Per la Corte Costituzionale i piani di assetto dei parchi e delle riserve regionali del Lazio possono essere approvati anche per silenzio-assenso

 

Il 4° comma dell’art. 26 della legge regionale n. 29/1997 disponeva testualmente: «Il piano adottato ai sensi dei commi precedenti è depositato per quaranta giorni presso le sedi degli enti locali interessati e della Regione.

L’ente di gestione provvede, con apposito avviso da pubblicare su un quotidiano a diffusione regionale, a dare notizia dell’avvenuto deposito e del relativo periodo.

Durante questo periodo chiunque può prenderne visione e presentare osservazioni scritte all’ente di gestione, il quale esprime il proprio parere entro i successivi trenta giorni e trasmette il parere e le osservazioni alla Giunta regionale.

Entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale, previo esame congiunto della struttura regionale competente in materia di aree naturali protette e della sezione prima del CTCR, propone al Consiglio regionale, l’approvazione del piano, apportando eventuali modifiche ed integrazioni e pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute».

Con l’art. 5, comma 1, lettera g), numero 2), della legge regionale n. 7 del 22 ottobre 2018 è stato modificato il 4° ed ultimo periodo nel seguente modo: «Entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale, previo esame, da effettuarsi entro il limite di tre anni, della struttura regionale competente in materia di aree naturali protette, apporta eventuali modifiche ed integrazioni, pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute e ne propone al Consiglio regionale l’approvazione.

Trascorsi tre mesi dall’assegnazione della proposta di piano alla commissione consiliare competente, la proposta è iscritta all’ordine del giorno dell’Aula ai sensi dell’articolo 63, comma 3, del regolamento dei lavori del Consiglio regionale.

Il Consiglio regionale si esprime sulla proposta di piano entro i successivi centoventi giorni, decorsi i quali il piano si intende approvato.»

Con nota prot. n. 15 Pres/2018 del 13 novembre 2018 l’associazione VAS ha chiesto al Governo di impugnare la suddetta disposizione presso la Corte Costituzionale per i seguenti motivi (allegati alla nota).

Sul piano tecnico-giuridico si fa presente che l’istituto del silenzio-assenso per l’approvazione tacita di qualunque tipo di pianificazione non è previsto dalla normativa vigente in materia, vale a dire dall’art. 17-bis della legge n. 241/1990, che è relativo al «Silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici» e che è stato introdotto dalla cosiddetta “legge Madia” n. 127/2015, dal momento che si applica a livello endoprocedimentale solo per «l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche», per cui – come specificato ancor più espressamente dal 1° comma dell’art. 13 della stessa legge n. 241/1990 – «le disposizioni contenute nel presente capo [tra cui rientra anche l’art. 17 bis] non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti … di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.»

Per il caso specifico non risulta essere stata rispettata, anche e soprattutto sul piano “politico”, la “imparzialità” sancita dall’art. 97 della Costituzione perché un emendamento del genere arriva in totale eccesso di potere ad esautorare di fatto la stessa sovranità del Consiglio Regionale, in violazione della lettera g) del 2° comma dell’art. 23 dello stesso Statuto della Regione Lazio, ai sensi della quale fra le funzioni al Consiglio c’è quella di «deliberare, su proposta della Giunta, il piano territoriale generale dell’uso e dell’assetto del territorio ed i relativi piani settoriali», quali sono per l’appunto anche i Piani di Assetto dei parchi e delle riserve naturali istituite nel Lazio.

Ad essere esautorata è anche la VIII Commissione Ambiente se non esprime parere entro 4 mesi sulla proposta di piano.

Sul piano sempre squisitamente “politico” con una disposizione del genere si è arrivati  al paradosso che ogni consigliere regionale si dovrebbe addirittura “autopunire” per non aver contribuito a far approvare dal Consiglio Regionale un Piano di Assetto di un’area naturale protetta entro 120 giorni: si arriva per di più all’assurdo che – con una simile disposizione – il dibattito su un Piano di Assetto da approvare, se arriva a durare più di 120 giorni, magari anche per colpa delle lungaggini burocratiche, si dovrebbe interrompere immediatamente perché è scattato l’istituto del silenzio-assenso!

Il Governo ha accolto la richiesta di VAS e con ricorso notificato il 24-28 dicembre 2018 e depositato il 28 dicembre 2018 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione della legge della Regione Lazio n. 7/2018.

Con sentenza n. 290 del 20 novembre 2019, depositata il 27 dicembre 2019, la Corte Costituzionale non ha ritenuto fondate le questioni promosse dal Governo per i seguenti motivi.

«Il legislatore regionale del Lazio ha inteso dunque dare attuazione alla previsione statale dell’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991 (secondo cui il piano “è approvato dalla regione”), facendo discendere l’approvazione del piano da parte della Regione, dalla complessiva interazione fra Giunta e Consiglio e, per il caso in cui il Consiglio sia rimasto inerte, non dalla sua mera inerzia, ma da una già intervenuta determinazione della Giunta.

Tale complessa attività, che si configura come una sorta di subprocedimento nell’ambito del procedimento di approvazione del piano, trova dunque in ogni caso la sua manifestazione espressa – ciò che necessariamente ne esclude il preteso carattere tacito – alternativamente nella deliberazione del Consiglio regionale o, ove questa non intervenga nel termine, nella deliberazione della Giunta di approvazione della proposta.

Plurime ragioni, del resto, confermano l’impossibilità di ricondurre il meccanismo di approvazione del piano disegnato dal legislatore regionale del Lazio all’istituto del silenzio assenso, e in particolare al modello legale del silenzio assenso previsto dalla legge n. 241 del 1990.

Innanzitutto è inconferente, come giustamente osserva la difesa della resistente, il richiamo all’art. 20 della legge n. 241 del 1990, che concerne la diversa ipotesi di “procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi”.

La norma che riguarda il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche – quali sono nella specie l’ente di gestione che adotta il piano dell’area naturale protetta regionale e l’organo regionale che tale piano approva – sarebbe, semmai, l’art. 17-bis della stessa legge n. 241 del 1990.

Ma nemmeno il riferimento a tale norma – che comunque il ricorrente non opera – sarebbe stato decisivo, giacché nel caso di specie, come detto, la relazione che si instaura, nell’ambito del procedimento di approvazione del piano, fra l’ente di gestione, competente per l’adozione, e l’organo della Regione, cui compete l’approvazione, vede concludersi ciascuna delle due fasi procedimentali con un provvedimento espresso.

Nella sostanza si deve osservare inoltre che, se la ratio della disposizione statale interposta (art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991) risiede nell’esigenza di assicurare una formale ed espressa assunzione di responsabilità da parte dell’organo chiamato ad approvare il piano, non vi è dubbio che la determinazione della Giunta regionale di proposta al Consiglio, come disciplinata dalla norma regionale in esame, presenta tutti gli elementi necessari a riconoscerle il valore di provvedimento espresso di approvazione nel caso di inutile decorso del termine di intervento del Consiglio.

Approvare espressamente il piano per il parco equivale a introdurre nell’arena pubblica regionale i contenuti del piano stesso, a sottoporli a discussione e a contestazione e, infine, a chiamare le parti in gioco a un’assunzione di responsabilità sulla sua approvazione o, in ipotesi, sulla sua bocciatura.

Ciò è quanto avviene nel caso di specie nel quale la Giunta, come prevede la disposizione contestata, prende atto del piano adottato dall’ente di gestione, apporta eventuali modifiche e integrazioni e si pronuncia «contestualmente sulle osservazioni pervenute» predisponendo così la proposta al Consiglio, e ciò fa nella piena consapevolezza che tale sua proposta è destinata a diventare definitiva e, come tale, formale atto di approvazione del piano nel caso in cui il Consiglio non provveda nel termine indicato.

Da ultimo, occorre precisare che la norma statale interposta non preclude affatto che la legge regionale affidi alla Giunta regionale il potere di approvare il piano.

La legge statale ha rimesso infatti al legislatore regionale il compito di individuare l’organo deputato a siffatta approvazione, e le diverse leggi regionali in materia hanno variamente modulato questa competenza, attribuendola ora al Consiglio, ora alla Giunta e ora a entrambi.

Da quanto detto deriva che la norma impugnata non si pone in contrasto con l’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991.

Si deve, pertanto, escludere la fondatezza delle questioni promosse in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., per interposizione dell’anzidetta norma statale.

Per le stesse ragioni è infondata la questione promossa per violazione dell’art. 97 Cost., in quanto anch’essa basata sul presupposto che la norma impugnata preveda un meccanismo di formazione tacita dell’atto di approvazione.»

La Corte Costituzionale non ha tenuto conto della violazione della lettera g) del 2° comma dell’art. 23 dello stesso Statuto della Regione Lazio, secondo cui fra le funzioni al Consiglio Regionale del Lazio c’è quella di «deliberare, su proposta della Giunta, il piano territoriale generale dell’uso e dell’assetto del territorio ed i relativi piani settoriali», quali sono per l’appunto anche i Piani di Assetto dei parchi e delle riserve naturali istituite nel Lazio.

La Corte Costituzionale non ha tenuto conto soprattutto delle gravi conseguenze che sul piano pratico della procedure viene a determinare questa sua sentenza.

La deliberazione del Consiglio Regionale del Lazio con cui di norma viene ad essere approvato un Piano di Assetto può essere impugnata al TAR del Lazio da chiunque ritenesse di subirne un danno: in caso di approvazione di un Piano di Assetto per inerzia del Consiglio Regionale, la deliberazione della Giunta Regionale con cui è stato licenziato non può essere invece impugnata al TAR del Lazio entro i 60 giorni previsti, dal momento che a quel momento saranno trascorsi ben 7 mesi.

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

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 N.B. – Si riportano di seguito i passi della sentenza che hanno trattato la questione di legittimità costituzionale promossa dal Governo.

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Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 24-28 dicembre 2018 e depositato il 28 dicembre 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale) e, tra queste, degli artt. 5, comma 1, lettere g), numero 2), h) e i), numeri 5) e 7), e comma 6, lettera c), 33, comma 1, lettera a), e 84, comma 1, lettera b), in riferimento agli artt. 97 e 117, commi secondo, lettere l), m) e s), e terzo, della Costituzione.

1.1.– L’art. 5, comma 1, lettera g), numero 2), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 è impugnato per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., in relazione all’art. 25, comma 2, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).

L’art. 5, comma 1, lettera g), numero 2), ha modificato il comma 4 dell’art. 26 della legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), disciplinante il procedimento di approvazione del piano dell’area naturale protetta.

A seguito delle modifiche, il suddetto piano, dopo essere stato adottato dall’ente di gestione, è trasmesso alla Giunta regionale, la quale apporta le eventuali modifiche e integrazioni, si pronuncia sulle osservazioni pervenute e ne propone al Consiglio regionale l’approvazione.

Trascorsi tre mesi dall’assegnazione della proposta di piano alla commissione consiliare competente, la proposta stessa è iscritta all’ordine del giorno dell’aula.

A questo punto il Consiglio regionale si esprime su di essa entro i successivi centoventi giorni, decorsi i quali il piano si intende approvato.

Il ricorrente censura quest’ultima previsione in quanto, «nel porre una scansione temporale certa all’iter di approvazione» del detto piano, consentirebbe al Consiglio regionale di svolgere le «attività istruttorie per l’esame e valutazione dello stesso», ma lascerebbe alla Giunta regionale «la possibilità – trascorsi i termini – di pervenire all’approvazione».

In sostanza, il legislatore regionale avrebbe introdotto «un vero e proprio meccanismo procedurale di silenzio assenso», che si porrebbe in contrasto con l’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991, il quale prevede che «[i]l piano per il parco è adottato dall’organismo di gestione del parco ed è approvato dalla regione […]».

La norma impugnata disattenderebbe dunque la previsione legislativa statale, che prevede un’approvazione formale del piano da parte della Regione.

Tale disposizione, contenuta nella disciplina delle aree protette recata dalla legge n. 394 del 1991, sarebbe riconducibile alla competenza esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Il ricorrente sottolinea altresì come l’istituto del silenzio assenso sia ammesso «in relazione ad attività amministrative nelle quali sia pressoché assente il profilo di discrezionalità, non anche nei procedimenti ad elevata discrezionalità», nel cui ambito rientrerebbe il procedimento di adozione e approvazione del piano del parco di cui all’art. 25 della legge n. 394 del 1991.

Inoltre, il ricorso all’istituto del silenzio assenso nella materia ambientale sarebbe limitato dall’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Dunque, la previsione di un meccanismo di formazione tacita dell’atto di assenso, per un verso, sarebbe «non rispettos[a] e cautelativ[a] sotto il profilo del contemperamento degli interessi ambientali in gioco», e per altro verso consentirebbe l’approvazione di un provvedimento che prescinde da un ponderato e coerente apparato motivazionale, con conseguente violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

Per le ragioni anzidette la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., in quanto derogherebbe «ai livelli minimi uniformi previsti dalla legislazione statale nell’esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente».

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale) e, tra queste, degli artt. 5, comma 1, lettere g), numero 2), h) e i), numeri 5) e 7), e comma 6, lettera c), 33, comma 1, lettera a), e 84, comma 1, lettera b), in riferimento agli artt. 97 e 117, commi secondo, lettere l), m) e s), e terzo, della Costituzione.

2.– Resta riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe.

3.– L’art. 5, comma 1, lettera g), numero 2), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 è impugnato per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., in relazione all’art. 25, comma 2, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).

La disposizione regionale in esame si inserisce nel corpo della legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali) e, in particolare, nella Sezione I («Aree naturali protette di interesse regionale») del Capo II («Organizzazione e gestione delle aree naturali protette»), modificando il comma 4 dell’art. 26, disciplinante il procedimento di approvazione del piano dell’area naturale protetta.

Tale piano, adottato dall’ente di gestione e trasmesso alla Giunta regionale (art. 26, comma 2), «è depositato per quaranta giorni presso le sedi degli enti locali interessati e della Regione.

L’ente di gestione provvede, con apposito avviso da pubblicare su un quotidiano a diffusione regionale, a dare notizia dell’avvenuto deposito e del relativo periodo.

Durante questo periodo chiunque può prenderne visione e presentare osservazioni scritte all’ente di gestione, il quale esprime il proprio parere entro i successivi trenta giorni e trasmette il parere e le osservazioni alla Giunta regionale.

Entro tre mesi dal ricevimento di tale parere la Giunta regionale, previo esame, da effettuare entro il limite di tre anni, della struttura regionale competente in materia di aree naturali protette, apporta eventuali modifiche ed integrazioni, pronunciandosi contestualmente sulle osservazioni pervenute, e ne propone al Consiglio regionale l’approvazione.

Trascorsi tre mesi dall’assegnazione della proposta di piano alla commissione consiliare competente, la proposta è iscritta all’ordine del giorno dell’Aula ai sensi dell’articolo 63, comma 3, del regolamento dei lavori del Consiglio regionale.

Il Consiglio regionale si esprime sulla proposta di piano entro i successivi centoventi giorni, decorsi i quali il piano si intende approvato» (art. 26, comma 4, come riformulato).

3.1.– Preliminarmente, occorre delimitare l’ambito delle censure mosse dal ricorrente.

Infatti, ad essere impugnato non è l’intero numero 2) della lettera g) del comma 1 dell’art. 5 della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 ma solo il periodo finale, da esso aggiunto al comma 4 dell’art 26 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, là dove si prevede che «Il Consiglio regionale si esprime sulla proposta di piano entro i successivi centoventi giorni, decorsi i quali il piano si intende approvato».

Questa previsione si porrebbe in contrasto con l’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991, il quale stabilisce che «[i]l piano per il parco è adottato dall’organismo di gestione del parco ed è approvato dalla regione […]».

La norma impugnata disattenderebbe dunque la previsione legislativa statale che prevede un’approvazione formale del piano da parte della Regione.

A sua volta, la norma statale che il ricorrente ritiene violata, contenuta nella disciplina delle aree protette recata dalla legge n. 394 del 1991, sarebbe riconducibile alla competenza esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Nel ricorso si contesta altresì la previsione di una forma di silenzio assenso a conclusione dell’iter di approvazione del piano e si sottolinea come questo istituto non possa essere ammesso «nei procedimenti ad elevata discrezionalità», nell’ambito dei quali rientrerebbe anche quello di adozione e approvazione del piano del parco di cui all’art. 25 della legge n. 394 del 1991.

Inoltre, il ricorso all’istituto del silenzio assenso nella materia ambientale sarebbe limitato dall’art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Per queste ragioni la norma impugnata si porrebbe in contrasto sia con il principio di buon andamento dell’amministrazione previsto all’art. 97 Cost. sia con l’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., in quanto derogherebbe «ai livelli minimi uniformi previsti dalla legislazione statale nell’esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente».

La Regione Lazio replica che la norma impugnata risponderebbe a una esigenza di semplificazione del procedimento di approvazione del piano delle aree naturali protette, diretta a consentire la sua approvazione in tempi ragionevoli.

La norma regionale, inoltre, non si porrebbe in contrasto con l’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991, poiché quest’ultima non distingue tra gli organi regionali, limitandosi a prevedere che il piano sia «approvato dalla regione».

Errato sarebbe ancora il richiamo della disciplina sul silenzio assenso, in quanto il citato art. 20 della legge n. 241 del 1990 circoscrive espressamente il proprio ambito di applicazione ai soli «procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi», ipotesi, questa, che non ricorrerebbe nel caso del procedimento di approvazione del piano delle aree protette.

3.2.– Le questioni promosse non sono fondate.

3.2.1.– Occorre innanzitutto sottolineare che la norma impugnata (art. 5, comma 1, lettera g, numero 2, della legge reg. Lazio n. 7 del 2018) interviene – analogamente ad altre norme oggetto del presente giudizio (art. 5, comma 1, lettere h e i, numeri 5 e 7) che saranno esaminate più avanti – sul tessuto normativo della legge della Regione Lazio n. 29 del 1997, modificandone l’art. 26, comma 4.

Sebbene si tratti di norme aventi contenuti diversi e, quindi, di questioni dotate di una propria autonomia, è opportuno inquadrarle unitariamente per poi prendere in esame partitamente le censure prospettate.

La legge reg. Lazio n. 29 del 1997 si inserisce in un panorama legislativo che, dopo l’entrata in vigore della legge n. 394 del 1991, ha visto le Regioni dotarsi ex novo di una disciplina in materia o modificare leggi regionali preesistenti, al fine di adeguare il proprio ordinamento al mutato quadro normativo statale.

L’intervento legislativo del 1991 traccia i caratteri di quello che può essere definito l’“ordinamento giuridico” delle aree protette, al cui interno sono previsti, tra l’altro: una classificazione delle aree naturali protette (parchi nazionali, parchi naturali regionali, riserve naturali statali e regionali: art. 2); una serie di strumenti di collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali e comunque di forme di coinvolgimento di questi ultimi (specialmente artt. 1-bis, 3, 6, 7 e 22); una compiuta disciplina delle aree naturali protette nazionali (artt. da 8 a 21), imperniata essenzialmente su due soggetti, l’ente parco (art. 9) e la comunità del parco (art. 10), e su due strumenti di regolamentazione delle attività, il regolamento del parco (art. 11) e il piano per il parco (art. 12); la sottoposizione al preventivo nulla osta di tutte le concessioni o autorizzazioni per interventi al loro interno (art. 13); un’ampia disciplina delle aree naturali protette regionali (artt. da 22 a 28).

In particolare, l’art. 23 della legge n. 394 del 1991 prevede che la legge regionale istitutiva del parco naturale regionale «definisce la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, individua il soggetto per la gestione del parco e indica gli elementi del piano per il parco di cui all’articolo 25, comma 1, nonché i principi del regolamento del parco».

L’art. 25 stabilisce che strumenti di attuazione delle finalità del parco naturale regionale sono il piano per il parco e il piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili.

Il legislatore statale ha inteso dunque introdurre, per le aree protette nazionali e per quelle regionali, due modelli normativi caratterizzati da forti analogie, individuando nel piano per il parco e nel regolamento gli strumenti fondamentali per la disciplina delle attività consentite al loro interno.

Più precisamente, quanto alle aree protette regionali, il piano per il parco «è adottato dall’organismo di gestione del parco ed è approvato dalla regione»; inoltre, «[e]sso ha valore anche di piano paesistico e di piano urbanistico e sostituisce i piani paesistici e i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello» (art. 25, comma 2).

Questa legge – intervenuta prima della riforma costituzionale del Titolo V della Parte II della Costituzione – intersecava al momento della sua entrata in vigore una serie di competenze regionali (fra cui quelle di tipo concorrente in materia di urbanistica, di caccia, di pesca, ma anche di acque minerali e termali, di cave e torbiere) e non a caso, dunque, il suo art. 23 rimetteva, come continua a rimettere, a una legge regionale l’istituzione del parco naturale regionale, sia pure nel rispetto dei principi fondamentali individuati nell’art. 22.

All’indomani della revisione costituzionale del 2001 questa Corte ha individuato l’ambito principale di pertinenza della normativa in materia di aree naturali protette nella «tutela dell’ambiente» (tra le più recenti, sentenze n. 180 del 2019, n. 245, n. 206 e n. 121 del 2018, n. 36 del 2017, n. 212 del 2014, n. 171 del 2012), oltre che nella materia del «governo del territorio», e ha ricondotto in particolare la previsione di strumenti regolatori delle attività esercitabili all’interno del parco alla competenza statale in tema di standard minimi uniformi di tutela ambientale (tra le altre, sentenze n. 180 del 2019, n. 245 e n. 121 del 2018, n. 74 del 2017).

3.2.2.– Nel caso in esame, l’impugnato art. 5, comma 1, lettera g), numero 2), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 ha modificato il procedimento di approvazione del piano dell’area naturale protetta regionale prevedendo che essa avvenga all’esito di un complesso iter che, dopo l’adozione del piano stesso da parte dell’ente di gestione, vede protagonista la Giunta regionale, alla quale spetta il potere di apportare eventuali modifiche e integrazioni al testo adottato dall’ente di gestione, di pronunciarsi sulle osservazioni pervenute e di formulare al Consiglio una proposta per l’approvazione.

Al termine di questa fase l’approvazione può conseguire, alternativamente, o a una delibera espressa di approvazione da parte del Consiglio, o, in caso di inerzia del Consiglio stesso, al riconoscimento del valore di approvazione alla delibera di proposta della Giunta.

Il legislatore regionale del Lazio ha inteso dunque dare attuazione alla previsione statale dell’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991 (secondo cui il piano «è approvato dalla regione»), facendo discendere l’approvazione del piano da parte della Regione, dalla complessiva interazione fra Giunta e Consiglio e, per il caso in cui il Consiglio sia rimasto inerte, non dalla sua mera inerzia, ma da una già intervenuta determinazione della Giunta.

Tale complessa attività, che si configura come una sorta di subprocedimento nell’ambito del procedimento di approvazione del piano, trova dunque in ogni caso la sua manifestazione espressa – ciò che necessariamente ne esclude il preteso carattere tacito – alternativamente nella deliberazione del Consiglio regionale o, ove questa non intervenga nel termine, nella deliberazione della Giunta di approvazione della proposta.

Plurime ragioni, del resto, confermano l’impossibilità di ricondurre il meccanismo di approvazione del piano disegnato dal legislatore regionale del Lazio all’istituto del silenzio assenso, e in particolare al modello legale del silenzio assenso previsto dalla legge n. 241 del 1990.

Innanzitutto è inconferente, come giustamente osserva la difesa della resistente, il richiamo all’art. 20 della legge n. 241 del 1990, che concerne la diversa ipotesi di «procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi».

La norma che riguarda il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche – quali sono nella specie l’ente di gestione che adotta il piano dell’area naturale protetta regionale e l’organo regionale che tale piano approva – sarebbe, semmai, l’art. 17-bis della stessa legge n. 241 del 1990.

Ma nemmeno il riferimento a tale norma – che comunque il ricorrente non opera – sarebbe stato decisivo, giacché nel caso di specie, come detto, la relazione che si instaura, nell’ambito del procedimento di approvazione del piano, fra l’ente di gestione, competente per l’adozione, e l’organo della Regione, cui compete l’approvazione, vede concludersi ciascuna delle due fasi procedimentali con un provvedimento espresso.

Nella sostanza si deve osservare inoltre che, se la ratio della disposizione statale interposta (art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991) risiede nell’esigenza di assicurare una formale ed espressa assunzione di responsabilità da parte dell’organo chiamato ad approvare il piano, non vi è dubbio che la determinazione della Giunta regionale di proposta al Consiglio, come disciplinata dalla norma regionale in esame, presenta tutti gli elementi necessari a riconoscerle il valore di provvedimento espresso di approvazione nel caso di inutile decorso del termine di intervento del Consiglio.

Approvare espressamente il piano per il parco equivale a introdurre nell’arena pubblica regionale i contenuti del piano stesso, a sottoporli a discussione e a contestazione e, infine, a chiamare le parti in gioco a un’assunzione di responsabilità sulla sua approvazione o, in ipotesi, sulla sua bocciatura.

Ciò è quanto avviene nel caso di specie nel quale la Giunta, come prevede la disposizione contestata, prende atto del piano adottato dall’ente di gestione, apporta eventuali modifiche e integrazioni e si pronuncia «contestualmente sulle osservazioni pervenute» predisponendo così la proposta al Consiglio, e ciò fa nella piena consapevolezza che tale sua proposta è destinata a diventare definitiva e, come tale, formale atto di approvazione del piano nel caso in cui il Consiglio non provveda nel termine indicato.

Da ultimo, occorre precisare che la norma statale interposta non preclude affatto che la legge regionale affidi alla Giunta regionale il potere di approvare il piano.

La legge statale ha rimesso infatti al legislatore regionale il compito di individuare l’organo deputato a siffatta approvazione, e le diverse leggi regionali in materia hanno variamente modulato questa competenza, attribuendola ora al Consiglio, ora alla Giunta e ora a entrambi.

Da quanto detto deriva che la norma impugnata non si pone in contrasto con l’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991.

Si deve, pertanto, escludere la fondatezza delle questioni promosse in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., per interposizione dell’anzidetta norma statale.

Per le stesse ragioni è infondata la questione promossa per violazione dell’art. 97 Cost., in quanto anch’essa basata sul presupposto che la norma impugnata preveda un meccanismo di formazione tacita dell’atto di approvazione.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri indicato in epigrafe;

…. 4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera g), numero 2), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettere m) e s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

 

 

 

 

 

 

 

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