La carbon tax, ovvero una tassa sui prodotti energetici il cui consumo comporta l’emissione di biossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera, è ancora un grande tabù per il sistema fiscale italiano: nonostante una tassa di questo tipo sia già presente in 56 Stati al mondo di cui 10 europei, il nostro Paese è sempre rimasto finora impermeabile alle crescenti proposte di introdurla (avanzate ormai anche dai sindacati Cgil, Cisl e Uil) come prezioso strumento di lotta ai cambiamenti climatici. I contrari all’ipotesi sventolano lo spauracchio delle ricadute economiche, che attraverso importanti rincari dei prodotti energetici colpirebbero pesantemente i cittadini e alcune categorie economiche, ignorando al contempo i benefici – non solo ambientali – legati alla carbon tax. Le cose stanno davvero così? L’analisi appena prodotta dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani aiuta non poco a fare chiarezza sul tema. Mettendo in fila i più recenti studi prodotti dal Fondo monetario internazionale (Fmi) in merito alla carbon tax, l’Osservatorio sottolinea innanzitutto che i combustibili fossili continuano a essere sussidiati più che tassati: si parla di 5.200 miliardi di dollari al 2017, che si stima siano cresciuti negli ultimi due anni fino ad arrivare a 8.100 miliardi di dollari, erogati per quasi il 50% dalla Cina in sovvenzioni all’industria del carbone. A seguire troviamo Stati Uniti, Russia e India mentre «l’Italia si conferma, tra i paesi avanzati, quello più in linea con la tassazione ottimale: i tax subsidy per elettricità, benzina e gasolio sono infatti nulli, mentre sono positivi ma contenuti quelli per carbone e gas». Occorre però sottolineare che, all’atto pratico, questo significa comunque che secondo il Fmi l’Italia destina ogni anno agevolazioni fiscali per 4,99 miliardi di dollari al carbone e per 11,29 miliardi di dollari al gas, per un totale di 16,28 miliardi di dollari l’anno (per il ministero dell’Ambiente italiano i sussidi ambientalmente dannosi garantiti […]
Archivi Giornalieri: 23 Novembre 2019
La discarica di Colleferro chiusa dalla magistratura nell’ambito dell’indagine sulla morte di un operaio, il TMB di Aprilia che tratta 4mila tonnellate di rifiuti provenienti dalla Capitale che di conseguenza, senza lo sbocco degli scarti del trattamento tal quale, serra temporaneamente i cancelli ad Ama. Per Roma l’ennesima crisi dei rifiuti è dietro l’angolo. A Roma è emergenza rifiuti: senza impianti e senza piani La città, senza impianti per smaltire e senza piani che possano far pensare ad una via d’uscita, rischia di ritrovarsi ancora una volta sommersa dall’immondizia. L’arrivo del Natale, con i picchi massimi di produzione dei rifiuti, non aiuta e nemmeno l’imminente definitiva chiusura della discarica di Colleferro che cesserà le proprie attività il 6 gennaio 2020. Chiude Colleferro: Roma resta senza discarica Per la Capitale nessuna alternativa. C’è l’ok solo all’impianto di compostaggio di Casal Selce, ma Comune ad Ama non hanno ancora individuato un sito in cui conferire i rifiuti di Roma: la città resta così sospesa tra inerzia e inconcludenza. Crisi dei rifiuti, il ministro Costa: “Non si può commissariare” Nemmeno il commissariamento sembra una strada percorribile. “La legge non me lo consente” – ha detto il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, a margine di un convegno in Senato, in merito alla possibilità di commissariare la gestione dei rifiuti a Roma anche alla luce dei contrasti tra Campidoglio e Regione Lazio sull’individuazione di nuove aree di smaltimento. “Il ministro dell’Ambiente non ha competenze in questo ambito, bisogna chiarire questo, lo dice la legge non è che io mi sto tirando fuori. Da quando sono ministro, da 18 mesi, io sto facendo il facilitatore tra il governatore, la sindaca e gli staff tecnici, ma non è il ruolo di chi dice non vi parlate allora vi aiuto io a dialogare ma quello di chi aiuta a trovare le mediazioni tecniche utili. Abbiamo finalmente il piano regionale rifiuti ora – ha […]
SYDNEY – Un’immensa cappa di fumo copre chilometri di territorio nelle regioni orientali in New South Wales e nel Queensland. Le comunità hanno deciso di contribuire alla campagna per soccorrere ed assistere le centinaia di koala ustionati e dislocati dagli incendi. I contributi alla campagna GoFundMe raccolti dal Koala Hospital di Port Macquarie a nord di Sydney hanno raggiunto 1,1 milioni di dollari (680 mila euro) e sono diretti all’acquisto e installazione di punti di abbeveramento in regioni devastate dal fuoco, e in seguito alla ricostituzione di habitat sicuri. Oltre 350 koala sono dati per morti, dopo che gli incendi hanno distrutto migliaia di ettari dei loro habitat nel nord del New South Wales e nel sudest del Queensland. Il Koala Hospital di Port Macquarie ha finora in cura 31 koala recuperati in diverse località, che vengono reidratati, mentre le ustioni vengono trattate con creme e fasciature. “Questi animali sono estremamente stressati e li dobbiamo sedare per poterli medicare, perché vogliono mordere e attaccarci. Per la nostra sicurezza e per il loro bene, devono essere sedati“, ha detto Christeen McLeod di Koalas in Care, un servizio di salvataggio di koala feriti. Una massa di aria calda ha attraversato vaste aree del continente con effetti catastrofici e ha raggiunto il Victoria e il South Australia, segnando nuovi record di temperature, alimentando le fiamme e diffondendo fumo e polvere con venti pre-ciclonici. La massa di aria calda che ha rafforzato gli incendi in New South Wales e Queensland ha incenerito numerose proprietà in South Australia e ha raggiunto il Victoria, dove si sono registrate le temperature più alte dal 1894. Sydney è ricoperta da giorni da una coltre di fumo che ha causato una punta di presenze in pronto soccorso con problemi respiratori, ed è stata sostituita oggi da una foschia […]