La sfida della sostenibilità: il ruolo delle Istituzioni e la spesa infrastrutturale sostenibile – SECONDA PARTE

 

Maria Rita Pierleoni

Dottore di ricerca in Teoria Economica e Istituzioni. Presidenza del Consiglio dei Ministri

2. La sostenibilità e l’idea di sviluppo sostenibile: il ruolo delle Istituzioni e delle politiche pubbliche (SEGUE)

Il percorso evolutivo del concetto di sviluppo sostenibile contenuto nei più importanti documenti di policy elaborati a livello globale dai Paesi e a livello comunitario, dovrebbe “essere in linea” anche con i progressi in ambito scientifico.

La rilevanza di questa unione di intenti è riconosciuta dalle Istituzioni; in particolare nel documento di riflessione della CE del 2019 viene riportato che per un effettiva transizione verso sistemi sostenibili “l’UE e gli Stati membri devono assumere un ruolo guida nel campo della scienza, della tecnologia e delle infrastrutture moderne”.

Tuttavia al riguardo gli studiosi non mostrano un consenso unanime.

Per esempio Saito et al (2017) e Sonetti et al (2019) sottolineano il contributo essenziale che la scienza della sostenibilità potrebbe ancora offrire per migliorare gli SDGs e le loro interconnessioni e, quindi, le politiche sullo sviluppo sostenibile.

Altri invece come Heine e Hirvilammi (2015) affermano che una reale transizione verso la sostenibilità non è ancora cominciata perché l’obiettivo ultimo dello sviluppo sostenibile, ossia il benessere dell’umanità, è stato interpretato esclusivamente in termini economici.

Bologna (2017) afferma che la sostenibilità potrà essere realmente possibile solo con l’applicazione dello spazio sicuro ed operativo per l’umanità (Safe and Operating Space) integrato dall’economia circolare.

Valera (2012) considera come principale problematica quella della sostanziale assimilazione del concetto di sostenibilità con quello di sviluppo sostenibile.

Costanza e Giovannini (2016), partendo dal presupposto che gli SDG sono tra loro interconnessi, sostengono che questi mancano di un obiettivo generale, di una scala di priorità e di un indice aggregato di progresso efficace verso quell’obiettivo.

C’è da notare poi una debolezza di tipo pratico che caratterizza in particolare alcuni accordi e obiettivi in ambito internazionale: essi sono scarsamente coercitivi.

Si tratta di norme non vincolanti (soft law) e pertanto non produttrici di obblighi giuridici e/o di politiche pubbliche, seppur fondamentali in materia ambientale.

In questo ambito però gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) rappresentano un’eccezione in quanto come strumento di governance globale della sostenibilità sono stati creati attraverso un processo di deliberazione partecipativa secondo un nuovo approccio che è stato definito governance attraverso gli obiettivi (Kanie e Biermann 2017).

Nonostante alcune perplessità l’Agenda 2030 con i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile e l’Accordo di Parigi per i cambiamenti climatici, sono strumenti fondamentali per imboccare un sentiero giusto per il futuro dell’umanità (Bologna, 2017).

La rilevanza di questi Programmi di azione è riconosciuta anche in ambito comunitario.

Le Istituzioni comunitarie hanno evidenziato che per raggiungere lo sviluppo sostenibile non è sufficiente un ordine di grandezza europeo ma servono linee di azione globali condivise da tutti i Paesi.

L’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi si contraddistinguono per aver attribuito un ruolo centrale e prioritario agli investimenti infrastrutturali sostenibili (Bhattacharya et al 2016; Bhattacharya et al 2015; Commissione Europea 2019; Nazioni Unite 2019; The Economist Intelligence Unit Limited 2019; Global Commission on The Economy and Climate, 2014).

In un recente report la IDB (2018) rileva che circa il 70% dei 169 target degli SDGs supportano direttamente gli investimenti in infrastrutture sostenibili.

In tale ambito il settore pubblico nella sua accezione più ampia riveste due ruoli importanti.

Il primo riguarda il ruolo di policy makers per mezzo del quale definisce la politica economica ed in particolare quella fiscale.

La “portata” della spesa pubblica per gli investimenti infrastrutturali potrebbe essere considerevole e da qui le scelte sulle tipologie di infrastrutture da implementare diventa cruciale.

Gli investimenti pubblici in alcuni settori – come quello dei trasporti e di gestione delle risorse idriche – rappresentano la componente predominante della spesa infrastrutturale complessiva[1] (Bhattacharya et al 2016). 

Per il passaggio a sistemi sostenibili sono necessari anche investimenti nel settore della gestione e smaltimento dei rifiuti, nel settore della mobilità soprattutto nelle grandi città e nel settore delle fonti rinnovabili favorendo la produzione di energia a basse emissioni.

Il secondo concerne il ruolo che lo Stato, in tutti i suoi livelli e laddove legittimato, esercita per la messa a punto del percorso ottimale da seguire verso sistemi sostenibili, attraverso la definizione di strategie, piani e programmi efficaci e di un quadro regolatorio chiaro e favorevole anche agli investitori privati per i quali i costi della transizione potrebbero essere elevati.

Questo tipo di ruolo presuppone un’adeguata capacità istituzionale e programmatoria del settore pubblico secondo un nuovo modello di sviluppo economico che segue i principi della sostenibilità, rafforzando per esempio strumenti come quello del partenariato pubblico privato.

Il passaggio quindi a sistemi sostenibili per il settore pubblico vuol dire l’attuazione di una trasformazione prima interna allo stesso, che presuppone l’acquisizione di nuove competenze e professionalità, e poi esterna che riguarda la società nel suo complesso (Bhattacharya et al 2016).

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[1] Nei Paesi avanzati la composizione settoriale della spesa infrastrutturale complessiva nel periodo 2010-2012 è stata la seguente: infrastrutture di trasporto 40%; infrastrutture idriche (19%); infrastrutture nel settore dell’energia (24%) e infrastrutture per le telecomunicazioni (21%). A livello mondiale la spesa infrastrutturale è destinata maggiormente al settore trasporti (40%) e a seguire a quello dell’energia (30%) (Bhattacharya et al 2016). 

3. Le politiche pro sostenibilità: il ruolo degli investimenti in infrastrutture sostenibili

Esiste una vasta letteratura economica che argomenta gli effetti positivi della spesa infrastrutturale sulla crescita economica (Aschauer 1989; Kamps, 2005 e 2006; Erenburg e Wohar, 1995; Aschauer 2000; Hulten and Schwab 2000; Torvik 2001; Romp e de Haan, 2005; Agenor 2012; IMF 2014 e 2015; Calderon e Serven 2014, e World Bank 2016).

In particolare, la letteratura ha individuato tre tipologie di effetti positivi.

Il primo è l’effetto di breve termine che si realizza durante il periodo di costruzione degli investimenti pubblici (il c.d. effetto moltiplicatore).

Il secondo è l’effetto di lungo termine e si realizza durante il periodo di regime ossia quando la spesa per investimenti si trasforma in formazione di capitale produttivo e grazie al ruolo del governo in un aumento della capacità produttiva delle infrastrutture o di altri beni pubblici messi in funzione e da ultimo ad un conseguente aumento della produttività.

Il terzo effetto, anch’esso di natura moltiplicativa, è il cosiddetto crowding in, che scaturisce dal fatto che gli imprenditori privati, in presenza di buone infrastrutture, espandono a loro volta i loro investimenti determinando ulteriori effetti positivi (spillover) sia sulla domanda che sull’offerta.

Come discusso da Bhattacharya et al (2016) le infrastrutture sostenibili producono effetti positivi aggiuntivi.

Per infrastrutture sostenibili si intendono quelle che sono sostenibili da un punto di vista economico, ambientale e sociale.

Da un punto di vista economico, l’infrastruttura è sostenibile se: i) ha un impatto positivo sul PIL pro capite e sui risultati di lavoro e ii) non sovraccarica i governi con un debito che non possono rimborsare, o gli utenti finali.

Da un punto di vista ambientale le infrastrutture sostenibili sono quelle che consentono una transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio e risultano resilienti ai cambiamenti climatici.

In termini sociali l’infrastruttura sostenibile è inclusiva e rispetta i diritti umani.

È importante tenere presente che uno sviluppo infrastrutturale socialmente sostenibile richiede uno sviluppo istituzionale adeguato.

Questa tipologia di investimenti aiuta a creare nuove attività economiche e quindi percorsi di crescita alternativi che derivano da collegamenti ex-novo tra i settori e sono la conseguenza di effetti di scala e di rete prodotti da queste interconnessioni.

In altre parole, le infrastrutture sostenibili creano interconnessioni a livello di sistema che consentono economie di scala e riducono i costi di transazione.

Ad esempio, le reti infrastrutturali integrate – come quelle di trasporto, energetiche e di telecomunicazioni – favorendo l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali riducono in modo significativo i costi commerciali, aumentano l’accesso a nuovi mercati e favoriscono la creazione di nuove opportunità in altri settori dell’economia.

A sua volta, l’accesso a nuovi mercati può introdurre pratiche di gestione più efficienti, migliorare i flussi di informazioni tra le parti interessate, ottimizzare la conoscenza della produzione e contribuire a garantire i diritti di proprietà.

Il risultato finale che si ottiene è un’allocazione delle risorse più efficiente (Bhattacharya et al 2016).

Oltre a questo i beni infrastrutturali sostenibili possono aiutare ad affrontare i cambiamenti climatici e le calamità naturali, ridurre le emissioni di gas serra e la contaminazione e gestire il capitale naturale.

Questo tipo di effetti positivi si produce perché le infrastrutture sostenibili resistono a situazioni di crisi e più in generale possono adeguarsi ai cambiamenti.

Tale caratteristica c.d. resilienza consente, quindi, di salvaguardare i processi di sviluppo perché preserva i tre pilastri della sostenibilità: ambientale, economica e sociale (The Economist Intelligence Unit Limited 2019).

Nonostante queste caratteristiche il quadro che emerge dalle informazioni disponibili sulle ultime tre decadi indica una diminuzione dello stock di capitale pubblico – in gran parte rappresentato dalle infrastrutture – come percentuale del PIL (IMF, 2014).

 

Bibliografia essenziale

Aschauer D.A., 1989. Is Public Expenditure Productive?. Journal of Monetary Economics 23(2), pp 177–200.

Bhattacharya A., Meltzer J.P., Oppenheim J., Qureshi Z. e Stern L.N., 2016. Delivering on Sustainable Infrastructure for Better Development and Better Climate. Global Economy and Development, Brookings.

Bhattacharya A., Oppenheim J. e Stern L.N., 2015. Driving Sustainable Development Through Better Infrastructure: Key Elements of a Transformation Program. Global Economy and Development, WP 91, Brookings.

International Monetary Fund, 2014. Is It Time for an Infrastructure Push? The Macroeconomic Effects of Public Investment. World Economic Outlook, Legacies, Clouds, incertainties, Ch 3: 75-114, ed. by Abdul Abiad and others, October 2014.

International Monetary Fund, 2015. Making Public Investment More Efficient. International Monetary Fund Washington, D.C.

Kamps C., 2005. The Dynamic Effects of Public Capital: VAR Evidence for 22 OECD Countries. International Tax and Public Finance 12(4), pp 533–558.

Kamps C., 2006. New Estimates of Government Net Capital Stocks for 22 OECD Countries 1960-2001. IMF Staff Papers 53, pp 120-150.

The Economist, Intelligence Unit, 2019. The critical role of infrastructure for the Sustainable Development Goals. The Economist Intelligence Unit Limited 2019

The Global Commission on The Economy and Climate, 2014. Better Growth, Better Climate: The New Climate Economy Report. http://newclimateeconomy.report

United Nations, Economic and Social Council, 2019. Special edition: progress towards the Sustainable Development Goals. Report.

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N.B. – Domani la terza ed ultima parte

 

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