Vi hanno fottuto ancora: il bike sharing JUMP di Uber NON è un bike sharing

 

Lo ammettiamo, non siete voi gli unici colpevoli.

Certo, voi in quanto cittadini siete particolarmente impreparati (e questo è sempre un male, oltre che un rischio), ma i giornali ci mettono la loro.

Con titolo da autentico raggiro tipo “bike sharing, il Comune ci riprova“.

E le tv non sono da meno.

Ma per darvi una informazione indipendente e un briciolo più approfondita per fortuna ci siamo noialtri!
Parliamo di biciclette.

Il servizio appena presentato dal Comune e assegnato ad Uber (che quando devi difendere le lobbies che ti portano voti è una temibile multinazionale da scacciare fuori dalla porta, quando invece devi tagliare un nastro diventa un partner per le photo opportunity che vedete in questa pagina) non è un bike sharing come tutti stanno dicendo.

Non ha nulla a che spartire con gli schemi di bike sharing presenti in tutta Europa e non solo da ormai una dozzina di anni. 

Jump di Uber è infatti un mero servizio di noleggio biciclette.

Anche molto caro e, per le caratteristiche che ha, anche piuttosto in concorrenza sleale con i servizi di noleggio bici presenti storicamente in città.

La prima sua caratteristica è, quindi, fare concorrenza sleale ad operatori e imprenditori già sul mercato.

Ma questo è il meno.

La cosa triste è che questo noleggio bici a differenza di altri noleggi bici è spacciato da bike sharing pur non essendolo e inaugurato come tale.

Il bike sharing infatti, servizio di mobilità integrata che ha rappresentato una svolta nell’ultima decade per la mobilità di città come Barcellona, Londra, Parigi, New York, Milano ha delle caratteristiche che non si possono contrabbandare:

1. numero elevatissimo di bici e di stazioni – Jump non ha queste caratteristiche: poche bici posizionate in zone pubblicitarie tipo Colosseo e Fori, alla maniera grillina di fare le cose. 

2. tariffazione impostata per incentivare la condivisione dunque a salire nel tempo con la prima mezz’ora gratuita – Jump ha normalissime tariffe da noleggio bici e neppure la possibilità di abbonamento mensile o annuale come altri servizi di bike sharing a flusso libero tipo Mobike o la vecchia OFO.

3. integrazione tariffaria e operativa con altri servizi di trasporto pesante– Jump non lo prendi di certo con la tessera Atac ed è completamente slegato dalle altre tariffazioni da tpl urbano. 

Insomma mentre qui il prodotto costa una fortuna erogando un servizio pessimo, se vuoi usare per mezz’ora (percorso casa lavoro) l’eccellente bike sharing a Milano, la tua spesa sarà pari a zero euro perché il bike sharing è fatto proprio per quello: rispondere alla tua domanda di mobilità e di spostamento da ultimo miglioin maniera rapida ed economica in modo tale che tu utilizzi il mezzo per breve tempo poi rimettendolo in condivisione per altri.

Inoltre a Milano il tuo abbonamento al servizio sarà caricato sulla stessa card dell’abbonamento ATM ai mezzi pubblici e anche la app sarà la medesima.

Il tutto pagato non da te, che avrai appunto un eccellente servizio gratis, ma dalle società di pubblicità esterna e cartellonistica che sono state coinvolte per fare questo servizio: hai spazi pubblicitari da vendere solo se mi dai indietro un servizio.

Un ragionamento che a Roma è impensabile visto il legame malato tra ditte pubblicitarie e amministratori. 

A Roma una buona parte di società di cartellonistica sono ditte losche e mafioseggianti.

Il Comune è da sempre loro alleato e pur di non torcere un capello a questo malaffare il progetto di bike sharing moderno che aveva impostato Marino (l’unico a contrastare realmente i cartellonari assieme all’assessore Marta Leonori) è stato accantonato in maniera vergognosa e criminale.

Al suo posto finti bike sharing come quello di Uber che non rispondono a nessuna reale esigenza urbana di mobilità salvo quella di qualche turista che – evitandosi il nolo da un negozio e semplicemente scaricando un’app – vuole godersi un’oretta di bici in città nei pochi giorni medi di soggiorno a Roma.

Risultato di questa connivenza tra le ditte pubblicitarie e il Comune?

A Milano 30 minuti di bike sharing costano all’utente ZERO EURO, a Roma 30 minuti di bike sharing costano all’utente SEI EURO E MEZZO.

Se lo usi per andare a lavoro sono 13 euro al giorno, su 20 giorni lavorativi 260 euro al mese: risparmi col taxi!

La storia di Roma moderna condensata in un guscio di noce, eccola qui.

Le tariffe sono assurde: un noleggio bici che costa praticamente come le auto di Enjoy e Car2Go.

E’ una roba surreale, non ci sono altri aggettivi.

Ma qualcuno potrebbe dire: a Milano mica sono a pedalata assistita.

Falso!

Il BikeMi meneghino ha da tempo un servizio a pedalata assistita, oltre 1100 biciclette, alcune delle quali addirittura dotate di seggiolino per portare i bambini…

Solo che lì, a Milano, il servizio a pedalata assistita – che in quel caso bisogna ammetterlo non è gratuito come quello tradizionale – costa la bellezza di 0,25 euro alla mezzora; contro i 6,50 euro di Roma. 26 volte tanto…

Ma qualcuno potrebbe dire: eh ma JUMP sta in molte altre città del mondo come Londra o Parigi.

Già, verissimo.

Peccato che lì sia un servizio che viene offerto “in aggiunta” rispetto allo schema di bike sharing pesante esistente.

Un servizio più evoluto di nolo bici che permette di lasciare la bici dove si vuole (prescindendo dalle stazioni) e di avere un servizio a pedalata assistita pagando di più.

Per chi vuole quel servizio, c’è.

Ma per tutti gli altri che utilizzano DAVVERO la bicicletta per spostarsi, andare a scuola, a lavoro, a fare commissioni c’è il bike sharing quello vero.

Ma qualcuno potrebbe dire: si tratta di un servizio privato (vero!), Uber ci deve guadagnare (vero!), cosa poteva fare il Comune?

Sempre meglio di niente no!?

Fermo restando che con la mentalità del “meglio di niente” ci siamo ritrovati a vivere nella città più raccapricciante dell’occidente, arrivata ad un punto di non ritorno sotto molteplici punti di vista, ma a parte questo il Comune poteva fare eccome.

Questo servizio esiste perché la società ha risposto ad un bando pubblico – pubblicato dal Comune -, l’ennesimo bando pubblico fatto coi piedi visto che il bando avrebbe potuto dare chiare indicazioni sulla tariffazione e non lo ha fatto lasciando libera la società vincitrice di attuare le tariffe che voleva e, di fatto, di cucire un servizio attorno alle esigenze di tutti fuorché dei cittadini romani. 
Però i grillini possono fare l’inaugurazione e i loro seguaci a Udine o a Trapani pensano che hanno fatto un’altra cosa buona per Roma dopo le macchinette mangia plastica (sic!) mentre hanno soltanto contribuito ad affossarla.

E le inaugurazioni servono ad insabbiare, a confondere le acque, a renderle torbide.

In questo caso servono a non parlare più della faccenda dei cartelloni, una delle mille faccende in cui il Movimento 5 Stelle si è inginocchiato al malaffare più ignobile.

A tutti gli utenti invitiamo massima attenzione nell’utilizzo del servizio: in un amen ti prosciuga la carta di credito.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 21 ottobre 2019 sul blog “ROMA FA SCHIFO”)

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