Venezia, la tassa di ingresso per un centro storico a rischio

 

Venezia, patrimonio dell’umanità, ha rischiato e rischia di essere inclusa nei siti Unesco in pericolo, a causa principalmente dell’attraversamento della laguna e del centro storico da parte delle grandi navi da crociera, e del turismo non più sostenibile in rapporto alla popolazione residente.

Solo i negoziati del sindaco Luigi Brugnaro e i suoi incontri col direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, hanno per ora evitato il peggio.

Ma la città è ancora sotto osservazione, e l’ultimo rapporto inviato il 16 dicembre scorso dovrà essere valutato nella 43esima sessione del Comitato del patrimonio mondiale del 2019.

Anche da questo punto di vista va letto il comma 1129 della legge di Bilancio 2019, che istituisce un biglietto di ingresso alla città con la speranza di limitare gli escursionisti, i turisti mordi e fuggi che arrivano la mattina e ripartono la sera senza pernottare, e con lo scopo di incrementare le finanze comunali col gettito dagli accessi alla città.

Insomma, anche a livello nazionale, probabilmente sotto le sollecitazioni della componente leghista della maggioranza, si vuol dare a vedere che qualcosa si sta facendo per Venezia.

Il biglietto di ingresso non è altro che l’estensione del contributo di sbarco già applicato alle isole minori e previsto dal Collegato ambientale alla legge di Bilancio per il 2016, che destina il ricavato dalla tassa alla raccolta dei rifiuti ma anche a interventi in materia di turismo, cultura, polizia locale e mobilità.

Assimilando Venezia a un’isola, cosa discutibile da quando Venezia è collegata alla terraferma sia dalla ferrovia che dalla strada, la disposizione autorizza il Comune ad adottare nelle proprie politiche di bilancio, in alternativa all’imposta di soggiorno, un contributo di ingresso da 2,5 a 10 euro, portando nel contempo allo stesso massimo, prima 5 euro, anche l’imposta di soggiorno.

Il biglietto di ingresso era stato richiesto dal sindaco Brugnaro e dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia che ha sempre ribadito il suo carattere di obolo, ma niente vieta di portarlo nei momenti di grande afflusso al suo massimo.

Si stima che dovrebbe portare nelle casse del Comune circa 50 milioni di euro all’anno, una cifra interessante paragonata al gettito della tassa di soggiorno che è circa 30 milioni.

E l’aspetto finanziario sembra in effetti lo scopo principale della norma.

A parte i problemi tecnici della riscossione della nuova tassa, quello che viene messo in evidenza da parte di chi si batte contro il dilagare del turismo aggressivo, come l’associazione “Flussi turistici”, è che la norma non fissa un limite al numero dei turisti presenti, sperando che questi diminuiscano con l’aumento del prezzo del biglietto.

Flussi turistici” ha dal 2015 posto il problema del limite delle presenze, proponendo di controllare gli accessi all’area di Piazza S. Marco, considerata la meta più ambita dagli escursionisti.

L’accesso all’area dovrebbe costare 5 euro ed essere prenotabile sino ad un massimo di circa 65mila presenze giornaliere totali, in modo da scoraggiare l’arrivo di ulteriori turisti nei giorni in cui si raggiunge questo limite.

La proposta è discutibile in quanto chiude l’accesso ad un’area pubblica, ma ha il merito di porre il problema del limite.

Per ora il Comune si è limitato a monitorare il numero dei turisti presenti, e recentemente ha istituito degli accessi controllati nel piazzale della stazione e in altri snodi cruciali dei percorsi pedonali, con lo scopo di dirottarne il flusso verso altre direttrici meno affollate.

Il problema, come rilevano i rapporti dell’Unesco, è quello del turismo sostenibile, cioè i turisti compatibili con la popolazione residente che a Venezia è scesa a circa 56 mila abitanti dai 175mila che erano nel 1951, mentre le presenze turistiche sono stimate in 30 milioni l’anno (in media circa 80mila persone al giorno) delle quali circa 10 milioni di turisti che pernottano e il resto escursionisti.

Nel mentre gli appartamenti gestiti da Airbnb sono circa 8mila, raddoppiati tra il 2015 e il 2018.

Il problema principale, come in molti altri centri storici, è quello di tutelare la residenza pena la trasformazione in un parco a tema, ribattezzato in questo caso dai contestatori “Veniceland”.

Se una tassa di ingresso per gli escursionisti può essere utile soprattutto per fornire delle risorse al Comune, è molto lontana dal risolvere la situazione che richiederebbe un limite alle presenze turistiche e un controllo dell’utilizzazione degli immobili per l’affitto temporaneo; in altre parole una legge nazionale sul fenomeno degli Airbnb che regoli la quantità massima di giorni in cui gli appartamenti possono essere affittati, dopo di che si debbono assimilare i gestori ad una qualsiasi impresa, e la quantità massima in rapporto alla popolazione residente.

Questo, insieme al contenimento delle altre attività ricettive, sembra il modo principale per permettere alla residenza di rimanere o perlomeno di non estinguersi.

In mancanza di questi provvedimenti che il Governo sarebbe in grado di adottare non c’è da sperare che l’Unesco inserisca Venezia nei siti a rischio.

Forse un simile provvedimento, che avrebbe una portata mondiale, potrebbe svegliare chi ci governa inducendoli a tutelare i siti storici sottoposti al turismo più aggressivo.

 

(Articolo di Ferdinando Semboloni, pubblicato con questo titolo l’8 gennaio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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