente di spiagge libera per ogni Comune, ma anche spingendo verso forme di concessione più leggere;

premiare la qualità dell’offerta nelle spiagge in concessione, coloro cioè che puntano su una logica ambientale sempre più integrata con il territorio e su imprese locali e familiari capaci di garantire l’occupazione;

canoni adeguati con risorse da utilizzare per riqualificare il patrimonio naturale, con una parte degli stessi che rimanga ai Comuni, così come chiesto anche dai balneari;

una strategia nazionale per erosione, inquinamento e adattamento al clima, che riguardi tutti gli 8 mila chilometri di coste italiane, la metà dei quali soggetti a erosione, e la garanzia del diritto a un mare pulito, restituendo alla balneazione acque soggette a cattiva depurazione o non più campionate.

Sebastiano Venneri, responsabile turismo di Legambiente, conclude: «Il rapporto racconta straordinarie storie d’innovazione e problemi aperti di cui dobbiamo occuparci: una convivenza che pesa come un macigno sul futuro di tanti territori e sulla capacità di trasformare le conseguenze dei cambiamenti climatici in una sfida di riqualificazione.

Non possiamo più permettercelo, perché ogni anno scompaiono chilometri di spiagge per l’erosione costiera e perché insieme al sistema di porti, città e borghi marinari, aree protette, rappresenta una risorsa chiave per il rilancio del Paese, che potrebbe rafforzarsi grazie anche a un’offerta più qualificata e diversificata per aree e stagionalità.

L’errore da non commettere è continuare ad affrontare separatamente questioni che necessitano di politiche integrate e di programmazione degli interventi di recupero, di un turismo sostenibile e accessibile, di regole trasparenti e dell’isolamento per chi non le rispetta».

(Articolo pubblicato con questo titolo il 4 agosto 2020 sul sito online “greenreport.it”)

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