Bene il “No”, ma la battaglia è altrove

 

Ugo Mattei

Ugo Mattei

La discussione sul referendum costituzionale che si celebrerà in autunno è iniziata.

Sebbene si tratti indubbiamente dell’applicazione formale della trama di cui all’art. 148, l’illegittimità dichiarata della legge elettorale e l’Aventino delle opposizioni per respingere quanto elaborato da una maggioranza non eletta, mutano il senso di quanto sta avvenendo.

Più di un referendum con cui il popolo sovrano conferma un nuovo compromesso costituzionale fra i suoi rappresentanti in Parlamento, quello che sta andando in scena è un plebiscito muscolare con cui un gruppo di potere chiama il popolo a raccolta intorno al vitalismo (fare per fare) del proprio capo.

Non un referendum costituente, ma un plebiscito politico intorno al mutamento formale di un documento, la Costituzione del ‘48, già nella prassi completamente svuotata di contenuto.

Difficile non accorgersi che in tutta Europa i Parlamenti da tempo non contano più nulla.

Il potere legislativo si è concentrato progressivamente nelle mani dell’Esecutivo, secondo il modello della V Repubblica di De Gaulle.

Senza modificare gli apparati formali, ovunque un uomo solo al comando risponde ai diktat del potere privato, ormai molto più forte di quello pubblico.

È futile dunque contrastare la riduzione del ruolo del Senato, quando né questo né la Camera svolgono oggi alcun ruolo legislativo, visto che tutte le leggi passano con il voto di fiducia.

Di che riduzione stiamo parlando?

Si può ridurre il nulla?

In Italia oggi la sola fonte del diritto, inesistente quando negli Anni Ottanta ero studente in giurisprudenza, né prevista dalla Costituzione, è il Dpcm (Decreto presidente Consiglio dei ministri), un atto che non solo scavalca il legislativo ma pure la collegialità dell’esecutivo, nonché il tradizionale ruolo del Presidente del Consiglio come primus inter pares.

Dunque stiamo discutendo del nulla o meglio della simbologia del potere e del valore performativo delle parole.

Secondo la strategia discorsiva del governo, chi sta col Sì è riformista vuole il cambiamento, il progresso, la modernità, il fare.

Chi sta col No è conservatore, corporativo, perditempo, vecchio.

Francamente, gran parte delle persone che danno immagine mediatica alla contrapposizione (i cosiddetti professoroni del No), confermano una impostazione spettacolare che culturalmente ha già vinto.

Non voglio negare che in Italia, come del resto in tutta Europa, sia in atto un momento Costituente.

Voglio solo dire che esso sta altrove.

Il Referendum sull’acqua del 2011 aveva concretizzato una spinta volta a invertire la rotta rispetto alla costituzione materiale neoliberale e ai suoi imperativi finanziari.

Il governo Monti fu la reazione del capitale a tale spinta.

Iniziò, dopo la famosa lettera di Trichet e Draghi, un processo di ritrazione della democrazia che ha reso le stesse elezioni un rituale vuoto.

Oggi il capitale, col Referendum Costituzionale distrae la pubblica opinione, mentre sotto banco conduce la sua rivoluzione tramite il Ttip, il trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti.

Negoziato in segreto, il Ttip infligge il colpo di grazia a ciò che resta della sovranità pubblica.

Il suo impatto costituente è la ristrutturazione, tramite il diritto, del rapporto fra capitale e lavoro.

Gli Stati che intervengano a favore dei lavoratori, della salute e dell’ambiente, saranno considerati responsabili di un danno al capitale privato.

Stuoli di avvocati ben pagati dalle corporation faranno causa agli Stati i quali dovranno guardarsi da qualunque intervento sul libero mercato (inclusa la tutela dello sciopero) che torna costituzionalizzato come valore trascendente. Altro che riforma del Senato!
(Articolo di Ugo Mattei, pubblicato con questo titolo il 19 maggio 2016 su “Il Fatto Quotidiano”)

 

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