Il tema delle migrazioni non è di destra o di sinistra

 

Fino a poco tempo fa era diffusissima la convinzione che le politiche di “accoglienza” nei riguardi dei migranti appartenessero alla sinistra, mentre l’ostilità nei confronti di quel fenomeno fosse prerogativa della destra.

L’esito elettorale del 4 marzo, soprattutto la formazione dell’attuale Governo, testimonia un’altra realtà.

La questione coinvolge trasversalmente tutti, criticamente, persone e partiti, consapevoli che i fenomeni migratori, per molti aspetti inevitabili, vanno comunque disciplinati, con il più ampio consenso.

Se ne riscontra il progressivo coinvolgimento di tutti i Governi e delle istituzioni europei, soprattutto dopo che il Ministro degli interni tedesco ha minacciato di togliere la fiducia alla Cancelliera Merkel, qualora non si trovi una soluzione al problema. 

È in grado l’Europa di declinare alcuni principi basilari, capaci di “concertare” la gestione del fenomeno, dimostrando di condividere i suoi stessi confini?

Anche negli Stati Uniti il riconoscimento della competenza federale a disciplinare il fenomeno migratorio ha impiegato più di cento anni prima di affermarsi.

Oggi gli Usa identificano le ragioni della propria unità nella propria Costituzione.

Un percorso inesistente in Europa, anche se ormai tutti sanno che la politica praticata finora non basta più.

Trattasi invece di un aspetto decisivo per l’Europa.

Senza una politica comune, l’Europa non esiste né come comunità, né come spazio democratico, né tantomeno come federazione.

Storicamente, lingua, religione e storia hanno connotato le Nazioni. Difettando di questi elementi, l’Europa non è in grado di autolegittimarsi come nazione.

Tocqueville diceva, nella “Democrazia in America”, che per stare assieme una comunità di persone deve poter contare su un minimo di fattori di comunanza.

«Si ha una società – affermava – solo quando gli uomini considerano un gran numero di oggetti sotto lo stesso aspetto; quando essi hanno la stessa opinione riguardo a un gran numero di soggetti; quando gli stessi fatti fanno nascere in loro eguali impressioni ed eguali pensieri».

Per Habermas, allo stesso modo, ogni comunità democratica deve avere una sua integrazione, indispensabile «per il formarsi di una volontà politica comune e per la legittimazione dell’esercizio del potere».

Anche l’Europa può esistere soltanto se si tengono fermi alcuni fattori identitari, in adesione al principio di solidarietà .

La necessità di condividere alcune politiche in comune nasce talvolta dalla percezione degli stati di necessità in cui versano l’economia e la politica.

Sull’immigrazione l’Unione si gioca tutto, addirittura sotto il profilo identitario, nella necessità di coniugare aspettative di benessere e solidarietà, fattori identificativi dei valori dell’Occidente.

La prospettiva dell’inclusione non ha alternative.

Tuttavia, nella consapevolezza che le democrazie, in quanto sistemi ideologicamente aperti, sono anche vulnerabili, l’Europa richiede una strategia di attenzione.

La CEDU indica la strada.

L’imperativo categorico è il mantenimento dell’«ordine pubblico», inteso come difesa dei valori essenziali, identitari, della società democratica che, nei vari Stati, attribuiscono coesione ed efficacia alla comunità, nella realizzazione dei suoi ideali di civiltà.

 Per le forze politiche del Parlamento europeo non dovrebbe essere difficile il riconoscimento di un minimo comune denominatore per una prospettiva di soluzione condivisa.

Si tratta di temi non rinviabili per una comunità di popoli che vuol restare tale e intende consolidare le proprie conquiste di libertà.

 

Guido Guidi e Daniele Granara

Docenti di Diritto pubblico nell’Università “Carlo Bo” di Urbino

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