La pelliccia, un capo anacronistico caduto in disgrazia in tutto il mondo

 

Il visone è un piccolo carnivoro appartenente ai mustelidi, ampia famiglia che ospita anche il tasso e la lontra, mentre i suoi parenti più stretti sono la martora e la puzzola. In natura i visoni vivono in boschi e foreste, generalmente vicino ai corsi d’acqua, perché sono anche degli abili nuotatori: quindi dopo aver scalato una parete rocciosa, sono capaci di immergersi fino a 7 m di profondità e stare in apnea per più di mezz’ora.

Tutto questo, e l’indole selvatica e solitaria, rende il loro allevamento in cattività doppiamente crudele.

IN EUROPA CI SONO CIRCA 6 MILA allevamenti di visoni. Il più grande, forse anche del mondo, si trova in Polonia.

Nell’impianto di Góreczki sono rinchiusi circa mezzo milione di animali le cui condizioni sono state documentate recentemente da un attivista dell’organizzazione Anima International, che a giugno 2020 è riuscito a farsi assumere dalla struttura e vi ha lavorato per due mesi.

Quanto provato da foto e video è scioccante: gli animali, costretti a vivere in piccole gabbie affollate e senza luce, mostrano comportamenti stereotipati, aggressivi verso l’uomo e gli altri animali fino al cannibalismo.

Spesso riportano ferite aperte o sono visibilmente ammalati, senza che vengano curati: il cosiddetto ospedale è solo un luogo dove sono abbandonati in attesa di morire per mancanza di intervento o nelle camere a gas.

LA POLONIA E’ IL TERZO PRODUTTORE al mondo di pellicce, con più di 5 milioni di animali uccisi all’anno, ma si sta avvicinando a una decisione storica: quella di chiudere tutti gli allevamenti. Il 18 settembre 2020 la Camera del Parlamento polacco, ha votato sì con una maggioranza schiacciante a un disegno di legge per introdurre il divieto di animali da pelliccia e altre norme per la tutela degli animali.

Il voto segue proprio la diffusione dell’indagine di Anima International, ed è coerente con una diminuzione della domanda che ha portato alla chiusura di 200 strutture in 4 anni.

La decisione della Polonia sarebbe in linea con quella che già molti paesi Europei hanno preso.

Come rileva la coalizione internazionale Fur free alliance, i primi paesi a bandire gli allevamenti di animali da pelliccia sono stati il Regno Unito, nel 2000, e l’Austria, nel 2005. Nel 2012 l’Olanda ha annunciato l’inizio del progressivo abbandono di queste attività, da completare entro il 2024, termine che a causa della diffusione del Coronavirus negli allevamenti è stato anticipato al 2021.

FRA LA DECISIONI PIU’ RECENTI QUELLE della Francia, che ha annunciato il divieto totale da rendere effettivo nel giro di 5 anni, della Slovacchia (2019), della Norvegia, del Belgio, del Lussenburgo (2018).

Al momento tra divieti e leggi cosi restrittive da rendere impossibile l’allevamento, come in Germania e Svizzera, sono 16 i paesi europei in cui di fatto non è più possibile portare avanti questa attività. Oltre alla Polonia, altri 5 paesi (Estonia, Bulgaria, Montenegro, Lituania, Ucraina) stanno prendendo in considerazione il divieto di allevamento di animali da pelliccia.

Fuori dall’Europa solamente il Giappone ha imposto il divieto di allevamento, mentre Nuova Zelanda e India hanno proibito l’importazione.

IN ITALIA PROBLEMATICHE SIMILI a quelle documentate negli allevamenti polacchi sono state rilevate dagli attivisti dell’associazione Essere Animali, che infiltrandosi in alcune strutture a partire dal 2013, hanno realizzato tre indagini: le immagini ricavate mostrano batterie di gabbie minuscole dove vivono migliaia di animali, e la presenza di esemplari con ferite aperte, o morti.

Un supplizio che dura circa 8 mesi, ma per gli esemplari destinati alla riproduzione, può durare anni. Da anni la onlus porta avanti la campagna Visoni liberi (https://www.essereanimali.org/visoniliberi/) per fare pressione sul Parlamento e sul Governo affinché si metta fine a una crudeltà che non ha nemmeno ragioni economiche di esistere.

IL MERCATO MONDIALE DELLA PELLICCIA infatti è in forte contrazione.

L’Europa contribuisce al 63% della produzione mondiale di pellicce di visone e al 70 % di quelle di volpe.

Il paese europeo con la produzione maggiore, in particolare di visoni, è la Danimarca che da sola contribuisce al 28%.

Altri grandi produttori sono la Cina, l’Olanda, gli Stati Uniti, la Russia, il Canada.

La Cina è anche il più grande importatore di pellicce, ed il più grande esportatore del prodotto lavorato; di fatti si svolge nel grande paese del sol levante la più grande fiera mondiale della pelliccia, la Pechino Fur Fair.

Già nel 2019 gli organizzatori lamentavano come le vendite al dettaglio di pellicce nel nord-est della Cina fossero diminuite di circa il 50% in inverno, che molti produttori avevano chiuso i battenti o sospeso o cambiato la loro attività.

UN ALTRO SEGNALE DI CRISI E’ FORNITO dalle aste: la stragrande maggioranza delle pellicce di animali da allevamento, anche quelle italiane, finisce nelle grandi aste internazionali, dove vengono acquistate soprattutto da russi e cinesi, perché nella maggior parte dei paesi Europei è vietata anche l’importazione.

Nel 2019, la Nafa (North American Fur Auctions), la più grande casa d’aste del Nord America e la seconda più grande al mondo, attiva dal 1670, ha chiuso per bancarotta.

Attualmente le due aste più importanti al mondo sono la Saga Fur, in Finlandia, e la Copenhaghen Fur, in Danimarca.

L’edizione 2020 della Saga Fur è andata molto male, riuscendo a vendere, nonostante il crollo dei prezzi nel settore, solo il 44% delle pellicce di visone, addirittura solo il 14% di quelle di volpi e il 9% di quelle di procione: per questi ultimi due animali in Europa vige oramai il divieto di allevamento e di importazione.

L’andamento del mercato riflette un cambio di mentalità frutto anche delle tante campagne delle associazioni animaliste: la maggioranza degli europei sono favorevoli all’abolizione degli allevamenti e anche il mondo della moda si è adeguato: nomi importanti hanno deciso di bandire le pellicce dalle loro collezioni, in quanto crudeli, anacronistici e facilmente sostituibili.

(Articolo di Serena Tarabini, pubblicato con questo titolo il 5 novembre 2020 su “L’Extraterrestre” allegato al quotidiano “il manifesto”)

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