Obike si ritira dal mercato delle bici a flusso libero. E Roma resta senza bike sharing

 

Che il caos delle bici gialle non sarebbe durato a lungo lo si sapeva da tempo.

Fin dalla comparsa dei primi bike sharing a flusso libero a Roma, avevamo chiesto una regolamentazione per evitare che le biciclette venissero lasciate ovunque, costituendo un elemento di degrado in più.

Inoltre, la necessità di offrire un servizio stabile e sicuro era incompatibile con la volatilità di queste start-up che nascono come funghi e muoiono in fretta.

Anche Obike, la multinazionale di Singapore che era sbarcata a Roma nel dicembre del 2017, ha terminato la sua esperienza.

Entro poche settimane (probabilmente entro la fine di novembre) sparirà dal mercato italiano.

La casa madre aveva dichiarato fallimento nel mese di agosto e ne avevamo dato notizia sperando nel subentro di un nuovo investitore.

La consociata italiana, Obike Italia, aveva fondi a sufficienza per tirare avanti ancora alcuni mesi nell’attesa dell’ingresso nel capitale di un nuovo socio.

Voci insistenti parlavano di una società di Ravenna che avrebbe rilevato le attività di Obike Italia, ma l’accordo non si è trovato e anche per la società italiana si è arrivati al fallimento.

Il quotidiano La Stampa ipotizza che le biciclette gialle verranno rilevate da qualcuno che già opera nel settore del free floating e rimodernate prima di essere reimmesse sulle strade.

Ma al momento non ci sono conferme.

L’unico dato certo è che Roma resta di nuovo senza bike sharing, né quello tradizionale come esiste in tantissime città del mondo, né quello a flusso libero.

La prima a ritirarsi era stata Gobee bike, fuggita da tutta Europa per i troppi casi di vandalismo (molti dicono che l’Italia fosse in vetta a questa triste classifica).

Mobike, sebbene fosse stato il primo a sbarcare nel nostro Paese, ha sempre evitato il mercato romano, troppo soggetto a furti e danneggiamenti.

Mentre Ofo, altra multinazionale del settore, fin dall’inizio ha spiegato che avrebbe concentrato i suoi sforzi solo nelle città del nord (soprattutto Milano e Varese) stando alla larga dalla capitale.

Ora che anche Obike si ritira, Roma si conferma l’unica grande città europea a non disporre di un servizio di bike sharing. Il problema principale sta nella mancata attuazione della riforma della pubblicità esterna che la giunta Raggi ha affossato.

Nella precedente consiliatura, infatti, erano stati approvati un nuovo regolamento per la cartellonistica e un Piano Regolatore (Prip) che prevedevano il finanziamento di un bike sharing tradizionale in cambio di una quota di cartelloni pubblicitari.

In pratica, la ditta che si sarebbe aggiudicata un certo numero di impianti in esclusiva, avrebbe offerto gratuitamente alla città 250 stazioni di bike sharing.

Per attuare la riforma manca solo la predisposizione dei bandi di gara, ma il nuovo assessore alle Attività Produttive, Cafarotti, ha lasciato intendere che per il momento bandi non ne vuole fare.

Preferisce prima rivedere la riforma per un non meglio precisato “miglioramento” delle norme.

E’ come dire che la riforma non si farà più.

Purtroppo rappresenta un doppio danno per la città: Roma perderà importanti incassi che potrebbero derivare da una migliore gestione della cartellonistica pubblicitaria; perderà servizi quali il bike sharing e proseguirà a non avere decoro a causa di impianti di formati differenti, installati ovunque senza criterio.

Il bike sharing a flusso libero era una soluzione provvisoria ma non sufficiente.

Sia perché – come abbiamo visto – i gestori possono andarsene da un momento all’altro lasciando la città sguarnita.

Sia perché le bici parcheggiate ovunque hanno rappresentato un serio problema per il decoro e la viabilità.

Per evitare la sosta selvaggia sarebbe bastato delimitare alcune aree di parcheggio in ogni strada e far pagare di più l’utente che lasciava le bici fuori da quelle aree.

Il problema al momento si è risolto da solo, perché tra poco nessuna bici condivisa sarà più nelle strade di Roma.

Ma resta il tema generale della mobilità dolce da risolvere: se la giunta non prende in mano il processo e prova a guidarlo, finiremo come al solito ad essere gli ultimi tra gli ultimi.

(Articolo di Filippo Guardascione, pubblicato con questo titolo l’11 ottobre 2018 sul sito online “diario romano”)

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N.B. – Per un servizio di Bike Sharing a flusso libero si sono ufficialmente dichiarati favorevoli sia l’assessore Meleo che il consigliere Stefàno in occasione della 2° conferenza internazionale VeloCittà che si è tenuta il 16 novembre 2017.

Dal mese di settembre del 2017 VAS e Basta Cartelloni hanno proposto una integrazione del servizio di Bike Sharing previsto nella riforma dei cartelloni pubblicitari di Roma con il servizio di Bike Sharing a flusso libero, per mettere in atto la quale è sufficiente sostituire le 250 ciclostazioni programmate con parcheggi previsti con apposite strisce in numero anche maggiore di 2000, senza alcun bisogno di dotarli di rastrelliere, disincentivando così al massimo il parcheggio selvaggio delle bici: sotto questo aspetto la decisione presa dal solo Assessore Meleo di “costruire” 2.000 stalli appare una spesa del tutto inutile che poteva essere benissimo evitata progettando sulle stesse posizioni altrettante “stazioni” contrassegnate da apposite semplici strisce sul territorio.

Con Nota VAS prot. n. 14 del 27 settembre 2017 le associazioni VAS e Basta Carteloni hanno ufficializzato la proposta di una “Integrazione del servizio di Bike Sharing previsto nella riforma dei cartelloni pubblicitari di Roma con il servizio di Bike Sharing a flusso libero”, a cui non è stato a tutt’oggi risposto malgrado i ripetuti solleciti.

A questo punto il Comune dovrebbe prendere in serio esame la suddetta proposta se vuole veramente dotare la Capitale di un servizio di Bike Sharing sicuro e duraturo finalizzato soprattutto ad essere utilizzato come mezzo alternativo di trasporto per recarsi al lavoro.

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