Economia circolare, per l’Italia 541mila posti di lavoro in cerca di politica industriale

 

Per l'economia circolare

La flebile ripresa economica che sperimenta oggi l’Italia si dimostra effimera ogni giorno di più, come conferma l’Istat nella sua ultima nota d’aggiornamento sull’andamento economico del Paese:  «L’evoluzione del clima di fiducia rimane incerta – evidenzia l’Istituto nazionale di statistica – e l’indicatore composito anticipatore dell’economia italiana segnala rischi di un rallentamento dell’attività economica nel breve periodo».

Nonostante l’ostinazione messa in campo negli ultimi 8 anni, appare evidente che non riusciremo ad uscire dalle secche della crisi perseguendo e precarizzando lo stesso modello economico che verso la crisi ci ha condotto: secondo le ultime stime, il Jobs act in tandem con gli incentivi alle assunzioni hanno prodotto in 1 anno appena 40mila posti di lavoro stabili, al costo di 6 miliardi di euro (150mila euro a occupato).

L’alternativa più solida da percorrere rimane quella dello sviluppo sostenibile, che nella sua accezione di economia circolare è oggetto di crescenti attenzioni.

I vantaggi  appaiono oggi chiaramente delineati.

L’economia circolare – come è stato sottolineato ieri durante un convegno sul tema organizzato a Roma dall’Enea, l’Agenzia nazionale per l’energia, le nuove tecnologie e lo sviluppo economico sostenibile – può generare importanti benefici per l’ambiente e il sistema produttivo, con particolare riferimento al settore manifatturiero dove si possono ottenere consistenti riduzioni dei costi di produzione tenuto conto che le materie prime incidono fino al 60% del prezzo finale dei prodotti.

In particolare, la Commissione europea stima che l’eco-progettazione, la riduzione della produzione di rifiuti e il loro riutilizzo, possono generare risparmi pari a 600 miliardi di euro per le imprese (l’8% del fatturato annuo) e ridurre le emissioni di gas serra di 450 milioni di tonnellate l’anno. 

Secondo un recente studio, in Italia la piena implementazione dei principi dell’economia circolare lungo l’intera catena del valore  – che comprende progettazione, produzione, uso e gestione del fine vita dei prodotti – potrebbe creare 541 mila nuovi posti di lavoro, a fronte di soli 35 mila in uno scenario business as usual.

«La transizione da un’economia lineare ad una circolare – spiega Roberto Morabito, responsabile del dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali dell’Enea – è una necessità per tutti i Paesi e ancora di più per l’Italia, povera di materie prime critiche ma con una forte industria manifatturiera alla quale garantire un approvvigionamento stabile e sicuro di tali risorse. In questo scenario risulta fondamentale l’apporto della ricerca e dell’eco-innovazione per rafforzare la competitività della nostra industria in chiave sostenibile».

I vertici delle istituzioni nazionale, o almeno una loro parte, sembrano ormai consapevoli delle possibilità: quella dell’economia circolare è per il sottosegretario all’Ambiente Silvia Velo, presente ieri a Roma, la «sfida ambientale ed economica più importante dei prossimi anni. Un’occasione straordinaria che governo, regioni, comuni e aziende di servizio pubblico locale dovranno saper cogliere».

Nonostante i buoni propositi, i successi sul territorio si concretizzano però ancora all’interno di singole eccellenze; a mancare è una regia sistemica, una politica industriale che possa guidare verso progressi significativi.

Per fornire la scintilla a quella spinta propulsiva che oggi manca dall’Enea suggeriscono di «dar vita a un’Agenzia per l’uso efficiente delle risorse, sull’esempio di Paesi come Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone», autocandidandosi al ruolo: «L’Enea con le sue strutture e competenze potrebbe svolgere con efficacia questo ruolo – ha proposto il presidente dell’Agenzia, Federico Testa – Ciò garantirebbe un’immediata operatività».

Al di là dei nomi e dei ruoli, sui quali è giusto che siano le istituzioni a muoversi per prime, un’Agenzia di questo tipo potrebbe essere utile alla causa. Il rischio più concreto però è che continuino a sommarsi sui tavoli del dibattito proposte interessanti quanto sterili.

Come è stato ricordato ieri in seno a un altro evento, l’Aurelio Peccei Lecture 2016 organizzata dal Wwf in collaborazione con il Club di Roma, proprio il Wwf Italia sta contribuendo all’elaborazione della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, coordinata dal ministero dell’Ambiente e indicata in quel Collegato ambientale (la Legge 221/2015) che, tra le altre cose, istituisce (art. 67) l’importante Comitato nazionale per il capitale naturale: «Uno strumento – ha meritoriamente ricordato il direttore scientifico del Panda, Gianfranco Bologna – estremamente significativo per dare finalmente visibilità al valore dei sistemi naturali, la biodiversità e l’intero capitale naturale del nostro paese nei processi di programmazione economica».

Purtroppo però, come noto, il testo del Collegato ambientale con quel che di buono ha portato (non molto, a dire il vero) è rimasto al palo.

Presentato nel 2013 e definitivamente approvato nel 2015, è ancora privo dei decreti attuativi che gli permetterebbero di operare.

Per salvare (e valorizzare) il nostro capitale naturale occorre ri-orientare quello politico nell’ottica della sostenibilità, uno sforzo apparentemente immane quanto urgente.

«Come riconosciuto dai leader di tutto il mondo – ha concluso l’Aurelio Peccei Lecture Enrico Giovannini, ex ministro e portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) –  la questione dello sviluppo sostenibile non riguarda solo le generazioni future ma riguarda noi, oggi e l’Italia deve e può fare la sua parte per superare le gravi problematiche  ambientali, sociali ed economiche che preoccupano così tanto i cittadini». 

 

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 6 maggio 2016 su “greenreport.it”)

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