Una appassionata riflessione di Giuseppe Ferraro. Napoli brucia, il Sud brucia, non certo di passione. Brucia di fuoco e non certo per esplosioni e spari. Brucia di fiamme che travolgono montagne, sfigurano paesaggi. Brucia di corruzione il Paese intero, per scintille di parole inconsistenti dei suoi pirotecnici rappresentanti di partiti e coalizioni. Le “colpe”, ovvio, sono della mafia e della camorra, diventate il contenitore dei rifiuti tossici dell’indifferenza. La scarto tra popolo e politica, tra società e istituzioni, tra città e stato è diventato tanto intollerabile che la minaccia di una dittatura beffarda dello sconforto fa sentire i suoi passi claudicanti e l’asprezza del suo ghigno. Non sarà un piromane con in mano la torcia del disturbo mentale, non sarà il gesto isolato e interessato di un gruppo mafioso, né sarà il caldo a dare fuoco, perché dapprima il fuoco lo tiene acceso chi non lo spegne. È più colpevole la mancanza della tutela del territorio, della difesa del paesaggio. Il fuoco di questi giorni somiglia troppo al sisma, al terremoto, nelle attese e nelle improvvisazioni di soccorso come somiglia molto ai disastri di valanghe e paesi isolati dalla neve perché mancano mezzi di soccorso. Intanto ci si prodiga a tirare dalle tasche pubbliche 50 miliardi per salvare le banche venete, senza nemmeno un tornaconto di governo che sarebbe poi un interesse nazionale, di chi vive il Paese. Beninteso, c’è l’educazione delle persone che manca, ma l’educazione si dà per affezione. Nessuno impara e apprende senza avvertire un sentimento di fiducia e di entusiasmo per chi insegna. Educare è suscitare il desiderio di imparare per apprendere quel che chi insegna mostra di custodire nello scrigno del suo entusiasmo, nell’intimo. Educazione e affezione non sono separabili, se manca l’una manca l’altra. […]