Quando l’amianto è un minerale naturalmente presente nell’ambiente: uno studio italiano

 

La rivista scientifica International journal of environmental health research ha pubblicato l’ultimo studio del Centro di geologia e amianto dell’Arpacal – l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Calabria –, che lavora da anni alla mappatura delle litologie con occorrenza di minerali di amianto naturale sul territorio regionale.

Ma all’interno dello studio Asbestiform minerals in ophiolitic rocks of Calabria (southern Italy), condotto anche con la collaborazione con il Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail, si trovano considerazioni la cui utilità valica i confini calabresi.

Non a caso della ricerca si dà conto sull’ultimo notiziario del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), all’interno del quale si riassume – come del resto già noto – che la presenza di amianto in natura è legato agli affioramenti di Ofioliti (da ὄφις, serpente, e λίθος, roccia, per la loro caratteristica colorazione verdognola traslucida, che ricorda la pelle dei rettili).

Le ofioliti, conosciute con il termine informale «rocce verdi», sono sezioni di crosta oceanica e del sottostante mantello (litosfera oceanica)  con la relativa copertura sedimentaria, e sono la testimonianza di un antico bacino oceanico di età giurassica noto nella letteratura geologica come Tetide.

La distribuzione e la concentrazione negli ammassi rocciosi dei minerali asbestiformi non è però uniforme, ma risulta estremamente variabile.

In Calabria ad esempio gli affioramenti più consistenti, sfruttati anche a livello economico, sono localizzati sul Monte Reventino (in provincia di Catanzaro), mentre la specie di amianto più diffusa e quantitativamente più rilevante è rappresentata dalla tremolite, e subordinatamente dal crisotilo; sono presenti, inoltre, minerali fibrosi non regolamentati, ma ugualmente pericolosi per la salute (antigorite). In particolare – osservano dall’Snpa – le più elevate concentrazioni di asbesto sono state invariabilmente registrate in corrispondenza di fratture e lungo superfici di faglie, alle quali si associano comunemente zone cataclastiche e milonitiche.

Conoscere per proteggersi, dunque: i risultati di questo studio indicano come sia «necessario non soltanto determinare la concentrazione totale di amianto nelle rocce affioranti ma anche, e soprattutto, valutare la reale attitudine delle fibre ad essere rilasciate spontaneamente o a seguito di azioni antropiche».

È infatti utile ricordare che, quando si discute di rischi connessi all’esposizione alle fibre di amianto, il pericolo non è insito nell’amianto in sé – che è un minerale naturalmente presente nell’ambiente, come si è visto – ma si fa riferimento «sia al cattivo stato di conservazione dei manufatti contenti amianto, installati in ambienti di vita e lavoro, sia alle alterazioni di rocce che per loro natura possono contenere mineralizzazioni fibrose classificabili come amianto».

Ecco perché una discarica (o un modulo di discarica) autorizzata ad ospitare amianto e debitamente controllata rappresenta un luogo sicuro per stoccare i rifiuti provenienti dalle bonifiche di questo minerale potenzialmente letale.

Già nel 2007 il responsabile per l’amianto dell’Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) spiegava a greenreport che «l’amianto è un minerale e sotto terra torna a fare il minerale.

Ovviamente non tutti i siti sono adatti, ci devono essere delle condizioni particolari e poi deve essere esclusivamente dedicata a questo tipo di smaltimento una parte della discarica».

Eppure i territori, spesso inconsapevoli di questa realtà, continuano a percepire le discariche autorizzate – dove l’amianto viene stoccato una volta reso innocuo – come il problema anziché la soluzione al grande pericolo costituito dai manufatti in amianto presenti ovunque, dalle scuole agli ospedali alle nostre case.

Non solo le bonifiche procedono a rilento, visto che a 26 anni dalla messa al bando dell’amianto se ne stima ancora la presenza di 32-40 milioni di tonnellate in tutta Italia, tanto da richiedere incentivi per la sua rimozione (magari sostituendolo sui nostri tetti con un pannello fotovoltaico), ma non sappiamo neanche dove mettere i rifiuti provenienti dalle poche bonifiche concluse.

Finora “la soluzione” è stata spesso quello di esportarlo all’estero, in genere in Germania, ma anche quest’orizzonte – ambientalmente ed economicamente più costoso, e dunque capace di rallentare le bonifiche stesse – potrebbe presto chiudersi.

«Uno dei principali problemi è che mancano le discariche: a volte i monitoraggi non vengono effettuati perché poi nasce il problema di dove poter smaltire l’amianto», hanno recentemente ricordato dal ministero dell’Ambiente.

Ma gli appelli finora sono serviti a poco: non soltanto le discariche adatte a contenere i rifiuti contenenti amianto sono troppo poche nel nostro Paese, ma continuano addirittura a calare.

 

(Articolo di Luca Aterini, pubblicato con questo titolo il 5 aprile 2018 sul sito online “greenreport.it”)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Vas