Ci ha lasciati Bruno De Vita, membro storico del nostro Consiglio Nazionale. VAS si unisce al dolore della famiglia e dei collaboratori di Teleambiente.
Archivi Annuali: 2017
Con la sentenza n. 5285/2017 depositata il 15 novembre, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha affrontato la questione se la decadenza della concessione edilizia operi anche in assenza di un’apposita dichiarazione amministrativa, come sostenuto nel caso in esame dal Comune con il conforto di una parte della giurisprudenza, soprattutto di primo grado (Cfr. Tar Sicilia Catania, Sez. I, 16 febbraio 2015, n. 528; Tar Sicilia Palermo, Sez. II, 14 marzo 2014, n. 746; Tar Lazio Roma, Sez. II bis, 28 giugno 2005, n. 5370), oppure necessiti di una dichiarazione, all’esito di un apposito procedimento (Cfr. Cons. St., Sez. V, 26 giugno 2000, n. 3612). La sesta sezione del Consiglio di Stato aderisce a quest’ultimo indirizzo, anche recentemente ribadito da Palazzo Spada, secondo il quale l’operatività della decadenza della concessione edilizia necessita in ogni caso dell’intermediazione di un formale provvedimento amministrativo, seppur avente efficacia dichiarativa di un effetto verificatosi ex se e direttamente (Cfr. Cons. St. 22 ottobre 2015 n. 4823). Quanto alla necessaria interlocuzione con il privato attraverso gli apposti strumenti partecipativi, “deve parimenti ricordarsi che la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la perdita di efficacia della concessione di costruzione per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’Amministrazione anche ai fini del necessario contraddittorio col privato circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che possono legittimarne la determinazione (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, sent. 12.05.2011, n. 2821; Cons. St., Sez. IV, sent. 29.01.2008, n. 249; Cons. St., Sez. VI, sent. 17.2.2006, n. 671)”. Il Consiglio di Stato non disconosce il principio ribadito anche recentemente dalla sesta sezione (sent. 3 agosto 2017 n. 3887), “e che deve essere tenuto fermo, secondo il quale l’articolo 15, comma 2, del T.U. 380/2001 esclude qualsiasi […]
Il 2018 si aprirà in Italia con una importante novità introdotta dal Decreto legge Mezzogiorno: dal primo gennaio saranno messi al bando i sacchetti di plastica leggeri e ultraleggeri con spessore della singola parete inferiore a 15 micron, utilizzati per imbustare frutta e verdura, carne, pesce, affettati; al loro posto ci saranno shopper biodegradabili e compostabili, con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile di almeno il 40%, non riutilizzabili e che saranno a pagamento. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Eea, In Europa si consumano 100 miliardi di sacchetti all’anno e una parte di questi finiscono in mare e sulle coste. I sacchetti leggeri e ultraleggeri sono ormai vietati in diversi Paesi del mondo – a cominciare dalla Cina – anche in via di viluppo. Nel bacino del Mediterraneo la messa al bando degli shopper non compostabili è attiva in Italia, Francia e Marocco. Altri Paesi hanno introdotto delle tasse fisse (Croazia, Malta, Israele e alcune zone della Spagna, della Grecia e della Turchia). La Tunisia ha messo al bando le buste di plastica non biodegradabili nelle grandi catene di supermercati e Cipro metterà in atto la normativa europea a partire dal 2018. Secondo il Codacons si tratta di «una nuova tassa occulta a carico dei consumatori». Lo denuncia il Codacons, che ricorda come dall’1 gennaio 2018 entri in vigore la norma che sottolinea: «Questo significa che ogni volta che si va a fare la spesa al supermercato occorrerà pagare dai 2 ai 10 centesimi di euro per ogni sacchetto, e sarà obbligatorio utilizzare un sacchetto per ogni genere alimentare, non potendo mischiare prodotti che vanno pesati e che hanno prezzi differenti. Tutto ciò comporterà un evidente aggravio di spesa a carico dei consumatori, con una stangata su base annua che varia dai 20 ai 50 euro a famiglia […]
La 41esima edizione del Sondaggio Mondiale di Fine Anno sulle previsioni, le aspettative e le speranze dei cittadini di 55 paesi di tutto il mondo realizzato da Gallup International e Worldwide independent network of market research and opinion polls (Win) – per l’Italia da Doxa – rivela che «a livello mondiale la felicità continua a dominare sul pessimismo. La maggioranza della popolazione è felice in tutti i 55 Paesi coinvolti nella ricerca, nonostante 32 Paesi siano pessimisti sulle loro prospettive economiche». Potrà sembrare strano (ma in realtà è una costante in sondaggi di questo tipo) ma i “ricchi” sono più pessimisti dei “poveri”, a cominciare dall’Europa, dove 19 Paesi su 27 sono pessimisti sull’andamento economico. Secondo il sondaggio, il 59% della popolazione mondiale dichiara di essere felice della propria vita (in calo rispetto al 68% dell’anno scorso); il 28% è né felice né infelice e l’11% non è felice. Il dato italiano della felicità è de 50%, in rialzo del 4% rispetto al 2016. A livello mondiale, l’indice “Net happiness”, dato dalla differenza tra le percentuali dei felici e quella degli infelici, è pari a 48%, più alto di quello dell’Italia che si ferma al 42% I paesi più felici del mondo risultano essere le Isole Figi (net happiness 92%), un paradiso insulare che non è certo un esempio di democrazia, la Colombia (87%) che ha appena firmato la pace con i guerriglieri delle Farc ma dove non mancano certo enormi problemi sociali e ambientali ancora aperti, e le Filippine (84%) che vivono sotto la sferza autoritaria di Rofdrigo Duterte e fanno i conti con le guerriglie islamiche e comuniste, con la povertà e con i tifoni e i cambiamenti climatici devastanti. A seguire ci sono Paesi non sempre democratici e a volte con economie instabili: Messico (+82%), Vietnam […]