Referendum – Conoscere per votare: indennità solo ai deputati e non anche ai senatori

 

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Il vigente art. 69 della Costituzione dispone testualmente:

Art. 69 

I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge. 

Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva la seguente modifica, contenuta all’art. 7:

Art. 7.

(Indennità parlamentare) 

1. All’articolo 69 della Costituzione, le parole: «del Parlamento» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati».

Nella relazione al disegno di legge la modifica è stata spiegata nel seguente modo: «L’articolo 7 modifica l’articolo 69 della Costituzione, con l’effetto di limitare la cor-responsione della indennità parlamentare ai soli membri della Camera dei deputati.»

Con riferimento all’art. 7 le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) riportano le seguenti precisazioni: «L’articolo 9, non modificato nel corso dell’esame parlamentare rispetto al testo iniziale presentato dal Governo (S. 1429), interviene sull’articolo 69 della Costituzione.

Tale articolo, nella nuova formulazione, prevede che i soli mem­bri della Camera dei deputati – e quindi non più i membri del Parlamento – ri­cevano una indennità stabilita dalla legge.

A livello di legge ordinaria, la materia dell’indennità è disciplinata dall’articolo 1 della legge n. 1261 del 1965 il quale, al primo comma, stabilisce che “l’indennità spettante ai membri del Parlamento a norma dell’art. 69 della Costituzione per garantire il libero svolgimento del mandato è regolata dalla presente legge ed è costituita da quote mensili comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza”.

La legge n. 1261 stabilisce inoltre che l’indennità non può superare il trattamento comples­sivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di Cassazione, diminuito del 10 per cento, e affida agli Uffici di Presidenza di stabilire in concreto l’importo dell’indennità (art. 1, comma 2, L. n. 1261/1965 e art. 1, comma 52, L. n. 266/2005).

Ai sensi dell’articolo 2 ai membri del Parlamento è corrisposta una diaria a tito­lo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma.

Gli Uffici di Presidenza delle due Camere ne determinano l’ammontare sulla base di 15 giorni di presenza per ogni mese ed in misura non superiore all’indennità di missione giornaliera prevista per i magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di cassazione ed equiparate; possono altresì stabilire le modalità per le ritenute da effettuarsi per ogni assenza dalle sedute dell’Assemblea e delle Commissioni.

Conseguentemente, la modifica apportata all’articolo 69 della Costituzione de­termina l’effetto di limitare la corresponsione della indennità parlamentare ai soli membri della Camera dei deputati.

Dalle modifiche costituzionali disposte consegue dunque che il trattamento economico dei senatori sindaci e dei senatori consiglieri regionali eletti in secondo grado sia quello spettante per la carica di rappresentanza territoriale che rivestono.

Giova altresì ricordare che il nuovo articolo 122 della Costituzione attribuisce alla legge statale l’individuazione della durata degli organi elettivi della regione e dei relativi emolumenti nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione.

Si ricorda che l’indennità dei (senatori) sindaci, a differenza di quella dei (senatori) consi­glieri regionali non ha copertura costituzionale ed è rimessa ad una legge statale.

Si ricorda inoltre che, a livello di legislazione ordinaria, è stabilito il divieto di cumulo tra le indennità parlamentari e le indennità di carica previste per gli amministratori locali ( d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 83).

L’indennità dei (senatori) consiglieri regionali, dunque, con la citata disposi­zione introdotta all’art. 122 Cost., sarà definita con legge della Repubblica (da approvarsi con procedimento bicamerale) ed avrà come limite massimo (ai fini dell’adozione della relativa legge della regione) quella dei sindaci dei comuni ca­poluogo di regione, definita – come si è detto – con legge statale.

Si ricorda inoltre che le disposizioni del capo IV, che includono quella di cui all’art. 122 Cost., non si applicano alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime.

Per i nuovi senatori di nomina presidenziale (art. 59, secondo comma, Cost.) non è invece prevista alcuna indennità.

Disposizioni specifiche (nella parte relativa alle disposizioni transitorie e finali) sono previste per i senatori ex Presidenti della Repubblica (art. 40, co. 5, ultimo periodo, “lo stato e le prerogative dei senatori di diritto e a vita restano regolati secondo le disposizioni già vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale”) e per i senatori a vita attualmente in carica (art. 39, co. 7, “i senatori a vita in carica alla data di entrata in vigore della presente legge costitu­zionale permangono nella stessa carica, ad ogni effetto, quali membri del Senato della Repubblica”).

Per quanto riguarda l’entrata in vigore delle disposizioni richiamate:

  • la norma che modifica l’art. 122 Cost., introducendo un limite massimo per gli emolu­menti del consiglieri regionali, da prevedere con legge della Repubblica, è di immediata applicazione (ai fini dell’adozione dell’atto legislativo richiamato), ai sensi dell’articolo 41, dedicato all’entrata in vigore del provvedimento;
  •  la norma che modifica l’art. 69 Cost., limitando la corresponsione della indennità par­lamentare ai soli membri della Camera dei deputati, si applica, ai sensi del citato art. 41, “a decorrere dalla legislatura successiva allo scioglimento di entrambe le Camere”.       

Dal punto di vista storico, l’art. 50 dello Statuto albertino escludeva ogni retribuzione o in­dennità connessa all’esercizio del mandato parlamentare, tenuto conto che ad avere il diritto al voto (e dunque del diritto ad aspirare a cariche elettive) era all’epoca un numero esiguo di persone rappresentanti di un ceto ristretto.

Successivamente, con la legge elettorale del 30 giugno 1912, n. 655, tale divieto fu sostanzialmente superato con la previsione di «un compenso per le spese di corrispondenza» da versare annualmente a ciascun deputato e dal­la corresponsione di un’ulteriore somma per i deputati che non godessero di altro provento a carico dello Stato.

Con la legge 5 aprile 1920, la distinzione venne a cadere e l’indennità, insieme al rimbor­so spese per la corrispondenza, furono attribuiti ad ogni deputato e successivamente (l. 25.5.1925, n. 395), in misura uguale, ad ogni senatore.

In seguito, con l’introduzione del suffragio universale e l’ampliamento della classe politica si pose l’esigenza di garantire l’indipendenza economica anche a quei parlamentari che ave­vano come reddito esclusivamente quello derivante dal proprio lavoro.

Così, la principale questione che riguarda l’indennità parlamentare, ossia la sua natura giuridica, fu già dibat­tuta in sede di Assemblea costituente, dove si sostennero entrambe le tesi: quella del carat­tere di retribuzione sostitutiva (Terracini), considerato l’impegno lavorativo assorbente del parlamentare (Mortati), e quella di sola indennità a titolo di rimborso spese (Calamandrei). »

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LE RAGIONI DEL SÌ

Dal sito Basta un Sì

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Articolo 69: indennità solo ai deputati, non ai senatori    

L’articolo 69, oltre a far parte del più ampio disegno riformatore della riduzione dei costi, possiede anche un alto valore politico.

È la disposizione che, infatti, assegna ad ogni singolo membro del Parlamento una indennità, ossia un emolumento economico corrispondente allo svolgimento dell’attività parlamentare.

In sostanza, lo stipendio.  

La riforma costituzionale modificherà radicalmente questo disposto, eliminando lo stipendio dei senatori.

In realtà l’articolo 69 della Costituzione non specifica l’ammontare dello stipendio dei parlamentari, limitandosi a stabilire che ‘i membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge’.

Soltanto successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, precisamente nel 1965, fu adottata la legge numero 1261, che stabilisce, nello specifico, l’ammontare delle indennità parlamentari.

L’articolo 69, come si evince, ha un alto valore politico.

Sono state numerose le occasioni in cui il dibattito politico-istituzionale e l’opinione pubblica si sono concentrati sull’aspetto economico dell’attività parlamentare, in primo luogo sugli stipendi corrisposti a deputati e senatori.

La riforma costituzionale interviene in maniera piuttosto decisa, segnando, in primo luogo, un indirizzo politico, ancorché espresso in forma giuridica.

Il nuovo disposto dell’articolo 69 stabilisce infatti che non saranno più tutti ‘i membri del Parlamento’ a ricevere una indennità stabilita dalla legge, poiché questa verrà corrisposta esclusivamente ai ‘membri della Camera dei deputati’. 

È importante sottolineare la coerenza sistematica sottesa a questa previsione.

Se esclusivamente i membri della Camera avranno il compito di rappresentare la Nazione nel suo insieme, appare logico che solo questi ricevano una somma di denaro in corrispondenza dello svolgimento di tale attività.

L’eliminazione dei 315 stipendi si spiega sotto due punti vista: un primo di carattere economico, l’altro di carattere giuridico.

Per quanto concerne il primo criterio, quello economico, è da sottolineare come l’eliminazione di 315 stipendi, piuttosto elevati, consentirà, secondo uno studio della Ragioneria dello Stato (con nota del giorno 28 ottobre, numero di protocollo 83572), un risparmio di circa cinquanta milioni l’anno, destinati ad aumentare nel momento in cui verranno messi a regime.

Il risparmio, a sua volta, non sembra essere dettato da esigenze meramente economiche, ma anche dalla necessità di conferire di nuovo credibilità alle istituzioni dello Stato.

Il secondo motivo, quello giuridico, può essere spiegato nel seguente modo: i senatori saranno rappresentanti delle istituzioni locali, ossia consiglieri regionali e Sindaci.

Per queste cariche sono già previste dalla legge le corrispondenti retribuzioni, e sarebbe stato illogico, nonché disallineato con tutta la logica della riforma, consentire che i nuovi senatori potessero ricevere un doppio stipendio. 

Avrebbe avuto poco senso eliminare poltrone se non si fossero anche eliminati gli stipendi corrispondenti. 

L’articolo 69 costituisce uno dei tasselli che compongono l’elemento ‘risparmio’ presente nella riforma.

Se coordinato con l’eliminazione dei rimborsi ai consigli regionali, la soppressione del CNEL, l’accorpamento del personale di Camera e Senato, l’eliminazione delle Province e molte altre previsioni, l’articolo 69 rappresenta solo il punto di partenza, per istituzioni meno costose, più sobrie, e maggiormente credibili. 

 

LE RAGIONI DEL NO

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Massimo Villone, già senatore e professore di diritto costituzionale della Università Federico II, ha individuato 30 ragioni per dire NO alle riforme della Costituzione e legge elettorale Italicum.

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Massimo Villone  

la 4° di queste ragioni riguarda l’indennità dei senatori.

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Il giurista Luca Benci ha espresso il seguente giudizio.

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Luca Benci

«La riforma della composizione del Parlamento si presenta come un pasticcio nel pasticcio motivata da elementi demagogici e populisti: la riduzione dei costi della politica.

Obiettivo che poteva essere perseguito prevedendo una riduzione proporzionale di camera e senato oppure abolendo il senato e lasciando la Camera con una legge proporzionale.» 

 

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

 

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