LA CORTE D’ASSISE DI NAPOLI L’HA CONDANNATO A 3 ANNI E 6 MESI PER OMICIDIO COLPOSO, SEI I CASI PRESCRITTI. L’accusa aveva chiesto 23 anni e 11 mesi per omicidio volontario. I parenti delle vittime: «Vergogna». L’Osservatorio nazionale amianto: «Sembra che la giustizia si sia adagiata sulle tesi difensive» Di ADRIANA POLLICE, IL MANIFESTO, 7 APRILE 2022 La Corte di Assise di Napoli ha condannato l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny a 3 anni e 6 mesi per omicidio colposo più il risarcimento dei danni alla parti civili e il pagamento delle spese processuali. Processo Eternit bis, l’accusa aveva chiesto 23 anni e 11 mesi per omicidio volontario relativo alla morte di otto persone, tutte decedute per mesotelioma pleurico: sei operai dello stabilimento di Bagnoli più la moglie di uno dei lavoratori (che si sarebbe ammalata lavando la tuta da lavoro del marito) e un abitante del quartiere che viveva a pochi passi dalla fabbrica. All’epoca dei fatti Schmidheiny era a capo della multinazionale specializzata nella lavorazione dell’amianto con 5 sedi in Italia. LA CONDANNA si riferisce solo alla morte dell’operaio Antonio Balestrieri, avvenuta nel 2009 per la prolungata esposizione all’amianto. Avendo escluso la volontarietà, per altri sei è subentrata la prescrizione. Per Franco Evangelista, che viveva a due passi dall’impianto, morto anche lui nel 2009, c’è stata l’assoluzione («il fatto non sussiste»). La sentenza è stata accolta dalle urla dei familiari: «Vergogna, vergogna» hanno scandito prima di essere allontanati. Stessa scena e stesse urla già viste a Roma nel 2014, quando la Cassazione annullò la condanna a 18 anni per disastro ambientale, sancita dal processo di Torino nei confronti di Schmidheiny. Da quella sentenza e da un nuovo passaggio al gup di Torino è scaturito lo spacchettamento in 4 processi bis a Vercelli (poi trasferito a Novara), Reggio Emilia, Torino e appunto Napoli […]
Bastamianto
Di VINCENZO IURILLO, IL FATTO QUOTIDIANO, 7 APRILE 2022 Antonio Balestrieri aveva 72 anni quando, il 21 ottobre 2009, scompare per mesotelioma pleurico. Dal 1954 al 1977 aveva lavorato come addetto al carico e scarico di sacchi di amianto nella fabbrica Eternit del quartiere di Bagnoli a Napoli. La sua morte è l’unica che ha ottenuto giustizia, che è riuscita a divincolarsi dalle maglie della prescrizione nel processo Eternit Bis per otto morti ricollegabili all’amianto e alle responsabilità dell’imprenditore svizzero Stephan Schmydheiny.La Corte di Assise di Napoli, dopo aver derubricato l’accusa da omicidio volontario a omicidio colposo, lo ha condannato a 3 anni e sei mesi. Poca roba, rispetto alla richiesta di 24 anni della Procura. Che non ha retto perché per sei delle otto vittime, Salvatore De Simone, Gennaro Esposito, Angela Prisco, Antonio Rocco, Vincenzo Russo, Assunta Esposito – ex dipendenti Eternit, dell’indotto o semplici residenti del quartiere – decedute tra il 2000 e il 2006 per un mesotelioma conseguente all’inalazione delle fibre di amianto, la derubricazione del reato ha fatto scattare la prescrizione. Mentre per la morte di Franco Evangelista, che ha vissuto 26 anni a Bagnoli ed è scomparso il 16 ottobre 2009, Schmydheiny è stato assolto. “La sentenza ci lascia delusi – ha commentato l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto – Confidiamo nella giustizia divina presso la quale l’imputato dovrà rispondere anche dei reati prescritti che, comunque, sono la rappresentazione dell’esistenza del reato”. “Per questa sentenza c’è molta rabbia”, aggiunge l’avvocato dell’ONA, Flora Rose Abate. A prescindere dalla qualificazione dei reati, il processo ha evidenziato un uso dell’amianto senza cautele e con le maestranze ignare e sprovviste di mezzi di protezione. Pare fosse la prassi in quegli anni, come documentato da numerosi processi sparpagliati nello Stivale. Quello di Napoli è nato da uno dei rivoli […]
ATTESA PER OGGI LA SENTENZA RELATIVA AL SITO PARTENOPEO DI BAGNOLI. L’IMPRENDITORE È ACCUSATO DELLA MORTE DI OTTO PERSONE, SEI OPERAI. La Cgil Campania: «L’accusa ha sottolineano il disprezzo verso la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, una concezione predatoria piegata solo a logiche di profitto» Di ADRIANA POLLICE, IL MANIFESTO, 6 APRILE 2022 È attesa per oggi la sentenza del processo Eternit bis, relativa allo stabilimento di Bagnoli. Imputato Stephan Schmidheiny (proprietario del sito, fallito nel 1985), le pm Anna Frasca e Giuliana Giuliano hanno chiesto una condanna a 23 anni e 11 mesi. Secondo i testimoni, i lavoratori erano costretti a coprirsi la bocca con i fazzoletti perché non venivano fornite le mascherine, i sacchi venivano spostati e svuotati a mano anche dopo la ristrutturazione degli impianti. Eppure il fratello dell’imputato ha spiegato che a casa Schmidheiny si parlava anche a tavola della nocività dell’amianto. L’ACCUSA lo ritiene responsabile della morte di 6 operai, della moglie di uno dei dipendenti (si sarebbe ammalata lavando la tuta del marito) e di un residente che abitava nei pressi della fabbrica. Cgil e Uil saranno in presidio al tribunale di Napoli: «L’accusa ha sottolineano il disprezzo verso la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, una concezione predatoria piegata solo a logiche di profitto» il commento della Cgil Campania. GLI EFFETTI sulla salute emergono appieno a molti anni di distanza. Spiega l’associazione Mai più amianto (parte civile nel processo): «Tocca alle istituzioni attuare il Piano regionale amianto, completare la mappa dei siti inquinati, procedere alla rimozione di oltre 4 milioni di tonnellate disperse sul territorio, avviare le bonifiche e la sorveglianza sanitaria agli ex esposti con il Registro del mesotelioma, fermo da anni». Il settimo rapporto Inail del 2021 sottolinea: «Il Centro operativo della Campania non è operativo dal […]
Dove verrà depositato l’amianto mai bonificato della Sicilia? Nelle miniere già inquinate. Il nuovo “piano amianto” della Regione, stilato con 28 anni di ritardo, ha innescato la miccia della rabbia di tanti comuni nella provincia di Enna e Caltanissetta. Qui l’entroterra è già devastato dall’inquinamento legato alle ex fabbriche e miniere mai bonificate e negli anni l’amianto ha provocato migliaia di tumori attraverso la diffusione dell’asbesto (dovuto allo sgretolamento del materiale messo al bando). Perciò ora la decisione della Regione di realizzare dei depositi a Milena, Serradifalco (Caltanissetta) ed Enna, oltre che a Biancavilla (Catania), suona come una beffa per i cittadini. Secondo il nuovo piano, lo smaltimento nelle cave già inquinate sarebbe invece un’opportunità logistica piuttosto che uno sfregio per i comuni che lottano da anni per le bonifiche: “In Sicilia sono presenti alcuni siti minerari oggi dismessi – si legge nel piano – che hanno alcune criticità dovute alle condizioni in cui sono stati lasciati i manufatti, nonché alla presenza di discariche di residui delle lavorazioni dei minerali. In questi siti sono presenti capannoni e altri fabbricati con coperture in cemento amianto, ormai in pessimo stato, che per la loro grande estensione renderebbero antieconomico lo smaltimento in siti molto lontani”. Il caso più eclatante è quello della miniera Bosco, a Serradifalco, forse la patria dell’inquinamento tra discariche e la cava di sali potassici. Nel paese i morti di tumore ai polmoni sono diventati un caso, tanto che è nata una associazione “No Serradifalko” oggi parte civile al processo per disastro ambientale della miniera che vede imputati 3 funzionari regionali: “Lottiamo da anni per la bonifica delle migliaia di metri quadrati di amianto sbriciolato che inquina l’aria del nostro paese – spiega Marcello Palermo, presidente dell’associazione – e quando è arrivata la bella notizia che la montagna di sale (4 milioni di metri cubi di sali potassici) potrebbe finalmente sparire, veniamo a sapere che l’amianto della Sicilia verrà depositato nella nostra cava che si trova in un territorio a rischio idrogeologico”. Nella vicina San Cataldo, oggi commissariata, aumentano i dissensi: “L’ex area mineraria è classificata con rischio R4 – […]
Sono numeri che ormai l’Ona (l’Osservatorio Nazionale Amianto) sciorina come un mantra: in Italia i ritardi nelle bonifiche fanno sì che ci siano 40 milioni di tonnellate di materiali di amianto e contenenti amianto (33 in matrice compatta e 7 friabile), in un milione di siti, di cui 50.000 quelli industriali, e 40 di interesse nazionale, di cui 10 solo per amianto (Fibronit di Broni e di Bari, Eternit di Casale Monferrato, etc.). Non solo, sono state censite 2400 scuole (stima per difetto di ONA nel 2012 – dato confermato dal Censis nel 2014), con esposizione alla fibra killer di almeno 352.000 alunni e 50.000 tra docenti e non docenti; 1000 biblioteche ed edifici culturali (stima ancora per difetto); 250 ospedali (ancora stima per difetto); 300.000 km di tubature, che diventano 500.000 compresi gli allacciamenti, che contengono materiali in amianto. E se tutto questo non bastasse, va aggiunto anche il nostro (tragico) cavallo di battaglia: non si sa dove mettere un grammo di questo materiale che per una minima parte finisce all’estero e per la maggior parte, appunto, resta in situ. Il tutto, mentre ci sono cause legali in corso in tutta Italia e tra le quali spicca in negativo, quella delle Industrie Meccaniche Siciliane che hanno portato, ormai da circa 100 giorni, allo sciopero della fame i lavoratori dell’azienda e dei membri dell’ONA Sicilia. Le fibre di amianto – ricorda l’Ona che ieri ha presentato il dossier “Rischio amianto in Italia, diritti negati alle vittime” – provocano il mesotelioma, quello della pleura, del pericardio, del peritoneo, e della tunica del testicolo, e ancora il tumore del polmone, della laringe e delle ovaie, e poi ancora quello della faringe, dello stomaco, del colon-retto, e l’asbestosi, placche e ispessimenti pleurici. Perché, appunto, ci si ammala e i risarcimenti latitano, mentre le persone muoiono. E se non si pone un rimedio non ci sarà soluzione di continuità, perché senza […]
Neanche l’emergenza coronavirus, coi suoi 27mila morti solo in Italia, può fermare le altre crisi sanitarie che silenziosamente si portano via ogni anno migliaia di vite: oggi come ogni anno si commemora la Giornata mondiale delle vittime dell’amianto. Più che un’emergenza, una cronicità per il nostro Paese: a distanza di quasi 30 anni dalla legge 257/1992 che ne ha vietato l’utilizzo, i morti riconducibili all’amianto sono circa 6mila all’anno in Italia, e continueranno a crescere. Come ricorda il sottosegretario all’Ambiente con delega alle Bonifiche, Roberto Morassut, «il picco delle patologie ad esso correlate è previsto, secondo l’Osservatorio nazionale amianto (Ona), tra il 2025 e il 2030». Del resto lungo lo stivale l’Ona stima la presenza di 40 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto che aspettano di essere bonificate e smaltite. «È una minaccia sia per gli adulti che per i bambini visto che la fibra killer si nasconde ovunque intorno a noi – spiega il Consiglio nazionale dei geologi – nelle scuole, negli ospedali, nelle biblioteche e persino negli edifici culturali». L’amianto è stato usato in una grande varietà di materiali da costruzione, e l’Ona ad esempio ne ha segnalato la presenza in 2.400 scuole, 1.000 biblioteche ed edifici culturali, 250 ospedali. Il pericolo non sta nel materiale in sé, ma nel cattivo stato di conservazione dei manufatti che lo contengono come nel rilascio spontaneo di fibre in natura da parte di rocce naturalmente amiantifere; è l’esposizione a queste fibre invisibili che può causare mesotelioma, tumore del polmone, tumore della laringe, dello stomaco e del colon. Per questo è necessario realizzare sul territorio discariche dove poter smaltire in sicurezza i rifiuti contenenti amianto derivanti dalle bonifiche: senza questi impianti anche le bonifiche rimangono al palo, perché non sappiamo dove smaltirne i rifiuti. Ma se sul primo fronte si registrano timidi […]
Intervista pubblicata sulle edizione delle 14,00 del TGR Calabra del 28 marzo 2020 a -3,10 minuti dalla fine https://www.rainews.it/tgr/calabria/notiziari/index.html?/tgr/video/2020/03/ContentItem-7a510061-affe-4e35-aec3-df82d9b07fcb.html
Il Cnr ha ospitato ieri a Roma il convegno nazionale Amianto: gestione del sistema e tutela della salute, durante il quale è stato fatto il punto sui pericoli che ancora oggi questo materiale rappresenta dal punto di vista sanitario, nonostante nel nostro Paese sia stato messo al bando da oltre un quarto di secolo. «L’esposizione ad amianto – spiega Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale (Sima) – causa tumore polmonare (mesotelioma pleurico), laringeo e ovarico, oltre a condizioni di fibrosi polmonare. In Italia ogni anno circa 6.000 decessi sono da ricondursi a questa fibra killer; mentre nel mondo, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sono 125 milioni le persone esposte a rischio amianto e l’impatto dei soli costi diretti (ritiro dal lavoro, cure e morte) nei 28 Paesi dell’Unione europea (Uk inclusa) è pari allo 0.7 per cento del Pil dell’Ue (410miliardi/anno)». Un problema che ci tocca da vicino: si stima che nel nostro Paese ci siano infatti ancora dalle 32 (secondo Cnr-Inail) alle 40 milioni di tonnellate (secondo l’Osservatorio nazionale amianto) d’amianto da bonificare. «In Italia – aggiunge Miani – sono 96.000 i siti contaminati da amianto censiti e presenti nel database del ministero dell’Ambiente. Per affrontare il problema in modo strutturale è necessaria un’azione coordinata che integri tra loro tutti gli enti statali e le amministrazioni territoriali a vario titolo coinvolte, al fine di integrare le azioni sugli aspetti sanitari, previdenziali e ambientali». È evidente infatti che monitorare non basta, occorre bonificare. Per farlo è però necessario poter disporre sia delle risorse economiche necessarie, sia poter contare su un’adeguata infrastruttura industriale a supporto per smaltire in sicurezza i rifiuti contenenti amianto derivanti dalle bonifiche. Come spiegato dallo stesso ministero dell’Ambiente – nella figura di Laura D’Aprile – due anni fa alla Camera, durante un convegno promosso dal […]