Shutdown di Trump: danni per 11 miliardi di dollari all’ambiente. Parchi invasi dai vandali

 

Lo shutdown imposto da Donald Trump per far passare (senza per ora riuscirvi) il sì al muro di frontiera col Messico, che ha bloccato per 35 giorni l’amministrazione pubblica federale Usa, secondo il Congressional Budget Office  ha provocato ai Parchi Nazionali e alle altre aree protette federali danni per 11 miliardi di dollari e per 3 miliardi si tratta di danni irreparabili.

L’Alaska e gli Stati della Costa est Usa hanno smesso di realizzare le opere per prepararsi alla prossima stagione degli incendi; i processi riguardanti le comunità colpite da inquinamento da piombo sono stati sospesi; nella North Carolina i pagamenti dei risarcimenti alle persone colpite dagli uragani Mitchel e Florence non sono arrivati e non sono stati effettuati i test per l’inquinamento da sostanze chimiche della di Chemours (GenX) scaricate nel Lower Fear River;  si è bloccato anche il monitoraggio delle fioriture algali nell’acqua potabile del Midwest; In Alabama è stata sospesa la bonifica del Superfund; addirittura le case automobilistiche si sono lamentate perché lo shutdown ha impedito all’Environmental protection agency di certificare che i nuovi veicoli soddisfano gli standard federali sulle emissioni prima che possano essere venduti.

Ma la cosa più grave è successa nei Parchi Nazionali e nelle altre aree protette federali: appena gli impiegati statali e i ranger hanno dovuto smettere di lavorare, vere e proprie orde di barbari si sono impossessate di aree nelle quali si entra a pagamento e dove vengono fatte rispettare le regole.

Il caso più grave si è verificato probabilmente al Joshua Tree National Park, nel deserto del Mojave, nel sud della California, dove i vandali si sono accaniti contro i Joshua tree (Yucca brevifolia Engelm), chiamati anche Palme Yucca o izote de desierto, una pianta appartenente al genere Yucca della famiglia delle Agavacee.

Un ex sovrintendente del parco ha detto che ci vorranno secoli perché possano ricrescere alcune di queste rare piante.

A differenza dei precedenti shutdown, i parchi nazionali sono rimasti aperti  con pochissimo personale non essenziale. 

Per gli 8 ranger del Joshua Tree National Park  era impossibile sorvegliare completamente un’area protetta di oltre 3.000  km2 con 30 ingressi diversi.

Durante un mese di apertura con personale del  National Park Service ridotto all’osso, molti parchi e monumenti nazionali sono stati esposti (forse volutamente, a un’invasione di visitatori senza controllo e questo ha significato bidoni della spazzatura traboccanti, gabinetti sporchi o guasti e solo una manciata di ranger forestali in servizio per far rispettare le regole.

Il recupero del Joshua Tree National Park e degli alberi che gli danno il nome – che vivono in media fino a 150 anni (ma ci sarebbe almeno un esemplare millenario nella Queen Valley) – potrebbe richiedere fino a 300 anni.

L’ex ranger di Joshua Tree John Lauretig, che ora è a capo dei Friends of Joshua Tree, ha detto al New York Times che «alcune persone hanno colto l’occasione per ignorare le regole. 

Hanno utilizzato veicoli fuoristrada in aree sensibili, si sono accampati illegalmente in tutto il parco e hanno persino abbattuti alcuni alberi di Joshua», per i quali attualmente l’Iucn sta prendendo in considerazione l’inclusione tra le specie in via di estinzione.  

Infatti, Il parco vandalizzato potrebbe non avere a disposizione centinaia di anni per poter recuperare le Palme Yucca che sono state abbattute: secondo recenti studi, entro la fine di questo secolo, il cambiamento climatico renderà la maggior parte del Joshua Tree National Park invivibile per gli “alberi” che gli danno il nome.

Il 27 febbraio c’è stata la manifestazione “Shutdown the Shutdown for Joshua Tree National Park” che originariamente era stata organizzata per chiedere la fine dello o originariamente organizzato per chiedere la fine dello shutdown  federale che Trump aveva dichiarato (momentaneamente) concluso il giorno prima e il meeting si è trasformato in un’iniziati va per parlare degli impatti a breve e lungo termine che lo shutdown  ha avuto sul sensibilissimo parco sensibile.

L’ex sovrintendente del Joshua Tree National Park, Curt Sauer. Ha detto: «Quello che è successo al nostro parco negli ultimi 34 giorni è irreparabile per i prossimi 200-300 anni».

Valutare i danni subiti dai longevi Joshua Tree è una priorità assoluta. 

Ma in realtà non si tratta di alberi ma di yucche  per le quali è difficile determinare l’età perché non hanno anelli della crescita e l’età viene valutata in base all’altezza.

Ma c’è un altro problema: durante gli anni di siccità possono crescere di mezzo pollice o per nulla, mentre negli anni piovosi possono aumentare di diversi pollici.

Secondo Lauretig, «a causare questi problemi sono stati solo alcuni vandali o persone che hanno agito per ignoranza. Speriamo che non ci sia stata malizia. Forse non li hanno visti [i Joshua Tree]».

Ma probabilmente pecca di ottimismo: dopo l’inizio dello shutdown  federale, un gruppo di volontari ha fatto il possibile per raccogliere rifiuti, pulire i bagni e tenere d’occhio il parco, ma non è servito. 

L’8 gennaio, circa due settimane dopo lo shutdown, il parco è stato travolto e il sovrintendente del Joshua Tree National Park, David Smith, ne ha annunciato la completa chiusura per proteggere le sue risorse naturali.

Smith ha denunciato che «ci sono circa una dozzina di casi di intenso traffico di veicoli fuori dalle strade e in alcuni casi in zone selvagge. 

Abbiamo due nuove strade che sono state create all’interno del parco. 

Abbiamo avuto la distruzione di proprietà governative  con il taglio di catene e lucchetti per consentire alle persone di accedere ai campeggi. 

Non abbiamo mai visto questo livello di campeggio fuorilegge. 

Ogni giorno l’area di utilizzo veniva occupata ogni sera … i Joshua Tree  sono stati davvero abbattuti per fare nuove strade».

Ma alla fine, forse per un intervento da Washington, il Parco è rimasto parzialmente aperto e quando il 28 gennaio è stato riaperto completamente i lavoratori del Parco si sono trovati di fronte a uno scenario di distruzione.

Uno scenario che i difensori del parco temono possa ripetersi a metà febbraio, quando scade la risoluzione di tre settimane che ha messo fine allo shutdown.

Quello di cui hanno più paura ambientalisti e ranger è che un ciclo di shutdown del governo  federale possa incidere sulle risorse del parco e sulle aziende che gestiscono il turismo organizzato del parco.

Alla manifestazione per il parco Lauretig  ha detto: «La comunità locale è stufa che i nostri parchi che siano  tenuti in ostaggio e il fatto che sia stato aperto parzialmente non è buono per il parco, non è buono per il pubblico e non è buono per la comunità locale.

Se il governo non finanzia o gestisce i parchi in modo appropriato, allora dovrebbe semplicemente chiudere i parchi per proteggere i parchi e proteggere le persone».

Mentre Trump lasciava che i vandali invadessero i Parchi, non ha smesso nemmeno per un minuto di concedere permessi per la trivellazione di petrolio e gas e per estendere la possibilità di estrarre petrolio nell’Artico.

Lena Moffitt, direttrice della campagna Our Wild America di Sierra Club, conclude: «Lo shutdown  di Trump è stato temporaneo ma il suo danno – come il danno che Trump sta minacciando di fare costruendo più muri di confine – è duraturo.

Ci vorranno secoli per riprendersi dai danni ai nostri parchi nazionali, i risparmi impoveriti dai mancati stipendi richiederanno anni per riprendersi e le sostanze tossiche rilasciate e non bonificate nei siti Superfund continua a danneggiare le comunità. 

Trump non ha problemi a mettere in pericolo le famiglie americane e i nostri luoghi selvaggi lungo il suo muro di confine, ma farà tutte le eccezioni possibili perché le cose vadano bene per i suoi grandi elettori: gli inquinatori delle corporation».

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 1 febbraio 2019 sul sito online “greenreport.it”)

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