(ANSA del 21 agosto, ore 19:24) di Laura Giannoni – Nel mondo esiste un ‘superpredatore’ che dà la caccia un ampio ventaglio di specie animali, causa estinzioni di fauna selvatica, stravolge ecosistemi e catene alimentari, mettendo a dura prova gli equilibri del Pianeta.
A scoprirlo sono stati ricercatori canadesi, ma il suo aspetto è sotto gli occhi di tutti: basta guardarsi allo specchio.
L’uomo, uno dei tanti predatori esistenti, ha comportamenti che lo differenziano da tutti gli altri predatori, e più di tutti gli altri agisce in un modo non sostenibile per la Terra.
In un articolo pubblicato sulla rivista Science, dal titolo ‘L’ecologia unica dei predatori umani’, gli esperti dell’università di Victoria hanno messo a confronto la predazione umana con quella non umana, analizzando 2.125 specie di predatori terrestri e marini.
Risultato: l’uomo uccide più degli altri animali prendendo di mira gli esemplari adulti.
In questo modo mette a rischio il “capitale riproduttivo”, va cioè a modificare il potenziale di procreazione delle altre specie.
Stando all’indagine, gli esseri umani fanno razzia di pesci adulti a un tasso superiore di 14 volte rispetto ai predatori marini.
Inoltre cacciano e uccidono grandi carnivori, come orsi e leoni, 9 volte di più rispetto a quanto avviene in natura, dove gli animali si uccidono a vicenda.
“La nostra tecnologia di uccisione tecnicamente perfetta, i sistemi economici globali e una gestione delle risorse che dà priorità ai benefici a breve termine hanno dato vita al superpredatore“, spiega Chris Darimont, autore della ricerca.
“I nostri impatti sono estremi, così come il nostro comportamento, e la Terra ha l’onere del nostro predominio predatorio“.
Questo onere si sostanzia in un’alterazione degli ecosistemi, visibile ad esempio nella riduzione delle dimensioni dei pesci e nell’estinzione di diverse specie, nel cambiamento del potenziale riproduttivo e nella trasformazione delle interazioni ecologiche delle catene alimentari globali.
Sono “risultati estremi che i predatori non umani raramente impongono“, osserva Darimont.
Per questo è urgente riconsiderare il concetto di “sfruttamento sostenibile” nella gestione della pesca e della fauna selvatica.
Un modello realmente sostenibile, conclude, passa da cambiamenti culturali, economici e istituzionali che pongano un limite all’uomo.
Un modello, in sostanza, più simile al comportamento dei predatori non umani.